La Comunità celebra Yom Hashoah: una memoria oggi più che mai necessaria

di Ilaria Myr
Era un’Aula Magna piena quella che domenica 5 maggio alla scuola ebraica di Milano ha partecipato alla cerimonia per Yom haShoah, la giornata del ricordo della Shoah che quest’anno cade il 6 maggio. Organizzata dall’Associazione Figli della Shoah, la cerimonia si è tenuta per il secondo anno nella scuola ebraica, fulcro della comunità e simbolo vivente della trasmissione della memoria ai giovani.

A fare da sfondo, uno schermo su cui erano proiettati i nomi di chi è partito da Milano ed è stato assassinato ad Auschwitz e di tutti coloro che hanno vissuto sulla propria pelle la barbarie nazi-fascista. Sull’evento l’ombra pesante dei massacri in Israele del 7 ottobre, che ha ridestato in ognuno atrocità che si pensava non potessero più accadere agli ebrei, dopo quello che è stata la Shoah.

«Quest’anno è una ricorrenza ancora più pesante – ha dichiarato il presidente della comunità ebraica Walker Meghnagi -. L’Antisemitismo si è enormemente rafforzato, mascherato da antisionismo. Ma noi combatteremo fino all’ultimo, non abbasseremo la testa. Dobbiamo essere orgogliosi di essere ebrei italiani e del bagaglio che ci portiamo dietro».

«Sono molto contento che l’evento si tenga a scuola – ha dichiarato il dirigente scolastico Marco Camerini -. La scuola è il luogo della trasmissione della propria identità ed è la risposta migliore a quello che sta succedendo oggi con la crescita dell’antisemitismo».

In memoria dei 6 milioni di ebrei assassinati

Si è poi svolta l’accensione delle 6 candele simboleggianti i 6 milioni di ebrei sterminati nella Shoah.

«Accendendo questa candela voglio ricordare mio nonno Giuseppe Segre, nato a Milano, malato di Parkinson, per la colpa di essere nato deportato e ucciso ad Auschwitz – ha dichiarato commossa la senatrice Liliana Segre, sopravvissuta a 13 anni ad Auschwitz –. Ero molto affezionata a lui, era molto malato e per questo mio padre cercò di  mettere lui e la nonna in salvo. Ad Auschwitz pensavo seriamente che fossero a casa, ma a Ravensbruck ho incontrato una deportata italiana che sentito il mio nome mi ha detto che aveva conosciuto i miei nonni a Fossoli dov’erano stati deportati senza niente. Mio nonno, con la gravità della sua malattia è arrivato vivo ad Auschwitz».

La seconda candela è stata accesa da Maya Maggi, figlia di Miriam Linker, con i due figli.

«Con questa candela onoriamo il comandamento ebraico ‘non dimenticare – ha dichiarato Emanuele Fiano, figlio del sopravvissuto Nedo Fiano, accendendo il terzo lume  con il figlio Davide -. Gli altri possono dimenticare. Noi no».

Accendendo il quarto lume, Rosanna Bauer, figlia della sopravvissuta e tutt’oggi in vita Goti Bauer, ha raccontato molto scossa un episodio del giorno prima. «Le stavo parlando della crescita dell’antisemitismo oggi e di ciò che è accaduto al corteo del 25 aprile – ha raccontato -. Mentre la stavamo salutando per andare a casa, mi ha chiesto: “ma il Comune vi ha dato una casa? Non sarà pericoloso tornare a casa?”. Ecco, da ieri non smetto di pensarci».

«Voglio ricordare la mia cuginetta Giuliana Melli di 4 anni, arrestata dai fascisti e morta ad Auschwitz – ha detto commosso Gadi Schoenheit, figlio di Franco Schoenheit, sopravvissuto a Buchenwald, davanti al quinto lume – Come si può arrestare una bambina di 4 anni? È come un film dell’orrore, che abbiamo però riscoperto il 7 ottobre».

Infine, Nina Szulc, ha ricordato commossa i suoi genitori e tutti coloro che hanno perso la vita in modo brutale.

Dopo l’accensione delle sei candele, è stato il momento dei discorsi. Susy Barki dei Figli della Shoah ha ringraziato calorosamente Roberto Cenati, ex presidente dell’Anpi provinciale di Milano, di recente dimessosi per divergenze di vedute con l’Anpi nazionale sulla guerra a Gaza. Accolto da un caloroso applauso, Cenati ha ribadito la sua vicinanza alla comunità ebraica: «Io sono sempre stato e sarò sempre al vostro fianco per contrastare la deriva antisemita e la violenza, che purtroppo si sono manifestate già nei giorni immediatamente successivi al 7 ottobre. Tutti hanno il dovere di mobilitarsi davanti a questo oltraggio alla civiltà alla democrazia e alla costituzione».

Daniela Dana, presidente dell’Associazione Figli della Shoah, ha espresso la sua soddisfazione per la grande partecipazione. «Sono due anni che abbiamo spostato la cerimonia a scuola, dopo anni in cui c’era sempre meno gente, e quindi fa molto piacere vedere tanta gente. Purtroppo ci sono pochi giovani. Ma è invece fondamentale coinvolgerli, perché dimenticare è molto facile, mentre è molto più difficile ricordare. Per questo come associazione ci impegniamo molto nelle scuole, ma è anche importante che la trasmissione della memoria avvenga anche in famiglia. Perché ricordare è una scelta, così come dimenticare. E noi dobbiamo scegliere la memoria».

Riallacciandosi alla festa di Pesach celebrata da poco, il rabbino capo Rav Alfonso Arbib ha ricordato il canto di Vehi Sheamda. «Nelle parole terribili che si leggono – “In ogni generazione vogliono finirci” – stimola una riflessione sull’antisemitismo che si ripete nelle generazioni. Gli antisemiti di oggi pensano di essere dalla parte del bene, di essere in buona fede. Ma la stessa cosa pensavano i nazisti: progettare l’orrore pensando di fare il bene dell’umanità è qualcosa di terribile». Ma il canto di Vehi Sheamda si conclude con le parole ‘Mazilenu Miadam’, ‘ci salverà dalle loro mani’. «Significa che non ce la faranno. Dobbiamo sempre crederci».

Infine i ragazzi delle quarte liceo hanno proiettato un video del recente viaggio ad Auschwitz organizzato dalla scuola della comunità. Un’esperienza fondamentale nella loro formazione, come hanno spiegato bene una studentessa e Rav Simantov che li ha accompagnati.