DAT, tra legge e fede: la millenaria avventura di una parola-forziere

Libri

di Fiona Diwan

All’inizio fu la lingua persiana, l’esilio babilonese e la Meghillat Ester (versetto 8). Siamo sulle morbide rive dell’Eufrate, qui prendono avvio le perigliose avventure di Ester e Mordechai, le loro vicende s’intrecciano a quelle degli statuti e delle normative del re Assuero ma anche a quelle delle leggi del popolo di Israele. La parola in questione, mutuata dal persiano e impiegata nella vicenda di Ester – e che troviamo ripetuta più volte -, è Dat. Ma come traduciamo oggi questo termine? Dat: legge, norma giuridica ed etica, fede, religione, conoscenza? O ancora, dat sinonimo di Torat Moshè? Certamente siamo davanti a un termine fondante dell’identità ebraica, un termine costitutivo, una parola chiave intorno a cui ragionare, interrogarsi, discutere. A farlo in maniera appassionata e approfondita è il filosofo e pensatore israeliano Abraham Melamed con un volume curato mirabilmente da uno dei suoi più valenti allievi, Cosimo Nicolini Coen (Dat: da Legge a Fede – Le vicende di un termine costitutivo, G. Giappichelli Editore). Una parola-forziere, capace di contenere gioielli di significato costitutivi non solo dell’identità ebraica ma del sapere universale.

Studioso di storia culturale e delle idee, autore di innumerevoli saggi e ricerche intorno al pensiero politico ebraico medievale e moderno, professore emerito di pensiero ebraico e di Storia del popolo ebraico all’Università di Haifa, Abraham Melamed traccia la mappatura, dei diversi usi della parola e delle sue derivazioni, rivelando l’ambivalenza di fondo tra legge (hok) e fede (emunà), in un campo di tensione il cui perimetro è segnato proprio dal termine Dat. Una linea di faglia, spiega il libro, che coinvolge l’intero ebraismo che si troverà così definito in quanto dat yehudit, religione ebraica. Attraverso l’analisi di forme di scrittura tra le più disparate, Melamed spazia dalla Torà sino alle grandi opere di filosofia, dai commenti (perushim) della Tradizione giudaica al Kalam della civiltà arabo-iberica di El Andalus, sino alle voci dei dizionari moderni, da Simone Luzzatto a Baruch Spinoza, da Moses Mendelsshon a Hermann Cohen con la sua “religione della ragione”, da Franz Rosenzweig a Leo Strauss…

Una parola capace di plasmare l’autopercezione di una intera collettività, in grado di attraversare i millenni della diaspora ebraica con scivolamenti e inusitate piroette di significato. Un percorso niente affatto rettilineo eppure sempre egemonico, una parola-pilastro nel suo passaggio dal significato originario di legge alla valenza di religione e di fede. Un’egemonia bicefala, sottolinea Melamed, da cui si diparte la texture linguistica e concettuale di Israele: non è possibile immaginare, rimarca lo studioso, una qualsiasi conversazione intorno all’ebraismo che non ne contempli il continuo ricorrere.

Relativamente marginale nel Talmud, la parola Dat acquisisce centralità a partire dal Medioevo, subendo tuttavia un progressivo mutamento di senso. Con l’inizio dell’epoca moderna si assiste a un ulteriore cambiamento semantico – dovuto al significato che il cristianesimo aveva attribuito alla parola latina religio – che troverà il suo apice con l’Haskalà e l’Illuminismo allorché con dat si intenderà “religione” denotando non più la “legge” ma la “fede”. Ai nostri giorni la parola dat ha assunto dei contorni più fluidi, utilizzata per indicare fenomeni eterogenei segnando così, nell’ebraismo moderno, il passaggio dall’essere una religione basata sulla legge a una religione basata sulla fede.

In effetti, come mostra Melamed attraverso un’analisi dei primi dizionari di ebraico moderno, al lemma dat viene oramai conferito come principale significato quello di fede-religione, relegando l’originaria nozione di legge a un ruolo residuale. Le parole e i loro significati, esattamente come gli esseri umani sono storici, cioè cambiano nel tempo, evolvono, si rovesciano, mutano di posizione, di andatura, di segno. Ecco perché, in definitiva, l’avventura dei termini e delle parole non è un tema di erudizione paludata ma una spia dei cambiamenti, un importante angolo di visuale per capire le radici culturali di ogni società e popolo.

 

Abraham Melamed, Dat: da Legge a Fede – Le vicende di un termine costitutivo,  a cura di Cosimo Nicolini Coen, G. Giappichelli Editore,  pp 234,  37,00 euro