Lontani da dove?

Opinioni

In trent’anni l’ebraismo italiano ha perso il 35% dei propri iscritti. Il confronto tra Milano e Roma è però sorprendente: se Milano è in linea con la media nazionale, mentre si arriva al 44% nelle piccole comunità, a Roma l’emorragia è “solo” del 6%. Perché? E ancora: Chi è ebreo? Che cosa significa essere “vicini” o “lontani”? Dalla Comunità come istituzione, o dagli altri ebrei, o dall’ebraismo? E come affrontare il problema delle conversioni, dei matrimoni misti? Accogliere, aprirsi o chiudersi?

Di tutto questo e molto altro si è discusso lunedì 14 settembre all’incontro dibattito “Quale futuro per la Comunità? Rapporto tra istituzioni e iscritti, vicini e lontani”, voluto dall’assessore alla comunicazione della Comunità di Milano e consigliere Ucei, Yoram Ortona, insieme a Riccardo Hofmann, anch’egli consigliere Ucei incaricato di seguire il progetto “Lontani”. Più di 350 gli intervenuti, decine le domande seguite agli interventi di Renzo Gattegna, presidente Ucei, Daniele Nahum, presidente Ugei, Rav Roberto Colombo, direttore di Kesher delle Scuole Medie della Scuola ebraica, Rav Roberto Della Rocca, direttore Dec Ucei, Benedetto Habib, “Ebreo lontano Doc” e Joseph Sassoon, sociologo.

Lontani da dove, vicini a che cosa? Gli ebrei di Milano si interrogano sul drammatico problema del calo demografico. Per agire al più presto

Sulle note e le parole del cantante israeliano Idan Raichel, si apre l’incontro del 14 settembre organizzato dalla Comunità Ebraica di Milano, “Quale futuro per la Comunità: rapporto tra Istituzioni e iscritti, vicini e lontani”.
Sei relatori, sei punti di vista, un unico scopo: chiarire quali sono i motivi che hanno portato a un calo drammatico degli iscritti nelle Comunità ebraiche italiane e ideare una strategia comune per “fermare l’emorragia”. Gli organizzatori, Yoram Ortona, assessore alla Comunicazione della Comunità di Milano e consigliere Ucei, moderatore del dibattito, e Riccardo Hoffman, consigliere Ucei con delega al progetto “Lontani”, aprono la serata dipingendo un quadro della situazione e di ciò che urge fare per evitare che l’ebraismo in Italia diventi “museografico e commemorativo”.

I dati presentati da Renzo Gattegna, presidente dell’Unione delle Comunità, parlano da sé. Dal 1975 al 2005 il numero degli iscritti alle Comunità ebraiche italiane è passato da 35.000 a circa 24.000. E il trend è in continua diminuzione. Dall’intervento del presidente dell’Ucei si evince la presa di coscienza del problema da parte delle istituzioni e la consapevolezza che, solo unendo le forze, sarà possibile invertire l’andamento al ribasso delle iscrizioni. È necessario che le Comunità dialoghino fra loro, che quelle piccole creino delle sinergie con quelle più grandi, evitando quella duplicazione delle attività che spesso porta a uno spreco di risorse preziose. D’altronde le Comunità, come le definisce dal punto di vista teorico il sociologo Joseph Sassoon, vengono paragonate ad organismi viventi. Che vivono grazie alle attività sinergiche dei diversi organi. E mutano nel tempo, adattandosi all’ambiente circostante.
Quattro elementi, economico, politico, sociale e valoriale, stanno alla base delle metamorfosi delle Comunità. E dei fattori di contrasto. Ma, ricorda Sassoon, “Gli ebrei sono rappresentati dalla iod, iniziale della parola iehudì. Se stanno l’uno a fianco dell’altro, formano uno dei Nomi; ma se pretendono di sovrastarsi a vicenda, di essere uno migliore dell’altro allora è tutta un’altra storia”.


La comunità clessidra

Oggi, le comunità vanno assumendo sempre di più la struttura di una clessidra, i cui estremi sono formati da una parte dagli ebrei molto lontani dalla religione e dall’altra da quelli che invece rivelano un attaccamento molto forte alle tradizioni; la parte centrale, quella degli ebrei legati all’ebraismo dalle tradizioni familiari, dalla cultura e magari dall’amore per Israele, ma sostanzialmente laici, si sta via via assottigliando, e invece si vorrebbe poter riuscire ad allargare questo “centro”, aumentarne il volume, perché è quella parte che congiunge e tiene unite le altre due.
Kesher, organizzazione diretta da rav Roberto Colombo, ci sta provando. L’esperienza racconta di risultati positivi e di una modalità d’azione che forse si potrebbe replicare su larga scala in tutta Italia. Incontri settimanali, telefonate personali, collaborazione con altre entità ebraiche presenti sul territorio, sono alcune delle metodologie di questo gruppo che è giunto ad avere circa 300 iscritti nell’arco di pochi anni.
Esistono altri gruppi, soprattutto giovanili, che lavorano per cercare di offrire un punto di riferimento ebraico e che Benedetto Habib, autodefinitosi un ebreo lontano, elogia per la loro capacità d’agire: Shorashim, Benè Akiva, Hashomer Hatzair. Daniele Nahum, presidente dell’Ugei, auspica che la partecipazione alle attività esistenti aumenti sempre più. Ma, per poter raggiungere questo obiettivo, dichiara la necessità di affrontare, sotto forma di dibattiti e incontri, argomenti numerosi e diversi tra loro, talvolta anche spinosi, per poter capire meglio quali sono le motivazioni che spingono gli ebrei ad allontanarsi dalle istituzioni comunitarie e cosa desidererebbero venisse loro offerto per evitare questo allontanamento.
Anche se sul concetto di allontanamento sono emerse diverse definizioni e punti di vista. Siamo sicuri che gli ebrei lontani siano quelli che non si iscrivono alle Comunità? O, come sostiene rav Roberto Della Rocca, “non c’è persona più lontana di colui che, essendo stato prima vicino, si allontana. Né persona più vicina di chi si avvicina, dopo essere stato lontano”? Ricordiamo che il più “vicino”, addirittura il gemello di Yakov, è Esav, che sarà poi il più lontano dall’ebraismo. Bisogna capire perché questo vicino si allontana, perché non vi è più quella identificazione che una volta si incentrava soprattutto su un comune denominatore: quello culturale e religioso.


La voce del pubblico

Alcune risposte le fornisce, seppure a tarda serata, il pubblico. Si parla di tendenza delle Comunità, ad esempio quella di Milano, a diventare più religiose, più rigide nell’applicazione della Halakhà. Obiezione a cui dà risposta rav Della Rocca, con la citazione del primo articolo dello Statuto delle Comunità ebraiche italiane, secondo il quale esse “si basano sulla tradizione e sulla cultura ebraica”, che altro non è che Torà e Halakhà. Ci si domanda perché la città di Roma ha subito un calo percentuale di iscritti nettamente inferiore a quello registrato dalle altre comunità d’Italia (- 6% nell’urbe, nulla di paragonabile al tracollo di Milano, -35%, che rappresenta numericamente la metà di tutti gli ebrei “persi” in Italia). Roma è una comunità stabile e composita, afferma Renzo Gattegna, in cui le persone, seppure con origini diverse, riescono a collaborare insieme per il bene comune.
Ma la vera domanda non è forse stabilire “chi è ebreo?”, dice dal pubblico Joe Shamma. Questa ri-definizione potrebbe aprire le porte a chi oggi, magari perché figlio di matrimonio misto, non si sente accettato dalla Comunità. Che cosa significa poi essere “vicini” o “lontani”? Se lo domanda Walker Meghnagi. “Vicini o lontani da dove?, dalla Comunità come istituzione, o dagli altri ebrei, o dall’ebraismo?”. Mancavano infatti alla serata i maggiori esponenti delle edòt persiana, libanese e del gruppo Chabad, tradizionalmente vicini all’osservanza. L’economista Rony Hamaui ha sottolineato l’importanza dell’offerta di opportunità relative alla vita e alla cultura ebraica, raccontando come, negli States, siano cresciute le Comunità più dinamiche e propositive. Andrea Jarach ha chiesto come mai si chiudono gli occhi di fronte alla realtà milanese che ha visto in questi ultimi anni nascere due nuove sinagoghe, quelle di Beth Shalom e Lev Hadash, di orientamento Reform. Accettati a tutti gli effetti in Israele, presenza maggioritaria nel mondo, a Milano non vengono neppure presi in considerazione. Perché?

Matrimoni misti, conversioni, la questione dei riformati. Temi caldi che hanno mobilitato 350 persone. Con qualche polemica


Un altro tema affrontato dal pubblico, quello dei matrimoni misti e delle conversioni. Accogliere, aprirsi o chiudersi? I numerosi interventi di chi ha gremito l’Aula Magna Benatoff, più di 350 persone presenti, hanno dimostrato un vibrante interesse verso la questione. Rimane aperto un quesito: in Italia 70.000 persone sottoscrivono l’8 per mille per le Comunità ebraiche. Chi sono? Possono essere coinvolti per altre iniziative, per progetti specifici? Ci sono degli ebrei nascosti tra loro? La volontà di avvicinare gli ebrei lontani emerge chiaramente da parte di tutti, oratori e persone presenti nel pubblico. La necessità di adottare una strategia comune immediata, dove la collaborazione tra istituzioni, gruppi, associazioni e organizzazioni è d’obbligo al fine di fermare l’allontanamento. Il vantaggio non sarà solo collettivo ma anche individuale. Perché, come afferma rav Soloveichik “dobbiamo imparare a essere egoisti e pensare agli altri”. “L’individualismo è il male della Comunità di Milano, ma far parte di una comunità significa occuparsi l’uno dell’altro”, dice rav Arbib. La sopravvivenza delle Comunità non è un problema che riguarda solo la collettività ma impatta sulla vita di ogni singolo ebreo italiano.