Intervista a Daniel Barenboim

Spettacolo

Daniel Barenboim è il direttore della West-Easter Divan Orchestra, nata nel 1999 da un progetto dello stesso maestro israeliano e dello scomparso intellettuale palestinese Edward Said, che aveva come obiettivo quello di creare un’orchestra in cui suonassero ragazzi israeliani, palestinesi e libanesi. L’abbiamo intervistato nell’ambito del concerto milanese alla Scala che ha raccolto negli scorsi giorni un enorme successo.

Potrebbe spiegare, maestro Barenboim, la filosofia di questo progetto?
Ogni volta mi chiedono Lei deve essere un po’ ingenuo nel pensare che con questa iniziativa si possa risolvere qualcosa. L’idea è bellissima, la realtà diversa. Io rispondo così: questo non è un progetto per la pace, questa non è un’orchestra per la pace. Per trovare la pace c’è bisogno di molto molto coraggio da parte di ogni individuo che vive nella regione. C’è il bisogno di avere il coraggio di ammettere tanti fatti che sono successi tanti anni fa perché la soluzione del presente non esiste senza il passato, come il futuro non esiste senza il presente. Parlare di questa orchestra come un’orchestra per la pace è commovente, ma non è corretto. Non è un progetto che va oltre la musica, perché per me oltre la musica non c’è niente. È la musica che è oltre tutto.

La musica aiuta a dimenticare i problemi del Medio Oriente?
Non è per scappare dalla realtà triste o violenta, la musica può dare una lezione di come si può, come si deve trovare un’unione fra il cervello e il cuore umano, non sono cose separate. Ci insegna come trovare un’unione con gli altri. Nella musica noi abbiamo una partitura che non esiste nella vita, se ci fosse una partitura per la vita sarebbe molto più facile. Ma noi accettiamo in questa orchestra tante cose che nella vita sono impossibili. Non basta combattere la violenza, bisogna trovare una forma per lottare per tutto quello che è caro all’individuo e alla società e a un popolo.

Qual è la vostra idea politica?

L’unica idea politica di questo progetto è che noi crediamo che ci sia la possibilità di una soluzione non militare al conflitto israelo/palestinese. E siamo convinti che il destino dei due popoli sia legato in una forma inestricabile. Se si accettano questi due principi è chiaro comunque che non sarà facile.
La musica non serve per dimenticare o per sentirsi meglio, la musica celebra tante cose diverse, la gioia e la morte. La musica si suona ai matrimoni e ai funerali. E ci insegna tante cose; così la pensava Edward Said e così la penso anch’io. La musica non è staccata dalla vita reale. La musica insegna, l’orecchio è l’organo più intelligente dell’essere umano, ha memoria.
L’elemento principale è che non si può chiudere. Possiamo chiudere gli occhi, ma non possiamo chiudere l’orecchio. La musica ha una forma diretta di penetrazione fisica ed è questo l’elemento più forte. La musica può arrivare a svegliare emozioni nella gente che non ha studiato e non sa niente di musica. Perché questo progetto è unico ed è possibile solo con la musica. Se compariamo il dialogo con le parole, nel migliore dei casi, quando c’è un dialogo prima parla uno, l’altro ascolta e poi l’altro risponde e l’altro ascolta. In musica impariamo dal primo giorno a suonare ognuno con la massima intensità, al meglio e simultaneamente ascoltiamo quello che suona l’altro strumento. Questa capacità di esprimersi e di ascoltare simultaneamente è ciò che dobbiamo arrivare a fare.

Come è nata questa esperienza?

La partitura per il Medio Oriente che non esiste ancora, questa era l’idea fondamentale di Edward Said e mia nel creare questo gruppo che oggi è diventato una grande orchestra. Noi non abbiamo pensato ad una grande orchestra nel 1999, quando abbiamo iniziato. Non avevamo la minima idea della quantità né della qualità del talento musicale di tanti paesi nel Medioriente. Potete immaginare la nostra sorpresa quando abbiamo ricevuto 200 richieste di partecipare dai vari paesi arabi. Per noi questa iniziativa era un’opportunità per creare un forum di discussione. In un forum si possono chiarire, parlare. E il fatto che sia diventata la grande orchestra che è oggi rimane per me una sorpresa. Suonare in un’orchestra di israeliani, palestinesi e giovani musicisti provenienti da tutto il mondo arabo. Suonare a Berlino la Nona sinfonia di Beethoven è stata una grande cosa. Sono ancora sorpreso da questo progetto. Questi ragazzi che sono venuti qui nonostante la guerra sono molto coraggiosi perché la realtà di oggi nel Medio Oriente non permette il dialogo. Chi parla di pace è un uccello raro se va bene, se no è visto come un traditore.