Anche Gerusalemme ha il suo ‘Cinema Paradiso’

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Anche Gerusalemme ha il suo ‘Cinema Paradiso’ che compie il suo ottantesimo compleanno. Ma, a differenza della sala del film di Giuseppe Tornatore, questo vede una ritrovata giovinezza, trasformandosi in punto di incontro per tutti gli amanti dei film di qualità.

Il cinema, che all’origine si chiamava Orient, aprì i battenti per la prima volta nel 1928, nel quartiere che ancora adesso è noto col nome di German Colony, e che allora contava tra i suoi abitanti molti tedeschi. Non a caso il suo primo proprietario fu proprio un architetto tedesco, Gottlieb Bohrle, che riservò il cinema ai soldati e ufficiali britannici. Poi, nel 1935 il cinema fu aperto a tutti gli abitanti della città ma fu presto boicottato della popolazione ebraica, che così intendeva rispondere alle discriminazioni alle quali erano fatti oggetto gli ebrei della Germania nazista. Nel 1936, per evitare il boicottaggio ebraico, Gottlieb affittò il cinema a un ebreo che ne cambiò il nome in cinema Efrat. Gottlieb incappò nei fulmini della locale sezione del partito nazista che gli inviò una lettera piena di minacce per aver affidato la gestione del locale a un ebreo.

Allo scoppio della seconda guerra mondiale, la popolazione tedesca fu internata dalle autorità britanniche che ne confiscarono le proprietà. La gestione del cinema passò a un arabo cristiano che ne mutò il nome in Regency. Nel 1948-9, con la nascita dello Stato di Israele, a conclusione del primo conflitto israelo-arabo, il locale fu rilevato da tre soci ebrei, assumendo il nome che conserva tuttora di cinema, Semadar. Uno dei tre, Arie Tchecik, rilevò la quota degli altri due soci e divenne proprietario unico.


Gli anziani di Gerusalemme ricordano, con un pizzico di nostalgia, quei primi anni di vita di Israele in cui anche gli alimenti erano razionati, quando da ragazzi si trovavano allo Semadar per vedere film di Tarzan e western. Il biglietto, che allora costava 25 centesimi, offriva una combinazione vincente di due film. Per risparmiare sui costi, ricorda Moshe, uno degli anziani del quartiere, Tchecik portava i film dopo che avevano fatto il giro di tutti i cinema di Israele. Il risultato era che le pellicole usurate si rompevano frequentemente, provocando le proteste del pubblico. La moglie Rivka approfittava delle pause per vendere limonate che lei stessa preparava.


Nel locale le sedie erano di legno consumato, anche perché una parte del pubblico, irruente e scomposto, accompagnava i gridi di protesta con grandi calci agli schienali delle sedie antistanti. D’estate vecchi ventilatori cercavano di attenuare l’ afa; in inverno le stufe non riuscivano a vincere il freddo.

L’arrivo della televisione, delle videocassette e l’ aumentato livello di vita colpirono lo Semadar, come tutti gli altri cinema del Paese. Negli anni Novanta, dopo la morte di Tchecik, lo Semadar rischiò la chiusura ma una grande società rilevò il locale, lo rimodernò, sostituì l’impianto stereofonico, cambiò le sedie con poltrone e scelse di rivolgersi a un pubblico particolare: non più film d’azione ma opere di qualità. Così da una decina d’anni lo Semadar è punto di incontro di cinofili e appassionati.