Shalom Design

Eventi

di Fiona Diwan

C’è la poltrona alla Lady Gaga, ispirata alle atmosfere cyber del film Tron e firmata da Dror Benshetrit, talento israeliano emergente, -in mostra in zona Tortona-. Ci sono gli specchi magici di Ron Gilad esposti da Dilmos, -zona Solferino-, il nome di punta tra le giovani star del design made in Israel (vedremo anche le sue pluripremiate e spettacolari illuminazioni al led fatte per Flos, i Wallpiercing). E che dire poi della panchina di bambù di Gal Ben Arav e delle lampade in filo di lana e feltro di Ayala Zarfati? Entrambi i designer fanno parte della pattuglia dei 53 talenti in mostra a Promisedesign 2011, evento clou della presenza israeliana al Salone. E ancora: c’è il monopattino a motore (il primo pieghevole), inventato per sconfiggere il traffico congestionato di Tel Aviv o il mini-elicottero da città, due oggetti progettati nel segno del connubio tra tecnologia e design, uno dei punti di forza del Paese mediorientale.

Insomma, tra i protagonisti più attesi di questa 50esima edizione del Salone del Mobile di Milano (dal 12 al 17 aprile), ci saranno proprio le invenzioni dei giovani talenti del design made in Israel. Molti dei quali già delle star sul palcoscenico internazionale. Una presenza massiccia e capillare a partire dalle due mostre Promisedesign e Thinking Hands, fino agli oggetti esposti nello show room di Rossana Orlandi, tra i più cool di Milano. “Quest’anno il gruppo di designer israeliani è davvero nutrito e interessante; personalmente apprezzo Inon Rozen, giovanissimo e originale, per la creatività applicata al design di automobili (Giugiaro)”, dichiara Virginio Briatore, talent scout e filosofo del design, dal suo sito aedo-to.com.

In effetti, protagonista del prossimo Salone sarà proprio la “carica degli israeliani”, molti dei quali vivono e hanno lo studio a New York. Come Dror Benshetrit -autore anche della poltroncina in feltro Peacock, un must per Cappellini-, e Ron Gilad -per Flos, al Salone 2010 aveva reinventato gli abat-jour, restituendo dignità estetica a quei polverosi arnesi da cocotte che fino a 20 anni fa illuminavano il comodino della nonna-. E che dire di Arik Levy un emergente consolidato (celebre la sua libreria per Zanotta o la lampada a forma-diamante per Swarowski) e di Boaz Cohen che, in duo con la giapponese Sayaka Yamamoto (si firmano con la sigla BCXSY), dal loro atelier in Olanda, creano vasi e lampade super premiati?

A fare la parte del leone quest’anno sarà la mostra Promisedesign 2011 (dopo il Salone andrà in Francia, per la prima volta il design israeliano a Parigi, in giugno, in occasione di Designers’ Days). I curatori Vanni Pasca e Ely Rozenberg hanno selezionato per l’evento 53 nomi di successo e nuovi talenti (Yaakov Kaufman, Ami Drach e Dov Genshrow, Hanan De Langhe, Shai Barkan, Ezri Tarazi, Tal Gur, Talila Abraham, Ayala Zarfati, Hadas Armon (dal D-Vision laboratory), Bekery, Gal Ben Arav, Mika Barr, Ofir Zucker e molti altri).

“Quali le linee guida della presenza israeliana al Salone? Beh, il quadro non è unitario, abbiamo individuato cinque nicchie tematiche”, dichiarano Ely Rozenberg e Vanni Pasca. “Innanzitutto emerge un chiaro orientamento verso l’industrial design e la tecnologia: dagli eleganti pannelli solari Zenitsolar di Ezri Tarazi ai mobili in alluminio speciale del Gruppo Bakery, all’eco-design. Un altro tema forte è l’autoproduzione, un trend già molto in auge se pensiamo che perfino una star come Tom Dixon ormai si autoproduce e vende sul web per abbattere i costi e i passaggi. In Israele non esiste una realtà aziendale in fatto di mobili e arredamento: perciò molti designer, non trovando nessun interlocutore -e nessuno che li produce-, decidono di fare in proprio o di emigrare all’estero. Come terzo tema emerge una tendenza artigianale, alla manualità mixata col design iper-sofisticato, una sorta di design-craft: una protagonista di questa tendenza è ad esempio Ayala Zarfati, con la sua ricerca di antiche lavorazioni di lana e feltro con i cui fili lei costruisce le sue incredibili lampade. Quarto tema è la ricerca sperimentale su progetti speciali e materiali innovativi, sponsorizzati spesso da grandi realtà israeliane come la Keterplastic. Infine, la tendenza che abbiamo chiamato back to the primitive, caratterizzata da una forte nostalgia del primitivismo rivisitato con materiali ipercontemporanei (maschere africane realizzate con fari dismessi di automobili); insomma materiali nuovi per oggetti antichi (ad esempio oggetti che imitano fatti con la  selce del Neanderthal ma di plastica). Emerge nel complesso un rifiuto della modernità, della sua frenesia e dei suoi automatismi”, dicono i curatori. Una fioritura quella israeliana, assolutamente non casuale: tanta energia creativa è infatti resa organica e strutturata grazie alla presenza di un numero impressionante di scuole di design, circa una decina e tutte di ottimo livello, che sfornano un numero di creativi che mai Israele potrà assorbire nel proprio mercato interno. Destinati quindi quasi tutti a prendere la via della diaspora.

“Il design israeliano? Un segreto molto ben custodito, almeno finora. Nel senso che è poco conosciuto ma di altissima qualità. Finalmente anche Milano, capitale dell’eccellenza in fatto di arredamento, se ne sta accorgendo”, dice Mel Byers, storico del design, autore della The Museum of Modern Art Design Encyclopedia. “In realtà, in Israele tutti conoscono la vivacità e la qualità della produzione di idee e manufatti di design. Il numero di eventi aumenta di anno in anno e non solo in spazi consolidati come le gallerie Periscope o Paradigma. Oggi il design israeliano ha una sua estetica originale e matura, non gregaria rispetto all’Europa. Cerca la leggerezza e non rispecchia il dramma politico mediorientale. A differenza dalla nota macabra presente nelle arti visive, qui non si trovano buchi di proiettili sulle sedie o sangue che cola dalla tappezzeria”, dice Mel Byers e conclude. “Senso dell’umorismo, attenzione al mondo dei bambini, rifiuto dell’idea borghese del bello, attenzione per il cibo e il divertimento, sguardo rivolto a valori secolari e non religiosi. E infine una vera ossessione per il ready-made e il riciclo di materiali usati e di scarto che, dopo precedenti vite, rinascono. Il design israeliano oggi è tutto questo. Un miracolo di gioia, di allegria, di vitalità creativa, contro il buio del quotidiano”.

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