Tra telefoni bianchi e high society, ecco a voi Ghitta Carell, genio del ritratto fotografico

Personaggi e Storie

di Michael Soncin

In mostra a Villa Necchi Campiglio fino al 12 ottobre. È stata la regina dei salotti, ha fissato l’immagine dei potenti, dell’aristocrazia e dell’alta società del suo tempo. Eppure i suoi ritratti sono pieni di delicatezza e sensibilità. Da Margherita Sarfatti a Benito Mussolini, da Pio XII a Cesare Pavese, un’epoca è transitata davanti al suo obiettivo.  Una vita avventurosa e piena di glamour, dall’Ungheria a Israele, dove si spegne nel 1972. I suoi celeberrimi scatti sfilano oggi in una mostra voluta dal FAI a Villa Necchi Campiglio a Milano. Talento, tecnica, creatività: i suoi clic celebrano l’Italia tra le due guerre

 

Una mostra e due libri celebrano la ritrattista ebrea di origini ungheresi, in Italia la più famosa e ricercata tra le due guerre. Lo scopo è di rivalutare la sua opera tra i grandi nella fotografia del Novecento, facendo conoscere anche aspetti privati meno noti, prima e dopo il periodo d’oro.

C’era la fila. Nel suo studio di Roma e Milano aspettavano tutti lei. Davanti al suo obiettivo sono passati i massimi protagonisti dell’epoca: dal mondo della politica a quello della cultura, dall’aristocrazia all’alta società e persino i maggiori esponenti della Chiesa. Nell’arco di 40 anni hanno posato per lei Vittorio Emanuele III, Margherita Sarfatti, Benito Mussolini, Cesare Pavese, la regina madre d’Inghilterra Elizabeth, le famiglie Mondadori e Pirelli, Walt Disney, Pio XII e Giovanni XXIII. Tutti volevano mostrarsi sotto il suo flash, in Italia e oltre i confini. Scatti nitidi, intensi ed eleganti, in mostra a Villa Necchi a Milano, costituiti da uno stile dove classicismo e modernità si fondono, dando vita a un’estetica nuova. È la firma distintiva di Ghitta Carell (1899-1972) che con la fotocamera sapeva infondere ai suoi soggetti bellezza, carattere e prestigio. Era capace di farli apparire non per com’erano, ma per come avrebbero voluto essere. La sua fortuna ha inizio nel 1924 quando, dalla terra nativa ungherese, si reca in visita a Firenze, decidendo poi di rimanervi.

FU DAVVERO UNA “FOTOGRAFA DEL POTERE”?

«La sua arte merita senza dubbio un risarcimento critico che ne riconosca l’alto livello e la complessità, spesso trascurata nel corso della storia». Lo scrive Roberto Dulio, curatore dell’esposizione e maggior esperto della Carell in Italia, nel saggio Un ritratto mondano. Fotografie di Ghitta Carell. L’autore spiega che l’interpretazione della sua opera è stata spesso deformata da filtri ideologici, revisionisti e stereotipata da giudizi tanto encomiastici quanto superficiali.

Esplorandone la biografia, sia umana sia artistica, affiora un’arte molto più sofisticata di quanto hanno fatto credere le riduttive e affrettate etichette di “fotografa del potere” o “fotografa dell’anima”. Certamente non possiamo dimenticare foto ingombranti come quella fatta a Benito Mussolini che ha pesato come un macigno sulla sua esistenza. Ma Ghitta è stata prima di tutto un’artista, un’imprenditrice capace di farsi spazio in un mondo di uomini. Non aveva legami diretti con il regime fascista, ma i suoi ritratti erano considerati utili ai fini propagandistici. “Io faccio fotografia per i posteri”, aveva confidato la fotografa all’assistente Elena Cannino, per dire forse, viste le critiche, che suoi ritratti sono una testimonianza fedele di un’epoca, incluse le sue ambiguità e aberrazioni. Un’epoca tragica che, essendo ebrea, ha segnato anche lei. L’ultima volta che compare il ritratto del duce con la sua firma è il 1937. Le leggi razziste del 1938 sconvolsero la sua vita come quella di tutti gli ebrei italiani. Non sarà perseguitata, ma il suo nome e il suo ruolo verranno cancellati e assieme a loro la sua fama si spegnerà. Durante gli anni della guerra si nasconde tra Roma e Milano, grazie all’aiuto degli amici. Dopo la Liberazione riprende la sua attività, ma non ritroverà più la popolarità degli anni Trenta.

DENTRO L’ATELIER

Osservando le fotografie è evidente il gioco di acrobazie nell’unire contesti diversi, spesso tra loro opposti, come la ritrattistica rinascimentale e barocca con il gusto per le immagini piene di sfarzo delle star di Hollywood. Chi non vorrebbe apparire così? Ogni suo ritratto è tratteggiato da un tocco di sofisticato glamour. Utilizzava un’attrezzatura tradizionale, una grande macchina con cavalletto, che non è altro che un apparecchio con lastre di grande formato (18x24cm), sostituito all’occorrenza da macchine portatili, sempre delle stesse dimensioni. Nel vederla all’opera sembrava di essere nell’atelier di un pittore più che di un fotografo. Ritoccava le immagini fissate sulla lastra come oggi si farebbe con filtri e programmi digitali, sostituiti a quell’epoca da matite, colori, pennelli e raschietti.

RICORDI DI FAMIGLIA TRA UNGHERIA E ISRAELE

Di Ghitta Carell conosciamo bene la parte centrale della sua esistenza, quella passata in Italia, poco invece delle sue origini in Ungheria e meno ancora del trasferimento in Israele. A parlarne è Marina Trivella in un saggio raccolto nel volume fotografico Ghitta Carell’s Portraits. Nasce col nome di Margit Klein in una famiglia di ebrei ortodossi, la madre era una casalinga, il padre proprietario di una fabbrica di scarpe e gabbai presso la sinagoga locale. Il quartogenito dei Klein, Sandor, era un pugile e fu una delle vittime della Shoah. Nel 1948, Benjamin, fratello minore di Ghitta, fece parte dell’ultimo gruppo della Berihah, “Fuga”, l’operazione clandestina di trasferimento degli ebrei dell’Europa centrale a Eretz Israel. Ghitta viene ricordata dalle testimonianze dalla famiglia come una donna tutt’altro che casalinga. Non cucinava e amava pranzare al ristorante, occasionalmente in compagnia della corrispondente a Roma del quotidiano israeliano Haaretz. “Aveva un carattere molto forte, sapeva essere irascibile”, racconta il nipote Pinhas. Nella sua residenza romana aveva ospitato, su loro richiesta, la gran parte degli esponenti del movimento sionista. Durante la sua prima visita in Israele nel 1957, Ghitta colpiva per l’incredibile eleganza che contrastava con la situazione di un paese appena uscito dalla Guerra del Sinai. In Israele si trasferirà definitivamente nel 1969, scomparendo tre anni dopo, nel 1972 ad Haifa, dov’è sepolta. Al suo funerale parteciparono, oltre alla pronipote Ilana, allora soldatessa, un esiguo gruppo di persone.

Roberto Dulio, Un ritratto mondano. Fotografie di Ghitta Carell,
Johan & Levi editore, pp. 108, € 10,00

A cura di Roberto Dulio e Maria Sica, Edizione in inglese ed ebraico, 50 illustrazioni
a colori e in b/n, 5 Continents Editions, pp. 128, euro 35,00

 

La mostra

Più di cento opere tra fotografie, lettere, cartoline, libri, documenti d’archivio, filmati storici e l’attrezzatura esposta per la prima volta. È quanto troverà il visitatore alla mostra Ghitta Carell. Ritratti del Novecento fino al 12 ottobre 2025, presso Villa Necchi Campiglio di Milano, in collaborazione con l’Istituto Italiano di Cultura di Haifa. Ghitta Carell lascia un patrimonio di oltre 50.000 lastre, ma molte sono andate perdute. Il FAI ha lanciato un appello Call for portraits, per ritrovare le fotografie di Ghitta Carell rimaste nei cassetti delle case dei milanesi. Le foto possono essere segnalate inviando una mail a mostraghittacarell@fondoambiente.it fino al 3 ottobre 2025. Le opere selezionate verranno chieste in prestito per la mostra in corso.

 

 

 

 

 

 

 

Da sinistra: Piero Portaluppi, Giovanna Magnifico, Maria José del Belgio, Principessa di Piemonte, stampa con dedica (tutte le immagini sono di Ghitta Carell ๛ Fondo Necchi Campiglio – FAI)

 

Foto in alto: un ritratto di Ghitta Carell con la sua macchina fotografica, nella mostra a Villa Necchi (foto ๛ Barbara Verduci 2025 – FAI)