Non dire notte

Libri

Un giorno importante per Amos Oz, 68 anni, tra gli scrittori più noti in Israele e a livello internazionale. Ha ricevuto due riconoscimenti a Milano: l’Ambrogino d’Oro del Comune di Milano e il premio Uomo
dell’anno 2007 dalla Associazione Amici del museo d’arte di Tel Aviv. Il suo ultimo libro Non dire
notte
è il primo in classifica in Italia per la narrativa straniera.

Fra i suoi libri più premiati: La scatola nera e Una storia d’ amore e di tenebra.
Ma oltre ad essere uno scrittore, Oz è fra i fondatori del movimento Peace Now, sostenitore della guerra in Libano nell’estate 2006 perché secondo lui Israele aveva diritto a difendersi dagli attacchi degli Hezbollah. Ma il suo obiettivo è quello della soluzione due popoli due Stati.

Mosaico lo ha incontrato a Milano.

Lei vive nel Negev dove Hamas continua a lanciare missile Kassam; che cosa pensa della situazione?

Israele deve difendersi, ma allo stesso tempo deve inseguire il processo di pace, tentare di parlare con i palestinesi moderati. Israele non può parlare con Hamas perché Hamas non riconosce Israele, ma ci sono anche i palestinesi moderati.


Pensa che l’Europa faccia abbastanza per la pace?


L’Europa usa la giusta retorica, ma potrebbe essere più attiva nel tentare di incoraggiare le due parti a negoziare e sostenere i moderati di ambedue le parti.


Israele sta attraversando un periodo difficile; come vede la situazione?

Israele è molto caotico, come l’Italia. Siamo in uno stato di crisi, ma la crisi non è sempre una cosa negativa. A volte penso che la crisi rappresenti un nuovo inizio e che porti a un migliore e più limpido modo di fare politica. Il nostro movimento Peace Now da sempre lavora per ottenere una soluzione con
due Stati, basato su un compromesso storico tra palestinesi e israeliani.

Alice Werblowski


Durante la serata di premiazione come Uomo dell’Anno 2007, Amos Oz ha
tenuto un discorso, di cui riportiamo qualche brano.


Tel Aviv è nata da un sogno e da un libro intitolato Tel Aviv di Theodor Herzl. Tutto in Israele è nato dai sogni e dai libri. Potrei generalizzare e dire che ogni azione umana, ogni essere umano, ogni creazione nasce dai sogni. I sogni vengono prima, i libri vengono prima.
Anche il museo di Tel Aviv nasce
da un sogno molto ambizioso. Tel Aviv era ancora un villaggio, ma aveva già il suo museo. Riflette il fatto che anche se era una piccola città era molto cosmopolita. Nella Tel Aviv della mia infanzia, negli anni Quaranta, c’erano al massimo 100.000 persone. Ogni giorno uscivano 16/17 giornali; ognuno
dibatteva con gli altri su ogni argomento. C’erano almeno 6 teatri, c’era l’opera, il balletto. Tutto quanto nasceva dai sogni. Se uno guarda a Israele oggi potrebbe in una certa misura essere deluso, ma non è il risultato di quello che Israele è veramente, ma dal fatto che il paese è nato da un sogno.

L’unico modo di fare che un sogno sia perfetto e intatto, genuino, è di non abbandonarlo. Il momento in cui abbandoni il sogno, quando questo si realizza diventa imperfetto, c’è un po’ di delusione. La stessa cosa succede quando scrivi un libro, la stessa cosa quando pianti un giardino
o vivi una fantasia sessuale e la stessa cosa succede quando costruisci una nazione. Il fatto che a volte Israele ci delude, non è a causa della natura d’Israele, ma è dovuto alla natura dei sogni, che non si realizzano mai completamente. Una storia di Amore e di Tenebra è la storia della mia vita,
ma anche del sorgere dello Stato d’Israele dalle ceneri. La storia di come un gruppetto di rifugiati ebrei riescono a creare un paese, una nazione.

Nel quartiere di Gerusalemme dove sono nato sessanta anni fa, c’era un postino che si chiamava Baluar. Su ogni lettera che metteva nella cassetta delle lettere, scriveva sulla busta i suoi messaggi per il quartiere. A volte scriveva “non dobbiamo fidarci degli inglesi”. A volte scriveva che eravamo troppo permissivi con i nostri figli e questo non era fargli un favore. A volte scriveva semplicemente cose del genere i tuoi vestiti sono appesi da tre giorni, stai attenta. Per tutto il periodo in cui ho scritto il libro Storia di Amore e di Tenebra, mi sono ricordato del nostro postino. Ho avuto la sensazione che ero io un postino e che stavo portando una lettera dai miei genitori ai miei figli, dai miei nonni ai miei nipoti, da generazioni lontane a quelle ancora da venire. E nella busta, all’esterno io avessi scritto le mie proprie storie. Non mi considero il protagonista di questo libro, non è una storia su di me, ma sui miei antenati, su mia madre, su mio padre. È la storia di una famiglia che si sta disintegrando, mentre sullo sfondo si sta svolgendo un periodo eroico, in un quartiere antieroico.
Mi è successa una cosa molto strana mentre scrivevo il libro. Ho avuto la sensazione di scriverlo per poca gente, un libro che avrebbe avuto un senso per un
piccolissimo cerchio di lettori. Non pensavo che potesse interessare fuori da Gerusalemme, o al massimo in Israele. Non avrei mai pensato che sarebbe stato tradotto in 26 lingue come lo è stato. Questo forse dimostra una cosa magica, una alchimia. Più una storia è locale, provinciale, più una storia può diventare universale.

Nel mio libro, la commedia e la tragedia non sono altro che due finestre dalle quali osserviamo lo stesso paesaggio, il giardino sul retro della casa, la nostra vita. Quando ho raggiunto l’età di sessant’anni è stato il momento in cui sono diventato il genitore dei miei genitori. La tragedia nella
mia famiglia era successa quando mia madre aveva 38 anni e mio padre 40. Erano dei poveri immigrati askenaziti, dei rifugiati, degli immigrati che erano scappati all’antisemitismo in Europa…

Israele è un paese di rifugiati. La metà sono rifugiati scappati all’antisemitismo, l’altra metà e non bisogna dimenticarlo, sono rifugiati scacciati dai paesi arabi e islamici. Quando parliamo sul futuro dei
rifugiati palestinesi non dimentichiamo che un milione di ebrei furono in modo crudele buttati fuori dai paesi islamici e arabi. Israele è un campo di rifugiati, anche la Palestina lo è.

Presentazione di Non dire notte alla libreria Feltrinelli di Milano (25 maggio 2007)


Abbiamo assistito alla presentazione alla Feltrinelli del libro Non dire Notte di Amos Oz, scritto nel 1994 ma tradotto solo da poco in Italiano.
La prima cosa che mi ha colpito è stata la straordinaria affluenza di pubblico in un pomeriggio caldo afoso; la seconda che la stragrande maggioranza di pubblico non era correligionaria e anzi scambiando due parole conosceva poco la realtà in cui Ozscrive, da dove nascono le storie, la società e i panorami che ne fanno da sfondo e cioè Israele.


La percezione che si ha di Amos Oz quando parla e quando scrive non è solo di uno scrittore internazionale e quindi conosciuto al grande pubblico, ma di uno scrittore universale che sa parlare al cuore e alla mente di tutti. Egli stesso descrive il suo libro come una “storia di provincia” che non si svolge in una grande città con un grande albergo ed un grande aeroporto come i libri di successo internazionale che siamo abituati a trovare proprio in quei luoghi e che magari ci dimentichiamo da qualche parte prima di salire sull’aereo, ma una storia che indaga il rapporto che lega un uomo e una donna qualunque e quindi “universale”.
Amos Oz ha voluto sottolineare nel suo intervento iniziale come i suoi libri in cui descrive la realtà di Israele non sono “fiction”, lo è in realtà l’immagine che ci presenta per esempio la CNN in cui “Israele sembra un Paese composto all’ottanta per cento di fanatici religiosi, al diciannove per cento di militari crudeli e l’uno per cento da quegli intellettuali dissenzienti fra cui viene compreso il sottoscritto”. Israele è in realtà un Paese all’ottanta per cento secolare in cui la maggior parte della gente aspira a guadagnare di più e a pagare meno tasse, a trovare il modo di come ingannare la moglie o il marito e che cerca la Pace.

Durante la presentazione sono stati letti molti passaggi, tutti accompagnati da fragorosi applausi sia per l’ironia dello scrittore: “la traduzione italiana suona così poetica che se avessero tradotto l’elenco del telefono sarebbe stato altrettanto bello o non pensavo di essere così bravo in italiano”, ma soprattutto per la lievità della sua narrativa che riesce con semplicità e con i particolari sui luoghi e sulle atmosfere, ad indagare nel profondo dei rapporti d’amore. Descrive in maniera perfetta il tema dell’incomunicabilità, problema attualissimo e a tutti livelli, in questo caso tra persone che si amano che riescono ad esprimere esattamente i propri sentimenti solo quando lei o lui non c’è.
Amos Oz può essere annoverato fra quei pensatori universali di cui ha bisogno la società globale, la quale, cadute le ideologie, ha la necessità che si affermino principi di mediazione fra tutte le istanze in un’ottica di sviluppo sostenibile, se non vuole essere sopraffatta da tutti i fanatismi.

Riccardo Hofmann