Israele e la Shoah

Libri

Il risvolto di copertina ci dice che Idith Zertal è tra le figure più note nel dibattito pubblico e storiografico di Israele e che oggi insegna storia contemporanea e cultural studies all’Università Ebraica di Gerusalemme. Ci dice anche che questo libro, prima di essere tradotto in italiano è stato edito in Francia e Gran Bretagna, dove “ha suscitato vivaci discussioni”.
In effetti il tema del libro si presta sicuramente a discussioni e a prese di posizione diverse, e sicuramente non gli giova la scelta dell’editore italiano di sottotitolarlo La nazione e il culto della tragedia con la copertina occupata da una stele di marmo bianco sovrastata dal maghen David (la tomba di un militare?). Il sottotitolo dell’edizione ebraica recita, molto più sobriamente e in maniera più attinente al tema del volume Storia, memoria, politica.
Ma si sa che va di moda, tra le altre cose, accusare lo Stato di Israele di malafede e falsa coscienza nell’utilizzo della memoria della Shoah per fini strumentali, di bassa cucina politica quotidiana, ovviamente in chiave anti-palestinese.

Ebbene, questo libro, opera di una studiosa che indubbiamente fa parte dei cosiddetti “nuovi storici” israeliani ed è quindi spesso critica nei confronti delle dirigenze dello Yishuv prima e dello Stato di Israele poi, può essere utile per capire meglio l’argomento di fondo di cui tratta: come le difficoltà e le sconfitte, individuali e collettive, fino all’indicibile della Shoah, possano trasformarsi nella coscienza collettiva in stimoli alla resistenza e al riscatto, e come la mediazione politica li abbia a questo fine elaborati e talora strumentalizzati.
Occorre dunque leggerlo attentamente, valutando con cura la ricca documentazione che viene citata. Certo l’autrice non è tenera con i miti che sono stati generati da tali situazioni, ma non può che essere un punto a favore dell’Israele di oggi, il fatto che studi di questo tipo vengano pubblicati e discussi. E a favore dell’autrice è sicuramente il fatto che la sua prospettiva, che sta tra l’antropologico e il culturale, prenda le mosse da alcuni loci classici su questo tema quali Tolstoj e Michelet. È un modo garbato, credo, per invitare il lettore a vedere come questo tema sia stato utilizzato in passato. Ed in particolare a proposito della Rivoluzione Francese e del suo tentativo di riproporre come attuale una visione dell’eroismo e del civismo della Repubblica romana come modello. Ricordo anche che nel corso degli ultimi due anni sono usciti diversi studi sull’uso, se così si può dire, della memoria (ed in particolare della memoria dei morti) dopo la prima guerra mondiale: ad esempio sulla strutturazione dei cimiteri di guerra, della tumulazione del Milite Ignoto, dei rituali di commemorazione, in funzione dei nazionalismi opposti durante e dopo il conflitto. Italia, Francia, Germania, Gran Bretagna hanno utilizzato il dolore e la sofferenza per le vittime del conflitto come elemento identitario, come collante politico forte (e nessuno si è stupito più di tanto!)

Credo che questo studio andrebbe valutato tenendo presente questa cornice, per evitare il rischio di una decontestualizzazione che porterebbe all’appiattimento solo sulle problematiche di attualità, che sono sì presenti in questo studio, ma non certo dominanti: la prospettiva è quella dello studio storico documentato, ma anche quella del diritto dello Stato di Israele a comportarsi e ad essere giudicato come tutti gli altri Stati (europei, si badi bene), anche sul piano della memoria collettiva, e questo anche dopo l’unicità della Catastrofe.

“L’indagine sulla presenza della Shoah e dei suoi morti nel discorso israeliano, parte centrale di questo libro, s’accompagna, al pari del secolo breve sionista, a due morti singole”. Il libro inizia infatti con la morte in battaglia di Joseph Trumpeldor e dei suoi compagni nell’avamposto di Tell Haj, avvenuta il primo marzo 1920 nell’“unghia” di Galilea e che segna il drammatico inizio dello scontro violento per la Palestina. E termina con l’assassinio del primo ministro Yithzak Rabin, avvenuto il 4 novembre 1995 per mano di un ebreo israeliano.

Il centro del libro è dedicato invece al tema richiamato dal titolo, in particolare al modo in cui il neonato Stato di Israele affrontò il problema dei “Judenraten” , cioè dei gruppi dirigenti delle comunità ebraiche che i nazisti obbligarono a costituire, del ruolo svolto dai loro membri sopravvissuti quando furono costretti a consegnare i nominativi delle persone da “trasferire” nei campi di sterminio, e nella gestione quotidiana dei ghetti costruiti dai nazisti. Ed assieme un capitolo importante è dedicato al processo ad Adolf Eichmann, con una analisi accurata di uno scambio di lettere tra Hannah Arendt e Gershom Scholem, a proposito degli articoli, poi raccolti in volume, della Arendt mentre assisteva al processo. L’autrice del libro ricorda che quell’opera della Arendt, ormai diventato un classico, La banalità del male, il cui contenuto le valse aspre accuse da molti, tra cui Scholem stesso, fino ad arrivare ad accusarla di essere filo-nazista.
In questa occasione Scholem non fa una grande figura dal punto di vista personale (come non la fa nel libro in cui racconta la storia della sua amicizia con Walter Benjamin e da cui emerge in modo evidente il suo complesso di colpa verso la tragica fine dell’amico e filosofo) e colpisce la singolare incomprensione di una voce di grande spicco come quella della Arendt, sebbene, in una certa misura fuori dal coro.
Un capitolo ancora è dedicato al modo in cui il tema della Shoah fu utilizzato durante la guerra “dei sei giorni” e nei periodi che la precedettero e la seguirono immediatamente. E qui, credo, la parte in cui l’autrice si muove su un terreno più ideologico, poiché la percezione della possibilità di essere di fronte a una nuova Shoah fu in quei giorni viva e palpabile nella opinione pubblica israeliana.
Questo libro vale comunque la pena di essere letto, anche se si dissente dalle opinioni dell’autrice, per la puntualità nella ricostruzione storica, la ricchezza delle fonti e la visuale particolare che l’autrice adotta. Credo possa essere stimolante anche per chi la pensa diversamente.

IDITH ZERTAL – ISRAELE E LA SHOAH – EINAUDI – pp. 253 – euro 22,00