E gli ebrei gridarono: viva l’Italia unita!

di Raffaella Podreider

A 150 anni dall’Unità, ricordiamo il contributo degli ebrei italiani. A fianco di Mazzini, Cavour e Garibaldi idearono le strategie e lottarono per l’indipendenza. Nel segno di Carlo Alberto.

Si gettarono nella mischia come Ebrei e ne uscirono come Italiani; questa è la frase che meglio rappresenta quanto accadde ai giovani ebrei che, pieni di speranze e di entusiasmo, si unirono alla lotta dei patrioti dal 1820 alla conquista di Roma nel 1870.

Gli ebrei compresero e appoggiarono con tutti i loro mezzi e le loro capacità il desiderio d’indipendenza degli italiani e, al contempo, i patrioti sostennero, con scritti e petizioni, le richieste di emancipazione degli ebrei: per la prima volta nella storia l’emancipazione ebraica era considerata un atto di giustizia che faceva parte del programma delle rivendicazioni italiane e, come tale, era auspicata e richiesta attraverso i loro scritti da autorevoli menti liberali come Cattaneo, Gioberti, Tommaseo, Balbo e i D’Azelio.

Mai come durante il Risorgimento e le lotte per l’Indipendenza, gli ebrei si sentirono parte attiva, vitale, carne e sangue della Penisola. Da Torino a Trieste, da Modena a Livorno, ovunque ci fosse una Comunità Ebraica, i giovani abbracciavano con entusiasmo mai provato le istanze liberali e per la prima volta, potevano identificarsi con una nazione da individui paritari, senza dover rinunciare ai propri valori.

Si può ritenere che vi fosse un’autentica assonanza culturale e ideale tra ebrei e patrioti che chiedono la libertà religiosa per tutti gli a-cattolici.

Molti furono gli “israeliti”, nome dato agli ebrei perché scevro da connotazioni razziali, che parteciparono alla lotta: a Torino i Paggi, a Modena nel ’20 Abramo Fortis e Israel Latis, ai moti del ‘31 Angelo ed Enrico Usiglio, Ottolenghi e Montefiore a Livorno, i Todros e David Levi più tardi a Torino.

Ciro Finzi, quindicenne, partecipò alle 5 Giornate di Milano; sarebbe poi caduto in difesa della Repubblica Romana con Giacomo Venezian. E ancora Giuseppe Finzi di Rivarolo e Giuseppe Rovere, triestino; come fu triestino ed ebreo il primo morto per la libertà.

Nel ’48, nella I Guerra d’Indipendenza, i giovani ebrei piemontesi costituivano la VII Compagnia Bersaglieri volontari e partivano per il fronte esortati dal rabbino stesso.

Il 29 marzo 1848 il Re Carlo Alberto firmava il Decreto di Emancipazione per gli ebrei del Regno di Sardegna, nello stesso giorno in cui nel 1516 era stato istituito a Venezia il primo Ghetto. Del governo provvisorio di Venezia, costituito da Daniele Manin nel ’48, facevano parte Leone Pincherle come Ministro dell’Agricoltura e del Commercio e Isacco Pesaro Maurogonato, come ministro delle Finanze, mentre i rabbini Samuele Olper e Abramo Lattes erano nominati Membri dell’Assemblea.

Nel 1849, tre israeliti: Giuseppe Rovere, Abramo Pesaro e Salvatore Hanau erano nominati nell’Assemblea Nazionale della Repubblica Romana. Dal 1852 Cavour, grande amico degli ebrei, nominò Isacco Artom suo segretario e l’avv. Giacomo Dina direttore de L’Opinione, organo di stampa della politica cavouriana. Nel 1859 nel Governo Provvisorio di Toscana, era chiamato Sansone D’Ancona alle Finanze e ai Lavori Pubblici.

Alla spedizione dei Mille, prendevano parte otto ebrei, fra i quali il Capitano veneziano Davide Uziel e il Colonnello Enrico Guastalla, nato nel 1826 a Guastalla, in provincia di Reggio Emilia, località dalla quale la famiglia aveva preso il nome.

Enrico aveva partecipato ai moti del ’48 nei Bersaglieri Mantovani, nel ’49 alla difesa della Repubblica Romana come ufficiale, meritando da Garibaldi il soprannome di “Caporale di Vascello”, nel ’59 aveva combattuto a San Fermo e Varese come sottotenente dei Cacciatori delle Alpi, nel’60 era Capo di Stato Maggiore in Sicilia. Ferito nella battaglia del Volturno fu promosso Tenente Colonnello. Dopo la guerra del ’66, meritò la decorazione dell’Ordine Militare dei Savoia. Fu poi eletto al Parlamento Italiano e svolse un’opera meritevole nello sviluppo del Museo del Risorgimento a Milano, dove morì nel 1903.

Andando al Tempio Maggiore in via Guastalla o attraversando i giardinetti omonimi potremmo rivolgere un pensiero al Colonnello Enrico che molto si adoperò con coraggio e abnegazione alla causa dell’unificazione italiana. È l’esempio di un ebreo che si gettò nella lotta risorgimentale e ne uscì come cittadino italiano a pieno titolo, non più discriminato per il suo credo.