Israele come capro espiatorio della crisi europea

Libri

di Ugo Volli

[Scintille. Letture e riletture] Spesso, fra quelli che si occupano attivamente di politica e cultura come fra quelli che invece ne sono spettatori, si percepisce un senso di disorientamento e confusione.

Il mondo in cui viviamo immersi appare non solo molto diverso dai nostri desideri, il che è normale per gli esseri umani, ma anche dalle nostre previsioni e perfino dalla nostra comprensione. Siamo in grado di prendere posizione, almeno nei casi più rilevanti. Ma è difficile dire se le nostre ragioni saranno comprese, quali sono le dinamiche che determinano i fenomeni. In questo caso, almeno per chi non si rifugia nel privato e nel disincanto, sono utili delle analisi lucide, razionali, e soprattutto chiare, che ci consentano di orientarci, magari anche per contrastarle e smentirle. Per questa ragione vorrei raccomandare la lettura dell’ultimo libro di Niram Ferretti, Il capro espiatorio anche a coloro che non saranno d’accordo con lui.

Ferretti è uno studioso del conflitto politico mediorientale che ha scritto parecchi libri e interviene attivamente su vari giornali cartacei e nella rete. È un sicuro sostenitore di Israele che fa un lavoro prezioso di chiarificazione e polemica contro la propaganda antisionista. Questo suo ultimo libro è una tappa importante del suo percorso, perché si sforza di prendere la distanza dalla cronaca politica più recente e di affrontare le cause, di individuare le tendenze, insomma di fare storia. Il suo tema è chiarito dal sottotitolo: “Israele e la crisi dell’Europa”. Il punto di partenza è un fenomeno indubitabile, cioè lo slittamento progressivo della politica europea, sia dei singoli Stati, sia dell’Unione Europea su posizioni sempre più lontane, sempre meno simpatetiche da Israele, sia per quanto riguarda l’asimmetria di intervento nel conflitto coi palestinesi, sia riguardo alla minaccia iraniana. Israele è visto come un avversario politico da colpire o almeno da frenare non solo da parte degli estremisti di destra e di sinistra, ma anche da buona parte degli stati nordici dell’Europa, dai laburisti inglesi, dalla diplomazia francese, per certi aspetti ormai anche dalla Germania, che pure aveva dichiarato, come parte della presa di coscienza della sua responsabilità per la Shoah, di considerare la difesa di Israele una linea importante e permanente della propria politica.

Questo slittamento è mostrato da Ferretti in tutti i suoi dettagli e messo in relazione alla sconvolgente diffusione dell’antisemitismo che imperversa di nuovo nei paesi europei. Gli ebrei e Israele, sostiene Ferretti, sono usati come “capro espiatorio” di una “crisi dell’Europa” che ha ragioni diverse, deriva da una certa interpretazione del progresso condivisa dalle élites europee nei termini del superamento delle identità nazionali, nell’abolizione dei confini territoriali, culturali e religiosi. È una vecchia idea, che risale almeno al Progetto per una pace perpetua, l’opuscolo di Kant del 1795 in cui sosteneva in sostanza che l’abolizione delle guerre richiedesse la fine delle individualità forti degli stati e delle religioni. Non è un caso che Kant detestasse gli ebrei ostinati nella loro identità. A questa idea del progresso come indistinzione si aggiunge secondo Ferretti il complesso di colpa per il colonialismo, e il terzomondismo che ne deriva, con la conseguente accettazione della narrativa araba per cui lo stato di Israele sarebbe un’impresa coloniale estranea al Medioriente e meritevole di distruzione. Il libro si conclude con due interviste importanti a due testimoni delle tendenze antisemite e antisioniste in Europa: Georges Bensoussan, lo storico francese della Shoah sottoposto a una umiliante vicenda giudiziaria per aver legato l’antisemitismo all’immigrazione musulmana, e Bat Yeor, saggista ebrea di origini egiziane che ha per prima denunciato la tendenza dell’Europa a trasformarsi in Eurabia.