Beniamin e Sara Netanyahu

In 70 anni di guerra, Israele è rimasto uno Stato democratico, come il suo leader Bibi. Come si fa a non capirlo?

di Angelo Pezzana

[La domanda scomoda] Israele ha un sistema elettorale proporzionale, se possibile ancora più estremo del nostro, per cui il governo che ne deriva è sempre una coalizione.

Così è avvenuto lo scorso aprile, con il risultato che ha costretto Netanyahu a indire nuovamente le elezioni anticipate il 17 settembre prossimo, un avvenimento unico nella storia di Israele, per l’oggettiva impossibilità di avere una maggioranza. Non era l’unica opzione, avrebbe potuto, secondo una prassi comune, avvalersi di un compromesso, promettere ai partiti religiosi che sarebbe venuto incontro alle loro richieste e fare altrettanto con Avigdor Lieberman, promettendo anche a lui mari e monti, attitudine molto diffusa anche da noi quando c’è da tenere in piedi un governo pericolante. Netanyahu ha invece escluso questa possibilità, ha scelto di indire nuove elezioni, con il rischio di perderle, cosa tutt’altro che improbabile considerando l’attribuzione dei seggi delle precedenti elezioni.

Se questa scelta l’avesse fatta un premier di un altro paese democratico europeo, gli elogi si sarebbero sprecati: leader coraggioso, un politico dalla schiena diritta, rifiuta un compromesso e mette a rischio la propria rielezione, quando poteva tirare a campare come fanno tutti e via di questo passo. Invece no, tutti i media, persino i giornali di serie A sono andati giù pesanti: Corriere della Sera “Bibi resta solo”, La Repubblica “Netanyahu, l’ultima sconfitta”, La Stampa “Smacco a Netanyahu”, simili a quelli che non perdono mai un’occasione per attaccare Israele: Il Manifesto “Il crollo di Bibi, il grande mago”, Il Fatto quotidiano “Il Bruto israeliano che ha pugnalato King Netanyahu”.

In un caso simile, avrebbero usato lo stesso linguaggio per Macron, Merkel, May, tanto per fare dei nomi? Netanyahu, oltre all’essere israeliano, ha governato troppi anni per non destare invidie a casa propria e ostilità in altri Paesi, invece di sottolineare come Israele, pur vivendo da 70 anni in un clima di guerra, è riuscita a salvaguardare le proprie istituzioni democratiche da qualsiasi tentazione autoritaria. Un merito troppo grande da riconoscere allo stesso uomo. Quello che impressiona è però l’uniformità delle critiche, che ricordano sempre – non importa quale sia il contenuto – che Bibi è sotto indagine, che potrebbe essere condannato, che il Procuratore Generale dello Stato sta per incriminarlo, peccato che non abbia le prove sufficienti. Insomma, Bibi non è innocente, ma mancano le prove per giudicarlo colpevole. Come si fa a non capire che la sua costante demonizzazione mette in dubbio le radici democratiche di Israele?