La domanda scomoda

Opinioni

di Angelo Pezzana

Perché l’Anp, guidata da sei anni da un presidente “scaduto”, è “moderata” e Israele, unica democrazia della regione, è “cattiva”? Chi vuole davvero il dialogo?

Se c’è una fama non meritata è la cosiddetta “moderazione” della Autorità nazionale palestinese, in contrapposizione con la definizione “terrorista” di Hamas, riconosciuta ufficialmente a livello internazionale, anche se viene accuratamente dimenticata nelle cronache su Gaza. Abu Mazen è moderato per definizione, poco importa che la sua carica di presidente sia scaduta da sei anni e le elezioni puntualmente rinviate sine die per il semplice motivo che sarebbe Hamas a vincerle. Al Fatah governa i territori e gli eventuali concorrenti sgraditi – come Mohammed Dahlan – per non essere arrestati vivono all’estero, impediti quindi a candidarsi. Ma Dahlan non piace nemmeno ai palestinesi, che fanno invece il tifo per Marwan Barghouti, che sta scontando in una prigione israeliana cinque ergastoli. È lui il leader che vorrebbero come guida. Con quale obiettivo? Fare la pace con Israele? Difficile crederlo, visto il curriculum del pluri-omicida.
Una soluzione dovrà essere trovata, perché, prima o poi, la speranza tornerà a rifiorire dopo gli otto anni di politica mediorientale dell’Amministrazione Obama, che lascia dietro di sé una regione devastata da guerre civili e massacri. Mentre scriviamo, dare un giudizio sulle scelte che prenderà Donald Trump è prematuro, anche se le prime dichiarazioni sono tutte impostate al raggiungimento della pace, con il richiamo al progetto tuttora in discussione dei “due stati per due popoli”; che però di risultati finora non ne ha dati, anzi, anno dopo anno è risultata sempre più netta l’intenzione palestinese di volere sì uno stato, ma che inglobasse anche Israele. Guerre, intifade, tutte fallite, sono sempre presenti nell’agenda palestinese, in modi diversi, dipende se la gestione è di Hamas o Anp.
Trump, fra le sue prime dichiarazioni, ha detto che con lui ci sarà la pace. Come arrivarci non l’ha ancora chiarito, ma l’ha affermato. Come ha reagito Israele? Bibi Netanyahu si è congratulato, secondo la tradizione, con il vincitore, dicendo che è un vero amico di Israele, con lui lavorerà per garantire pace e sicurezza, grazie a una forte e duratura alleanza fra i due paesi. Così si esprime un leader politico. Sopra le righe è invece andato Naftali Bennett, quando ha dichiarato che è finita l’idea di uno stato palestinese, Israele deve cancellarla dal proprio programma in quanto pericolosa per la sicurezza, aggiungendo che Trump la pensa in questo modo. Un progetto politico chiaro sulla futura politica mediorientale americana non ci risulta sia già stato fatto conoscere, ma anche se queste fossero le reali intenzioni del nuovo presidente Usa, interpretarle in quel modo ottiene un effetto opposto. Israele assume il ruolo del “cattivo” che cancella le “legittime aspirazioni palestinesi”, invece di essere, quale è, una società democratica che si difende. Indossa l’abito di chi rifiuta il dialogo. Esattamente l’inverso da quanto è avvenuto dal 1948 a oggi.
Ci sono dei pensieri che devono rimanere tali, se diventano affermazioni pubbliche fanno danno. Da qui la domanda: ragiona così un leader?