Bob Dylan

Bob Dylan, da leggenda vivente a Premio Nobel per la Letteratura

di Roberto Zadik

Bob Dylan
Bob Dylan

Cantautore dalla voce a dir poco singolare e a volte brusco e schivo nei modi, Zushe Ben Avraham (questo il nome ebraico di una leggenda musicale jewish e americana come Bob Dylan) a 75 anni vince il Premio Nobel per la Letteratura. Premiato giovedì 13 ottobre, per aver “creato nuove forme poetiche nella tradizione musicale americana” la notizia ha subito fatto il giro del mondo.

 

Ben pochi se l’aspettavano, ma ai fan del “menestrello di Duluth” (dal nome della piccola cittadina dove l’affascinante e lunatico Robert David Zimmermann nacque il 24 maggio 1941, Gemelli ascendente Sagittario), la sua capacità poetica è nota da tempo. I suoi testi, da “Blowin in the wind”, canzone che lo portò al successo nel lontano 1963, a “The times are a changin” a “Like a rolling stones”, inno alla libertà e al vagabondaggio di cui Dylan fu sempre un esperto, sono ancora oggi autentici capolavori di lirismo e di ispirazione che hanno fatto sognare tre generazioni di appassionati in tutto il mondo.

 

Cosa c’entra Dylan con la letteratura? Moltissimo, infatti secondo varie biografie, splendida quella del giornalista Anthony Scaduto e la sua autobiografia “Chronichles”, fin dall’infanzia pare scrivesse bellissime poesie che dedicava alle tante ragazze innamorate di lui, fra cui la bella Joan Baez che divenne sua partner, e la sua segretaria, Shira Nozinsky che adottò lo pseudonimo di Sara Loundes e divenne sua moglie. Fin dagli anni del Liceo Dylan leggeva voracemente e di tutto, e scriveva e disegnava senza posa.

Personaggio sfuggente, a volte brusco e sarcastico soprattutto coi giornalisti (memorabili e divertenti le sue interviste dove inventava risposte stravaganti), Dylan alternò momenti di silenzio e di isolamento a fasi di grande brillantezza e vivacità, sfornando capolavori come il doppio album “Blonde on Blonde”, nel 1966, pieno di canzoni favolose, come “Just like a woman” e l’album successivo “Highway 61 revited” contenente brani memorabili come “Like a rolling stone”. Musicista, chitarrista, pittore, e se la cava davvero bene, e anche e soprattutto poeta. I suoi testi spesso sono raffinati e oscuri, pieni di riferimenti a grandi autori, come Dylan Thomas (da cui adottò il nome), ai simbolisti francesi, ma anche alla Torah e alla tradizione ebraica. Alcuni esempi?  “Gates of Eden”, “All along the watchtower” rifatta da Jimi Hendrix che era suo amico assieme ad altre celebrità come John Lennon. Convertitosi al cristianesimo negli anni ’80, il cantautore è poi tornato alla religione ebraica e ora sembra sia diventato osservante. Quello che è sicuro è che i suoi testi abbondano di idealismo, ironia, spiritualità e profondità non comuni nella scena musicale contemporanea.

Proprio questa originalità ha attirato i critici del Nobel, assieme alla capacità, davvero unica, di passare da vari generi musicali. Cominciò con ballate folk, ispirato dall’amico Johnny Cash e da Woody Guthrie che fu il suo mentore assieme a Pete Seeger, per poi, dal 1966, darsi al rock psichedelico creando una miscela esplosiva di testi surreali e di atmosfere hippie. L’accademia svedese, secondo le ultime notizie, ha ricevuto e accolto lo schivo Dylan con grandi applausi, nonostante egli apparentemente non ami le mondanità e l’annuncio è stato dato trionfalmente da Sara Danius, segretaria dell’Accademia per il Nobel che, emozionata, ha definito le canzoni del cantautore ebreo americano “una vera poesia per le orecchie”. Ora chissà che sorprese ci riserverà il  cantautore americano che con questo riconoscimento, oltre al grande prestigio del titolo, si porta a casa otto milioni di corone svedesi, una somma pari a più di 800mila euro. Certamente, in questi anni, non è mai stato fermo davvero e sebbene sia rimasto quasi afono, ha sempre continuato a cantare e a esibirsi, a realizzare album e a scrivere poesie, in un continuo flusso creativo e umano, come ben si vede nel bel documentario di Martin Scorsese dove la sua ex Joan Baez l’ha descritto come “una delle persone più difficili che abbia mai incontrato”.