I relatori della serata Kesher sull'ebraismo laico

Inaugurata la nuova stagione di Kesher con una serata dedicata all’ebraismo laico

Ebraismo

di Paolo Castellano
La mutazione dell’identità ebraica nel flusso della nostra aggressiva modernità è un tema su cui si è dibattuto e si continua a discutere nelle comunità ebraiche di tutto il mondo. Molti intellettuali – laici e religiosi – sono convinti che la globalizzazione e la società dei consumi tendano, nel loro dispiegarsi, a favorire una società bastata sullo scambio commerciale, appiattendo i valori spirituali ormai troppo complicati per essere coltivati. Un ebreo allora si dovrebbe domandare come poter resistere a queste spinte centrifughe e centripete del mondo di oggi. Insomma, il dilemma è questo: l’ebraismo può sopravvivere in un senso laico o in una forma prettamente religiosa?

Il quesito è stato il punto di partenza per il dibattito, dal titolo Esiste un ebraismo laico?, organizzato da Rav Roberto Della Rocca, il 18 ottobre. Egli ha condotto con grande verve la serata dedicata al nuovo ciclo d’incontri dell’associazione Kesher. Nell’affollata Aula Magna Benatoff della scuola ebraica di Milano, sono intervenuti – da sinistra nella foto – lo scrittore Stefano Levi Della TorreMiriam Della Torre, rappresentante della nuova generazione di ebrei, l’assessore alla Cultura Davide RomanoGeoffrey Davis, ebreo ortodosso di origine americana, e il giornalista Ugo Volli.

Rav Della Rocca ha introdotto il dibattito, dichiarando che l’identità ebraica sia costituita da molti e vari elementi: «Ognuno ha nel DNA e inconscio una personale identità ebraica». Il termine laicità, come ha ricordato il rabbino, deriva dal termine greco laos che significa popolo. I greci chiamavano così gli individui che non facevano parte della casta sacerdotale. «Nel mondo ebraico prevale più una dimensione laica che religiosa. Nella tradizione ebraica, il cohen è il sacerdote che ha una funzione strettamente legata al sacro. Gli altri elementi invece dell’ebraismo appartengono alla sfera laica», ha argomentato Rav Della Rocca, spiegando che il laico è colui che rivendica la propria autonomia da un dogmatismo ideologico e religioso.

Della Rocca si è poi focalizzato sulla continuità della tradizione ebraica: «L’ebraismo ortodosso vede nella mancata osservanza delle mitzvoth il pericolo di una mancata continuità e trasmissione concreta dei valori ebraici. Gli ebrei laici devono dunque rispondere a queste domande. Secondo l’halachà siamo tutti ebrei e artefici di uno stesso destino. Dunque, quali possono essere i veicoli dell’identità senza le mitzvoth? Cosa assicura una continuità?».

Dopo l’introduzione di Rav Della Rocca, ha preso la parola Davide Romano che ha voluto esprimere il suo pensiero chiedendosi invece se ci sia davvero un ebraismo religioso: «Se pensiamo al mondo esterno, gli ebrei più conosciuti hanno una forte impronta laica; tra questi possiamo citare Sigmund Freud, Primo Levi, Albert Einstein, etc…». «Oggi dunque gli ebrei laici hanno un peso maggiore nella nostra società, però il successo del laicismo è dovuto anche all’immenso lavoro effettuato dai grandi maestri della religione ebraica. Loro hanno custodito, studiato, rielaborato la cultura ebraica», ha aggiunto Romano.  L’assessore alla Cultura ha concluso il suo discorso citando una frase del fondatore dello stato Ebraico Ben Gurion che recita “vedo un pericolo sia nel parteggiare per la religione che nell’opporsi ad essa”.

Dopo Romano, è stato il turno Miriam Della Torre. La giovane ebrea ha raccontato la propria esperienza personale di passaggio da un ebraismo laico ad uno ortodosso. «Quando penso all’ebraismo laico, penso a quello italiano in cui sono cresciuta. Nella mia famiglia, che è un mix sefardita e askenazita, si sono sempre celebrate le feste e le ricorrenze della tradizione». Miriam Della Torre ha poi chiarito che in gioventù ha prediletto l’azione alla riflessione, rimanendo lontana dalla sfera religiosa. «Poi si è scatenata una riflessione sulla mia identità. Questo evento è stato stimolato anche dal mio viaggio in Israele con alcuni movimenti ebraici giovanili. Il mio ebraismo allora ha preso un’altra strada e così ho deciso di accogliere l’esperienza ortodossa della tradizione». Miriam Della Torre ha sottolineato inoltre che la religione ha contribuito a rendere più ricca la sua vita, contribuendo alla felicità di tutta la sua famiglia. «Penso che noi tutti abbiamo in noi un ebraismo fluido. Ognuno di noi prende direzioni diverse. Rimane il fatto che le domande intime però debbano trasformarsi in azione per acquisire senso», ha concluso la giovane ebrea.

Stefano Levi Della Torre, diversamente dagli altri oratori, ha dato inizio al suo contributo attraverso la citazione di alcuni versi dello Zibaldone, opera del poeta e letterato Giacomo Leopardi: “Mirabile congegnazione dell’uomo, non sarebbe stato irreligioso se non fosse stato religioso”. «C’è spesso una retorica ebraica che sottolinea l’importanza delle domande. Le domande però sono il terreno della laicità. Chi fa delle domande esige delle risposte e questo è il meccanismo di base delle controversie», ha spiegato Levi Della Torre. Lo scrittore ha inoltre sostenuto che, secondo i suoi studi, il libro di Giobbe possa essere considerato una sorta di protesta di Dio contro la religione. «Giobbe è l’eroe della domanda. Gli amici religiosi di Giobbe sono convinti di possedere la verità su Dio. La divinità invece ribatte di “essere mistero”. Bene, io ho interpretato questo passo biblico come la laicità di Dio che propugna la stessa laicità contro la presunzione dei religiosi che pretendono di sapere cose che non sanno». Levi Della Torre ha poi aggiunto che ogni ebreo laico paradossalmente rispetta almeno una mitzvah: il rispetto dello studio. «La pratica della mitzvah dello studio deve stimolare l’ebreo a studiare e capire i nuovi paradigmi di pensiero. Questo è un compito sia dei laici che dei religiosi».

Lo scrittore nel finale del suo intervento ha inoltre affermato che nella Torah c’è un elemento intrinsicamente laico: «La Torah parla la lingua degli uomini, questo è già un primo distanziamento dalla sfera del sacro. Lo stesso Mosè ruppe le tavole della legge per mediare il messaggio divino. Una cautela nei confronti di Dio per evitare una blasfemia. Infatti nel Salmo 62 si legge “egli ha detto una cosa, io ne ho dette due”». Insomma Levi Della Torre ritiene che nell’ebraismo vivo ci sia una radice laica e che essa si configuri nella controversia: «I maestri del Talmud ce lo insegnano, “le controversie in nome del cielo non finiscono mai”. Un atteggiamento laico che predilige un dibattito scatenato da incessanti domande».

Il quarto intervento è stato curato da Geoffrey Davis, come Miriam Della Torre, anche lui ha parlato della propria identità ebraica. «Mio padre è un rabbino reform, la mia famiglia veniva dalla Lituania e poi ha deciso di trasferirsi negli Stati Uniti. In casa mia si parlava yiddish, soprattutto quando si litigava. I valori ebraici permeavano gli atteggiamenti famigliari. Da ragazzino ho incominciato a frequentare le scuole reform, poi nel 1991 mi sono trasferito in Italia». Davis ha raccontato che grazie alla comunità ebraica italiana si è avvicinato a quello che lui ha definito, “vero ebraismo”, lontano da i precetti reform coi quali era cresciuto. «Riflettendo sulla mia identità mi sono chiesto se esista un ebraismo laico. Sono dell’idea che più stiamo lontani dal centro, più l’ebraismo s’indebolisce».

In breve, Davis è convinto che il futuro dell’ebraismo sia legato alle tradizioni religiose. Infine, egli poi ha citato due concetti: il “brit jude” e il “brit goral”. Secondo la prima teoria, l’ebreo per essere tale deve rispettare l’halachà; nel secondo caso invece tutti gli ebrei sono stretti in un unica comunità in virtù del patto del destino.

Ugo Volli ha poi preso la parola per il contributo finale della serata. Il giornalista ha attaccato con vigore la tesi secondo cui la laicità possa corroborare l’ebraismo: «Non mi preoccupano né i laici né i reform. Questi due gruppi hanno al loro interno un nucleo fortemente religioso. Il problema vero, secondo me, è questo: esiste un ebraismo che non rispetta le mitzvoth e che non ha un rapporto con Hashem?». Volli, pur constatando che il laicismo sia un dato di fatto, non crede che il popolo ebraico, senza una concezione religiosa dell’ebraismo, possa sperare in una sopravvivenza. «Le generazioni laiche di ebrei hanno portato a un impoverimento dell’ebraismo. La sopravvivenza del popolo ebraico può avvenire ma il suo futuro è in Israele, e non in Italia o in America». Volli infatti ha argomentato che la tradizione ebraica è fortemente legata “alla logica della Torah e del Talmud”.