di Ilaria Ramazzotti
Che senso ha la giustizia penale se non è temperata dalla misericordia e dalla prudenza? Ne parlano i trattati di Makkòt e Horayòt, appena tradotti, nel progetto di divulgazione del Talmud Babilonese iniziato qualche anno fa. Nella convinzione che gli insegnamenti ebraici sanno parlare a tutti, in tutte le epoche
Un nuovo fondamentale tassello si aggiunge al progetto di traduzione italiana del Talmud Babilonese. La casa editrice Giuntina di Firenze ha pubblicato la traduzione dei trattati Makkòt (Pene corporali) e Horayòt (Istruzioni), redatti a cura del Progetto Traduzione Talmud Babilonese. Si tratta di una doppia uscita: due volumi che affrontano temi universali, giuridici ed etici, ancora sorprendentemente attuali. Tra gli argomenti approfonditi spiccano aspetti relativi all’applicazione della legge, il ruolo cruciale della responsabilità dei giudici, la complessa questione dei falsi testimoni e un’approfondita discussione sulla pena di morte, che la tradizione rabbinica, come emerge dai testi, di fatto non applicava mai. Un ulteriore elemento di interesse è l’analisi dell’istituzione delle città rifugio per chi commetteva un omicidio involontario, un’alternativa all’istituzione carceraria che riflette la peculiarità del pensiero talmudico. Le nuove pagine pubblicate aprono una finestra su altri due pilastri della Legge orale in un’operazione editoriale che svela le radici della tradizione ebraica e il suo contributo al pensiero universale.
«Sono passati ormai dieci anni da quando, nel 2016, abbiamo pubblicato il primo trattato Rosh haShanà – commenta a Bet Magazine Shulim Vogelmann, a capo della casa editrice Giuntina -. All’evento di presentazione di quella prima uscita partecipò anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che riconobbe con la sua presenza l’importanza culturale del progetto di traduzione del Talmud. Anche il vasto pubblico ha compreso fin da subito il valore dell’iniziativa, seguendo con interesse le successive pubblicazioni. Col tempo, com’è naturale, il numero di lettori e studiosi si è ridotto: molti dei primi erano semplici curiosi o persone che avevano voluto “partecipare” all’impresa, sostenendola e riconoscendone il peso culturale».
Oggi il progetto giunge a un terzo dell’opera: con gli ultimi due trattati, Horayòt e Makkòt, sono stati complessivamente pubblicati dodici trattati. Il pubblico che continua ad accompagnare il progetto è composto sia da ebrei sia da non ebrei, spesso studiosi provenienti dal mondo cattolico e protestante, oltre che da appassionati di cultura ebraica in generale. «Questi due trattati, relativamente brevi e accomunati da temi affini, vengono tradizionalmente pubblicati insieme nelle edizioni originali del Talmud – prosegue l’editore -. Nel nostro caso, poiché la traduzione italiana ha inevitabilmente aumentato il numero complessivo di pagine, abbiamo scelto di mantenere due volumi distinti per evitare un unico tomo troppo corposo, ma di farli uscire contemporaneamente, rispettando così la consuetudine e la coerenza editoriale dell’opera».
I trattati Horayòt e Makkòt occupano un posto giuridico significativo all’interno dell’Ordine Nezikin (Danni) del Talmud, dedicato al diritto civile e penale. Pur affrontando temi diversi, sono accomunati da una profonda riflessione sulla responsabilità umana e collettiva. «Makkot si concentra sulle pene corporali e sulla giustizia penale, ma in realtà mostra come nella tradizione rabbinica la giustizia sia sempre temperata dalla misericordia e dalla prudenza. Le norme sulla fustigazione e sulla pena capitale sono più teoriche che praticate, e rivelano un sistema giuridico attento alla dignità della persona e alla complessità delle situazioni – specifica Shulim Vogelmann -. Horayot, invece, esplora il tema degli errori delle autorità religiose e giudiziarie, affrontando una questione di sorprendente modernità: la fallibilità del potere e delle istituzioni. Riconoscere l’errore, assumerne la responsabilità e cercare l’espiazione diventano atti di grande valore etico.
Nelle sue pagine si ritrovano riflessioni sul limite umano, sulla gerarchia delle priorità e persino sulla gestione delle risorse e dei ruoli all’interno della comunità, temi che restano vivi e attuali anche oggi. Insieme, questi due trattati offrono un duplice insegnamento: da un lato, la necessità di un diritto giusto, equilibrato e umano; dall’altro, l’umiltà di riconoscere che anche chi guida può sbagliare. È un messaggio di responsabilità, compassione e consapevolezza che attraversa i secoli e continua a parlare al presente».
L’ambizioso progetto editoriale, a un decennio dal suo inizio, non smette di dispiegarsi verso il futuro, al fine di completare, per la prima volta in assoluto, la traduzione in italiano di tutti i trattati del Talmud Babilonese. «Il prossimo trattato che pubblicheremo sarà Ghittin, articolato in due volumi indivisibili. Si tratta di uno dei testi più ricchi e complessi dell’Ordine Nashim (Donne), dedicato alle leggi del divorzio e agli atti legali che lo regolano, ma anche a una vasta gamma di temi etici, giuridici e storici. Ghittin affronta questioni di responsabilità, libertà personale e dignità nelle relazioni, intrecciandole con episodi di vita quotidiana e con ampie sezioni aggadiche che riflettono sulla distruzione del Tempio e sull’esilio, offrendo così uno sguardo profondo sulla condizione umana e sulla resilienza del popolo ebraico».
Obiettivo irrinunciabile, nell’ambito dell’intero progetto, resta sempre la divulgazione culturale pensata per il grande pubblico.
«Per divulgare maggiormente e in modo davvero accessibile il Talmud – sottolinea Vogelmann – abbiamo prodotto un podcast dal titolo Il Talmud per tutti a cui ho personalmente contribuito alla scrittura. È possibile ascoltarlo su Rai Play Sound e Spotify. Con nostra sorpresa, per un mese intero è stato il podcast più ascoltato sulla piattaforma della Rai. I testi sono letti magistralmente da Luca Barbareschi e posso dire che siamo riusciti a portare avanti un’importante opera di divulgazione culturale ebraica. E di questi tempi ce n’è davvero bisogno». «L’obiettivo più importante – conclude Shulim Vogelmann – resta quello di portare a compimento l’intera traduzione del Talmud Babilonese nel più breve tempo possibile, pur nella consapevolezza dell’immensità dell’impresa. Diciamo che la nostra massima di riferimento è il famoso verso dei Pirqé Avòt: “Non spetta a te completare l’opera, ma non sei libero di sottrarti ad essa.”
Con questo spirito, andiamo avanti passo dopo passo. Sono comunque fiducioso che insieme a tutta la squadra del Progetto Traduzione Talmud Babilonese – il presidente rav Riccardo Di Segni, la direttrice Clelia Piperno, le decine di traduttori, redattori e curatori – riusciremo ad arrivare in fondo a questo enorme progetto editoriale che considerò anche, un po’, una mitzwà».



