Una novella di Haim Bialik. Gli ebrei della Volinia. Una storia d’amore proibita. È il racconto della coesistenza fra ebrei e ucraini

Libri

di Cyril Aslanov

[Ebraica. Letteratura come vita] Nel 1909 il poeta Bialik pubblicò nel mensile odessita Ha-Shiloah di Ahad Ha-‘Am una lunga novella intitolata Me-ahorei ha-gader “dietro la barriera”. La storia si svolge in un posto chiamato parvar ha-‘etsim “il sobborgo degli alberi” o “il sobborgo dei legni” e assomiglia a Korostyshiv, una cittadina della Volinia situata a est di Zhitomir sul cammino verso Kiev.

Fu a Korostishiv che, nel 1893, il ventenne Bialik sposò Mania Averbukh, figlia di un ricco negoziante in legno, attività praticata da molti ebrei della Zona di Residenza (incluso il bisnonno dell’autore della presente rubrica). Il Sobborgo dei legni è descritto nel primo paragrafo come un posto dove gli ebrei sono diventati la maggioranza, come in molte cittadine o quartieri di cittadine della Bielorussia o del Nord dell’Ucraina. Solo una vecchia ucraina non ebrea rimase nel quartiere, una contadina poco simpatica che risponde al nome di Shkoropinshchiha. La signora Shkoropinshchiha ha adottato un’orfana chiamata Marinka che costringe a lavorare nell’orto, pieno di tutti i buoni frutti che crescono in Ucraina: l’albicocca, le susine, le ciliegie, le mele… I vicini di questa proprietà sono ebrei (per forza visto che da venti-trent’anni il quartiere è diventato quasi totalmente ebraico). Si tratta di una coppia severa con un figlio unico (fenomeno rarissimo nel mondo ebraico tradizionale dell’Est europeo). Il figlio si chiama Noyekh, cioè Noè, un nome non così frequente nella storia delle diaspore ebraiche ma che costituisce l’anagramma delle iniziali H. N., cioè Haim Nahman, il nome di Bialik.

La barriera che separa l’orto della Signora Shkoropinshchiha dalla proprietà e dal giardinetto della famiglia di Noyekh è importante sia per la sua funzione nell’azione della novella sia per il suo valore simbolico. È attraverso i buchi e gli interstizi di questa barriera che, da piccolissimi, Marinka e Noyekh hanno sviluppato una tenera amicizia che poi si tramuta in amore infantile e giovanile. Tuttavia dal punto di vista simbolico, l’austero modo di vivere della famiglia di Noyekh (sebbene gli ebrei dell’Ucraina e in particolare della Volinia aderissero generalmente al hasidismo che prescrive di servire Ha-Shem nella gioia) contrasta con il mondo non ebraico, vicino alle forze telluriche ed istintive della natura e della grande foresta ucraina (al nord della zona delle Steppe che corrisponde al sud dell’Ucraina). Noyekh è mandato a studiare al kheyder fino all’età di 18 anni. Infatti, non si tratta qui dell’ebraismo lituano e delle sue prestigiose yeshivot ma di una comunità ebraica più interessata alla skhoyre (“commercio”) che alla Toyre, la Torà, lo studio della legge. Per questi ebrei più pragmatici che studiosi il kheyder era sufficiente. Eppure era troppo per Noyekh che era attirato non solo dalla bella ragazza ucraina Marinka ma da tutto il mondo di spontaneità naturale che rappresentava.

Un venerdì sera, quando era già cominciato Shabbat, Marinka e Noyekh entrano insieme in una baita nel giardino della signora Shkoropinshchiha, protetti dal fedele cane di guardia Shkoropin (che ironicamente porta un nome quasi identico a quello della signora). Questa felicità non durò tanto e, poco dopo, Noyekh è costretto a sposare la fidanzata ebrea che gli era stata destinata, un po’ come il giovane Haim Nahman quando sposò Mania. Dopo la huppà, Noyekh e la giovane sposa si isolano in una stanza della casa dei genitori del hatan (lo sposo).

In quel momento, Marinka con un bambino nelle braccia li sta spiando attraverso un interstizio della barriera. Su questo finale aperto si conclude il racconto dell’idillio fra Marinka e Noyekh. Attraverso questa storia potente e drammatica si percepiscono le ossessioni di Bialik che aveva preferito dare libero corso alla sua vocazione poetica (cominciata dal 1891, quando all’età di 17 anni scrisse il suo famoso poema El ha-tsipor, “all’uccello”) piuttosto che studiare nella yeshiva di Volozhin, fondata dal famoso rabbino lituano Hayim da Volozhin (antenato in linea diretta dell’autore di queste righe).

Come Noyekh, Bialik preferiva le storielle con le belle ragazze ucraine alla vita piuttosto noiosa con la moglie Mania, il cui padre impiegava il futuro vate di Israele in qualità di aiutante nella ditta familiare. Eppure, non andò fino alla fine delle sue aspirazioni pagane che lo avvicinavano alla natura ucraina e alle ragazze di quel paese incantevole, la cui atmosfera misteriosa venne espressa con un incredibile potere di suggestione da Gogol’ all’inizio del terzo racconto delle Veglie alla fattoria presso Dikan’ka: “Conoscete la notte ucraina? O, non conoscete la notte ucraina!”.

La magia sensuale e a volte inquietante descritta da Gogol’ esercitò un vero fascino su tutti coloro che l’hanno conosciuto, ucraini come Gogol’, ebrei di Ucraina come Bialik. Dico bene “ebrei di Ucraina” perché in un paese multietnico come l’Ucraina di ieri e dell’altroieri, gli ebrei costituivano un etnos che coesisteva con gli ucraini etnici, i polacchi, gli armeni, gli zingari, i tatari, i moldavi… Un ebreo dell’Ucraina, anche molto legato a questa terra al punto da preferire Marinka alla sposa kesherà, non poteva mai diventare un “ebreo ucraino”. La recente trasformazione dell’antico nazionalismo ucraino esclusivo in un patriottismo inclusivo ha permesso di superare quest’impossibilità: Zelenskij e tutti i combattenti ebrei dell’esercito ucraino che rischiano la loro vita per difendere la patria sono veramente degli ebrei ucraini. Invece Bialik, Sholem Aleichem, Agnon o Paul Celan sono degli scrittori ebrei nati in Ucraina, ebrei dell’Ucraina piuttosto che ebrei ucraini.