di Roberto Zadik
In occasione del novantesimo compleanno di Woody Allen, il prossimo 30 novembre, una panoramica sulla sua carriera e una domanda: ma di cosa trattano davvero i suoi film?
Inarrestabile e pessimista, caustico, raffinato e intellettuale, Allan Stewart Konigsberg, noto nel mondo con lo pseudonimo di Woody Allen, il prossimo 30 novembre (ma alcune fonti segnalano come data di nascita il 1° dicembre) compierà novant’anni e, nonostante l’età avanzata, conserva sempre arguzia e superattività.
Protagonista del mondo cinematografico da sessant’anni (debuttò nel 1965, con la scoppiettante sceneggiatura di Ciao Pussycat) Allen si caratterizza come autore di esilaranti battute, così come di seriose riflessioni intellettuali, ossessionato dalla sua New York e dal Jazz tanto da diventare virtuoso del clarinetto. Nelle sue opere emergono temi come la nostalgia del passato e della sua infanzia, il suo ateismo e la ricerca di qualcosa di difficile se non impossibile da trovare, perennemente in conflitto con se stesso e con le donne; la sua tumultuosa vita sentimentale lo dimostra pienamente.
Woody Allen è unico nel suo genere, tanto divertente e vitale quanto amaro e disincantato, più apprezzato in Europa che in patria. Ma quali sono le tematiche dei suoi film che, spesso, intrecciano autobiografia e estro, comicità e dolenti riflessioni esistenziali? Ad approfondire questo argomento un interessante articolo, sul sito Medium.com, uscito nel 2023, che illustra una panoramica di elementi caratterizzanti la sua abbondante filmografia.
Prima di tutto, i suoi personaggi: nevrotici, tormentati, tanto colti e stimolanti quanto dubbiosi e irrequieti. Esempi? Alvy Singer di Manhattan, Isaac Davis di Io e Annie, due suoi capolavori della fine degli anni Settanta, ai tempi del fortunato sodalizio con Diane Keaton, scomparsa lo scorso 11 ottobre, a settantanove anni , che fu legata a lui professionalmente e sentimentalmente.
Elemento portante della sua produzione è il rapporto viscerale con la sua New York in cui egli ha ambientato quasi tutti i suoi film, salvo poche eccezioni come Midnight in Paris, nella capitale francese, e, a Barcellona, la commedia Vicky, Cristina, Barcelona. Per il regista, la megalopoli statunitense rappresenta “non solo l’ambientazione ma uno dei protagonisti dei suoi film” descrivendola con “romanticismo e realismo e catturandone l’intensità e l’unicità”.
Particolarmente originale, specialmente per un talento comico come lui, la vena tragicomica e il pessimismo di molte sue considerazioni che si soffermano su ateismo, cinismo, delusioni affettive e sull’assurdità della vita descritti spesso con ironia estremamente pungente e battute sferzanti. Fondamentale poi è l’analisi capillare dei rapporti umani sviscerati nella loro complessità e fragilità, in cui egli si ispirò, da autore colto e curioso, al cinema del suo adorato Ingmar Bergman così come alla psicanalisi, altro tema ricorrente di molti suoi film.
Nella sua corrosiva lente d’ingrandimento, incupendosi progressivamente negli anni anche a causa di burrasche nella sua vita privata, come le battaglie legali con l’ex moglie Mia Farrow e le svariate accuse in cui è stato coinvolto, specialmente fra gli anni Novanta e Duemila, Allen ha riflettuto sui problemi dell’affettività e delle relazioni famigliari, sentimentali e amichevoli immergendosi in temi come l’amore, il tradimento e l’incomunicabilità, nonché il confronto fra il suo punto di vista ebraico e il mondo esterno della società americana spesso da lui aspramente criticata.
Profondamente distante dal cinema americano commerciale, ha diviso e fatto discutere perché dotato di un punto di vista assai particolare: Woody Allen è autore filosofico e esistenziale, capace di interrogarsi con profondità e serietà sui grandi temi della vita, sulla morte, l’etica e la cultura. Evidente lo spessore culturale di questo personaggio, il suo amore per la letteratura russa, da Cechov a Dostojevski, così come per il cinema d’autore, non solo di Bergman ma anche di Fellini e per la grande musica Jazz costante colonna sonora dei suoi film, specialmente quello dell’Orchestra di New Orleans che accompagna sigle iniziali e finali di molte sue pellicole.
Basati sui dialoghi con poche scene in ambienti esterni, focalizzati sui tormenti dei protagonisti e su una forte vena introspettiva e ironica, i suoi film brillano per estetica e scenografie; per questo, egli collaborò con esperti direttori della fotografia come Vittorio Storaro che ha vinto tre premi Oscar con film importanti come Apocalypse Now di Francis Ford Coppola e L’ultimo Imperatore di Bernardo Bertolucci.
Regista ma anche sceneggiatore e attore dei suoi film, con illustri predecessori in questo difficile compito come Charlie Chaplin, la brillantezza di questo autore nella versione italiana è stata sicuramente accentuata dal doppiaggio impeccabile dell’attore, doppiatore e cabarettista Oreste Lionello che, oltre a Groucho Marx, Chaplin e Gene Wilder doppiò anche Allen, a partire dal suo esordio in Ciao Pussycat. Secondo un interessante articolo del sito frammentirivista.it, firmato da Yuri Cascasi, nel 2009, fu proprio Allen a dedicare un videomessaggio di ringraziamento a Lionello, scomparso lo stesso anno, durante il galà del Gran Premio del Doppiaggio. In quell’occasione egli ricordò che ebbe il privilegio di incontrarlo e disse “tutta la mia popolarità in Italia è in gran parte merito suo. È stato abilissimo nel farmi sembrare un attore migliore e una persona più divertente di quanto sia davvero, mi ha reso un eroe agli occhi del pubblico italiano”.
Foto in alto: Woody Allen a Cannes nel 2016 (CC wikicommons)



