Gece 2025. La cultura dell’odio: Israele e Occidente tra disinformazione e crisi culturale

di Sofia Tranchina

Domenica 14 settembre, nella cornice della Giornata Europea della Cultura Ebraica, il Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia di Milano ha ospitato l’incontro “La cultura dell’odio”, dedicato alla riflessione sull’attuale crescita dell’antiebraismo a livello internazionale.
In collegamento video da Gerusalemme è intervenuta la giornalista e scrittrice Fiamma Nirenstein, Senior Fellow al Jerusalem Center for Public Affairs; a dialogare con lei c’era Davide Romano, direttore del Museo della Brigata Ebraica e da anni voce attenta alle trasformazioni della memoria della Shoah e alle nuove forme di ostilità contro Israele.

L’appuntamento ha offerto una panoramica su un fenomeno che, dopo il 7 ottobre 2023, si è imposto con forza inattesa: il ritorno di un antiebraismo esplicito, diretto, sempre più normalizzato nei media, nelle università e nella cultura popolare.

Fin dalle parole di apertura, è emerso con chiarezza che parlare oggi di antiebraismo non è un esercizio commemorativo, ma una necessità urgente. Le manifestazioni degli ultimi due anni hanno mostrato quanto fragile sia il terreno della democrazia e quanto permeabili siano le società occidentali alla disinformazione.

Romano ha ricordato come, quando il tema delle fake news esplose durante la campagna di Donald Trump nel 2016, i media svilupparono protocolli di fact-checking per arginare la diffusione di falsità. Con la guerra a Gaza, però, quei protocolli sono sembrati abbandonati: molte notizie sono circolate senza alcuna verifica e, quando le smentite sono arrivate, non sono riuscite a smussare l’odio già sedimentato.

Nirenstein ha sottolineato che le nostre società vivono una vulnerabilità culturale gigantesca: non conta più la veridicità dei fatti, ma la loro presentabilità politica e sociale. In questo vuoto si insinua, secondo lei, un declino mentale e morale: dal boicottaggio quotidiano dei turisti israeliani, alle aggressioni a Venezia, fino alla diffusione di libri che descrivono Israele come paese colonialista o fascista.

 

La giornalista ha ripercorso la sequenza storica della demonizzazione degli ebrei: prima accusati di essere “assassini di Cristo”, poi dipinti come bolscevichi, capitalisti, imperialisti; oggi definiti colonialisti, razzisti, persino “genocidi”. Una catena di etichette che, a suo avviso, mostra la persistenza e l’adattabilità dell’odio.

Accanto a questo, Nirenstein ha denunciato la trasformazione dei diritti umani in “religione dei diritti umani”: non più un terreno concreto di lotta, ma una bandiera politica astratta. I loro paladini, ha osservato, finiscono spesso per contraddire i valori che proclamano, generando un fronte culturale che svuota di significato il concetto stesso di diritti.

Romano ha insistito invece sul ruolo della cultura, che da argine contro l’ignoranza è diventata veicolo di disinformazione. “Un tempo si diceva che l’ignoranza si combatte con la cultura,” ha osservato. “Oggi non è più così”. Le librerie, ha aggiunto, pullulano di testi che descrivono Israele come oppressore e raramente come democrazia da difendere. Alcune critiche sono legittime, ma il quadro complessivo è quello di una propaganda ostile.
Per Romano, l’Occidente deve prepararsi al dopoguerra di Gaza non abbandonando i palestinesi a sé stessi, bensì valorizzando quelle voci che si opponevano a Hamas già prima del 7 ottobre e che potrebbero diventare i leader di domani.

Entrambi i relatori hanno criticato una certa sinistra culturale e politica, rimasta imprigionata in un desiderio performativo di custodire il”bene morale”. Questo zelo etico, hanno affermato, finisce per aprire spazi a un’ideologia ben più aggressiva: quella di Hamas e, più in generale, di un islam politico radicale che non nasconde il proprio progetto di espansione.

Nirenstein ha aggiunto che in Occidente prevale la paura di affrontare questo nodo: “Non si vuole vedere, non si vuole sapere. È lo stesso atteggiamento di chi, durante la Shoah, voltava lo sguardo altrove”. Ha ricordato come i fondi internazionali a Gaza siano stati usati per costruire gallerie del terrore anziché infrastrutture, e come l’Autorità Palestinese paghi stipendi ai terroristi. L’odio, ha detto, passa attraverso strumenti quotidiani: libri di testo che parlano di ebrei da uccidere, cartoni animati dove Topolino viene assassinato da un soldato dell’IDF.

“Non ci si può stupire – ha aggiunto – che poi queste narrazioni arrivino anche in Italia, nei libri di Rula Jebreal o nelle dichiarazioni di Francesca Albanese, che accusano i soldati israeliani di sparare volutamente alla testa e ai genitali dei bambini. Non sono solo fake news: è una cultura violenta che dall’Oriente travolge l’Occidente”.

Uno dei passaggi più discussi ha riguardato il carattere democratico di Israele. Nirenstein ha risposto con fermezza alle accuse di chi lo definisce uno Stato fascista: in Israele la protesta è reale e tollerata. Centinaia di migliaia di persone hanno manifestato per due anni (ma anche prima del 7 ottobre) contro il governo, senza subire repressioni violente. È, ha osservato, la prova di una democrazia viva.

Al tempo stesso, Israele resta un paese che combatte per la propria sopravvivenza. Dall’inizio dell’anno sono stati sventati mille attentati terroristici, in gran parte provenienti dalle zone sotto l’Autorità Palestinese: un dato che racconta la pressione costante sulla società israeliana. Circondato da minacce – Iran, Hamas, Hezbollah, Houthi – Israele deve tenere insieme difesa militare e pluralità politica, dolore collettivo per i rapiti e dibattito interno, mentre in Europa crescono episodi di antisemitismo violento.

L’incontro al Museo della Scienza e della Tecnologia ha restituito l’impressione di trovarsi di fronte a una sfida epocale. L’odio antiebraico non è un residuo del passato, ma un fenomeno vivo, alimentato dalla vulnerabilità culturale dell’Occidente, dalla propaganda radicale nel mondo arabo e dalla crisi del linguaggio dei diritti umani. In un’epoca in cui la sinistra occidentale rischia di smarrirsi dietro la propria ansia di legittimazione morale, e in cui l’islam politico radicale avanza con la forza di un progetto totalizzante, la posta in gioco non riguarda solo il Medio Oriente. Riguarda l’Europa, i suoi valori e la capacità di riconoscere le minacce prima che sia troppo tardi.