Membri delle Brigate Izz ad-Din al-Qassam, braccio armato di Hamas (20 luglio 2017)

Gaza, Hamas e Israele: quanto dura una pace firmata col fanatismo?

Opinioni

di Gastón Saidman

Ci sono aspettative positive in merito agli ultimi accordi, presentati dalla stampa come una possibile soluzione efficace al conflitto tra Hamas e Israele. La verità è che nell’aria si respira una sensazione di pace, sollievo e tranquillità dopo due anni di guerra che hanno inciso sul morale sociale della regioni. Tuttavia, molti di noi sono consapevoli che queste sensazioni potrebbero essere momentanee.

Per chi conosce l’accordo solo in linea generale, riassumo qui i suoi punti principali: la liberazione di tutti i rapiti, la cessazione degli attacchi israeliani contro obiettivi nella Striscia di Gaza, l’ingresso massiccio di aiuti umanitari, la ricostruzione delle zone colpite e la speranza di accedere a trattamenti medici innovativi che migliorino la qualità della vita nella regione.

Detto questo, conoscendo la cultura politica della regione e, in particolare, quella che vige a Gaza, non possiamo ignorare che Hamas non è solo un’organizzazione terroristica, ma anche un attore politico che influenza da decenni la popolazione gazawi, così come l’opinione generale della società palestinese o filopalestinese. Quest’ultima, a quanto pare, ignora i crudeli attacchi perpetrati da Hamas il 7 ottobre 2023 contro civili israeliani, e continua a riconoscere tale organizzazione come l’unico rappresentante legittimo del popolo palestinese.

Il problema è il seguente: sottovalutare Hamas perché non dispone di un armamento convenzionale è un errore. L’influenza ideologica di questa organizzazione, basata sulla distruzione dello Stato di Israele, si è coltivata sin dalla sua fondazione negli anni ’80. La sua presenza si è rafforzata nell’opinione pubblica dopo gli Accordi di Oslo, negli anni ’90, e ha raggiunto il suo apice con la divisione dell’Autorità Palestinese nel 2007, quando prese il controllo della Striscia di Gaza.

Questo controllo includeva i territori evacuati da Israele durante il “Piano di ritiro unilaterale” del 2004, promosso dall’allora primo ministro Ariel Sharon, con la speranza che quella rinuncia territoriale scuotesse il mondo, e in particolare il popolo palestinese.

Il risultato è stata la tragica realtà che destò Israele il 7 ottobre 2023: un attacco massiccio lanciato proprio dai territori che Israele aveva abbandonato, il che confermò i timori di molti analisti che, all’epoca, furono squalificati come estremisti. Il nemico, come avvertivano, non cercava la pace.

Oggi, forse, dovremmo scusarci con coloro che videro arrivare ciò che molti si rifiutarono di accettare. La strage del 7 ottobre dimostra che, almeno da Gaza, non c’è un interesse reale a raggiungere una pace duratura.

L’ideologia come arma principale

In sintesi, si può dire che, in Medio Oriente, l’influenza esercitata attraverso l’ideologia è considerevolmente più potente di quella basata su incentivi economici, come avviene in gran parte del mondo occidentale.

L’ideologia di Hamas, come accennato sopra, si fonda sulla distruzione dello Stato di Israele, e a supportarla c’è il Qatar, il che le ha permesso di agire con maggiore libertà nella sua offensiva.

Questa ideologia di annientamento, contraria ai valori della cultura occidentale di cui Israele è parte fondamentale, non si regge su un pensiero sociale moderno e collettivo, ma su un’interpretazione estrema delle leggi religiose islamiche.

Proprio ora, Israele ha firmato un accordo basato su valori che non coincidono più con la visione del suo nemico; principi che rispondono a una prospettiva occidentale. Se analizziamo il passato, ogni volta che Israele ha optato per la resa o una concessione, la risposta è stata catastrofica. Perché in Medio Oriente, l’idea di raggiungere un accordo per poi arrendersi non è — né è mai stata — la strada giusta.

L’accordo non porterà Hamas a proteggere alcun interesse del popolo di Gaza né, tanto meno, gli interessi palestinesi nel loro insieme. Stiamo parlando di un’organizzazione assassina che governa con un’ideologia che considera la devozione alla presunta promessa divina per chi partecipa alla jihad (guerra santa) come un’espressione di lealtà alla sua causa.

L’accordo limita l’attività militare di Israele e, in parte, ci ricorda gli Accordi di Oslo e il piano di ritiro unilaterale, che hanno dato mano libera a Hamas per perseguire il suo nefando obiettivo. Potremmo trovarci di nuovo in una situazione simile?

Speriamo di no. Speriamo che l’Occidente resti vigile rispetto ai movimenti di Hamas, perché, anche se è stato firmato un armistizio per chiamarlo così, ciò non garantisce che non ci sveglieremo, tra qualche anno, con un’altra sorpresa.

Ora dobbiamo fare tutto il possibile per indebolire l’influenza di Hamas e ottenere la sua sconfitta totale. Senza quella fase, Gaza rimarrà sotto il suo controllo e il problema non si risolverà.