Murales a Berlino

Ebrei all’ombra del Muro di Berlino e del Regime, fra ricordi, interrogativi e celebrazioni

di Roberto Zadik
Sono passati trent’anni da quella storica “Caduta del Muro”, il 9 novembre 1989, eppure ben poco si sa su come visse la comunità ebraica locale quegli storici avvenimenti. Quali furono gli stati d’animo e le sofferenze della gente comune e come visse il mondo ebraico quell’evento che cambiò per sempre la storia europea e mondiale e quel tormentato periodo del Muro? (Nella foto un murale con un Maghen David nella parte est della città, dipinto negli anni ’90)

A questo proposito in tema di celebrazioni e di commemorazioni, un articolo, del 17 agosto 2001 uscito sul sito www.jweekly.com, a nemmeno un mese da un altro Crollo, quello delle Twin Towers, riporta alcune testimonianze di chi negli anni ’90 gestiva la Comunità ebraica berlinese e che visse quella fase storica così fondamentale e sorprendentemente così tralasciata. Per quasi un trentennio, dal 13 agosto 1961, un Muro lungo 96 miglia e rigidamente sorvegliato da controlli di polizia, check point e agenti pronti a aprire il fuoco su chiunque tentasse di fuggire a Ovest, “spaccava” in due la città e fra gli abitanti divisi e oppressi da questa invalicabile barriera c’erano anche i membri della Comunità ebraica locale.

La comunità ebraica di Berlino negli anni del Muro

Ma come vivevano gli ebrei berlinesi e chi erano? Si trattava, in quel 1961, di una comunità particolarmente provata dagli orrori della Shoah e formata dai sopravvissuti e dai loro figli e che nel 1933 con l’avvento del nazismo e della dittatura hitleriana vantava ben 175mila presenze, come riporta l’interessante articolo firmato da Tob Axelrod.

Dall’inizio di quel Muro per 28 lunghi anni, la Comunità venne spezzata in due, come il Paese. Seimila ebrei vivevano nella prospera e emancipata parte Ovest della città, che negli anni ‘70 attirò l’interesse di grandi cantautori come David Bowie e il suo amico Lou Reed e la sua omonima “Berlin”, mentre 800 rimasero intrappolati nella povera e disagiata parte Est della città sotto il controllo Sovietico.

Oggi vivono circa 12mila ebrei nella città, in maggioranza provenienti dall’ex URSS  e spesso e volentieri c’è chi inneggia a una “rinascita ebraica” con uno dei centri ebraici più affollati d’Europa anche se gli attacchi antisemiti sono in crescente aumento e la situazione sembra essere molto tesa da diversi anni.

Ma cosa ne pensano i leader comunitari del Muro e quali i loro ricordi? Jerzy Kanal, ebreo polacco, presidente della Comunità dal 1992 al 1997, nato nel 1921 e sopravvissuto ai lager e al Ghetto di Varsavia ha affermato “questo Muro mi ricordava la divisione di Gerusalemme prima della Guerra dei Sei Giorni ma in quel caso la barriera separava gli israeliani dal nemico mentre nel nostro caso ci divideva dalla nostra gente e dalle nostre famiglie”. Una spaccatura profonda non solo geografica ma anche e soprattutto emotiva e famigliare. In tema di ricordi e rievocazioni inedite, anche il Rabbino Andreas Nachama, di origini greche e presidente comunitario dal 1997 al 2001 ricorda perfino le prime fasi della costruzione del Muro. “Eravamo in Italia in quel periodo” ha rievocato “e al telegiornale serale abbiamo visto le prime immagini di quanto stava accadendo e pensavamo fosse l’inizio della Terza Guerra Mondiale”. Figlio del hazan della Sinagoga locale, Estrongo, sopravvissuto ad Auschwitz e nato in Grecia, il Rabbino Nachama ricorda come suo padre inizialmente pensasse di andare a Venezia ma restò nella capitale tedesca ottenendo i permessi, come altri leader comunitari, di attraversare il Muro per celebrare circoncisioni e funerali che avvenivano nella parte Est della città.

Divisioni e separazioni anche ideologiche segnavano i due tipi di ebrei berlinesi e molti erano convinti comunisti nonostante la situazione, altri riuscirono a salvarsi fuggendo a Ovest a tempi delle feroci “purghe staliniane” o in cerca di libertà dall’oppressione sovietica. Questi elementi minacciarono la-sopravvivenza della minuscola Comunità a Est dove c’era una sola sinagoga e la maggioranza di chi scappò a Ovest erano religiosi dove c’erano una serie di Beth Ha Knesset.

Per passare il confine e  sopravvivere ai durissimi controlli e alle restrizioni poliziesche, Kanal ha detto “dovevi avere un permesso speciale per andare a Berlino Est e io non potevo andarci” mentre Nachama ricorda che “mio padre con passaporto greco non aveva problemi”.

Fra le testimonianze anche quella di Salomea Genin, all’epoca dell’articolo 69enne, figlia di una famiglia di ebrei tedeschi scampata al nazismo in Australia e tornata in Germania Est sospinta dagli ideali comunisti a tornare a Berlino Est nel 1972, anno delle terribili Olimpiadi di Monaco di Baviera. Lì rimase molto amareggiata nel vedere un gruppo di ebrei che cercava di dimenticare la Shoah cercando “nonostante questo con gente che sapeva di cosa stessi parlando”. Nel suo racconto ricorda come fosse un taboo “parlare del proprio essere ebrei” in Germania Est e che stranamente il 9 novembre 1989 quando cadde il Muro era il 51esimo anniversario della Notte dei Cristalli in cui i nazisti devastarono e saccheggiarono una serie di negozi ebraici in Germania e Austria.

Kanal nel suo racconto ricorda la felicità ebraica che seguì la Caduta del Muro, nonostante i dubbi nazionali che affliggevano la complessa riunificazione non solo berlinese ma tedesca che ancora oggi presenta differenze notevoli fra le ex “due Germanie”. “Dopo la riunificazione, molte ebrei della Germania dell’Est riscoprirono l’ebraismo e alcuni trovarono una casa spirituale nel Club Culturale Ebraico di allora, che oggi è il Centrum Judaicum che ospita l’attuale Comunità ebraica, oltre a un archivio, a un museo e a una sinagoga Conservative”. Ai tempi della DDR ha aggiunto l’ex presidente comunitario Kanal “gli ebrei di Berlino Est erano più comunisti degli altri, ora sono ebrei liberi”.