Philip Rpth

Philip Roth, da Newark al vertice della Letteratura americana (anche senza il Nobel)

di Ester Moscati

Quest’anno il premio Nobel non sarà assegnato, per una storia “erotica”, di molestie. Il Nobel 2018 è una sorta di premio “fantasma” quindi, e la cosa forse avrà divertito l’autore de Lo scrittore fantasma, che ha portato l’erotismo alle vette più alte della Letteratura e che, nonostante la sua indiscussa grandezza, non è mai stato ritenuto degno dell’Accademia.

Per una crisi cardiaca Philip Roth, nato il 19 marzo 1933 a Newark, nel New Jersey, è morto questa mattina a 85 anni, nella fattoria del Connecticut dove si era ritirato negli ultimi anni, lasciando l’Upper West Side di New York. Termina oggi la sua “fortuna”, quella di vivere, per un uomo che alla vita, alla vitalità incontenibile, ha dedicato la sua arte, la sua penna, la sua forza narrativa.

Lo scorso gennaio aveva parlato della vecchiaia e della morte in un’intervista a Charles McGrath sul New York Times: «È stupefacente trovarmi ancora qui, alla fine di ogni giornata. Andare a letto di notte e pensare sorridendo che “ho vissuto un altro giorno”. E poi è stupefacente risvegliarsi otto ore dopo e vedere che è la mattina di un nuovo giorno, e sono sempre qui. “Sono sopravvissuto a un’altra notte”, penso, e mi viene da sorridere di nuovo. Vado a dormire sorridendo e sorridendo mi risveglio. Sono molto felice di essere ancora vivo. Da quando va così, di settimana in settimana, di mese in mese da quando sono andato in pensione, mi è nata l’illusione che quest’andazzo non finirà mai, anche se ovviamente lo so che può finire da un momento all’altro. È come un gioco che faccio giorno dopo giorno, un gioco dalla posta molto alta che per ora, contro ogni previsione, continuo a vincere. Vedremo quanto andrà ancora avanti la mia fortuna».

Dal suo ultimo romanzo, Nemesi, del 2010 (che tutti i no-vax dovrebbero leggere) aveva deciso di non scrivere più, «Raccontare storie, una cosa che è stata preziosa per tutta la mia vita, non è più centrale. È strano, non avrei mai immaginato che una cosa del genere potesse accadermi», ma la sua eredità letteraria è corposa, anche se non immensa: oltre 30 romanzi, saggi, interventi, dialoghi, interviste… da cui emerge quella caratteristica che, secondo Harold Bloom, fa di Philip Roth uno dei pochi scrittori americani contemporanei davvero Grande, e cioè la capacità di “influenzare” e di “confrontarsi” con gli altri grandi della letteratura. Un Maestro, insomma.

Dalla psicanalisi, alla ebraicità del suo mondo di origine, dal laicismo all’ironia, dal sesso come forza vitale, alla storia americana… è un mondo vasto quello che Roth ha raccontato in 60 anni di scrittura, attraverso  alter ego come Nathan Zuckerman o Alexander Portnoy, che sono cresciuti con lui diventando personaggi complessi, che dietro una maschera di successo nascondono spesso profondità insondabili, segreti e pozze di dolore nero, come ne La macchia umana o il suo capolavoro, Pastorale Americana che gli valse il Pulitzer.

Addio a un Maestro, dunque, che ha avuto l’onore raro di vedere pubblicata – in vita – la sua opera omnia dalla Library of America e che lascia milioni di fedeli lettori con la sensazione di aver visto, in una stanza buia, spegnersi la luce.