La missione del Keren Hayesod in Israele

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Un’esperienza unica e imperdibile.

YERUHAM, BAMIDBAR, DVARIM…
I nomi del IV e del V libro della Torah sono il gioco di parole con cui è stato intitolato un bel libro di storie e di foto di donne della cittadina di Yeruham, nel cuore del Negev, e delle loro ricette di cucina, un libro che dopo la recente Missione del Keren Hayesod in Israele fa bella mostra di sé nelle librerie di quasi tutti coloro che vi hanno partecipato.

In Numeri (Bamidbar, letteralmente “nel deserto”), siamo tutti invitati a rispettare la Legge applicando l’amore per Dio nella vita sociale e familiare di ogni giorno.
Nel Deuteronomio (Dvarim, letteralmente “parole” ma anche “cose”), ci vengono descritti i viaggi, i problemi, le norme e i conflitti esterni e interni del popolo ebraico durante la permanenza nel deserto fino ad arrivare alla Terra Promessa, metafora delle situazioni difficili presenti nella vita dell’umanità e indicazione della via per superarle, nell’osservanza delle Leggi.

Nel deserto, dunque, alcune donne di Yeruham provenienti da diversi Paesi della diaspora e che non hanno avuto né hanno vita facile in questa località nel deserto per anni afflitta dal più alto tasso di disoccupazione dell’intero territorio, ci raccontano oggi come si può uscire dalle difficoltà. Nell’ambito di un più ampio programma statale che ha recentemente riportato l’occupazione in linea con il resto di Israele, queste donne contribuiscono al mantenimento della famiglia aderendo a uno dei numerosi progetti di sostegno e sviluppo delle piccole imprese che rendono questa Terra così speciale: aprono le proprie case e propongono deliziosi pranzi ai turisti che attraversano il deserto, anche perché a Yeruham non esiste un solo vero ristorante. Ci mettono i migliori ingredienti, la propria esperienza e cultura, il rispetto delle Regole, tanto amore, ospitalità e curiosità nel mettere a tavola persone da tutto il mondo.
Noi siamo stati ospiti di Lea, una maestra in pensione di origini libico-tunisine, rimasta sola con quattro figli. La sua casa è piccola ma dignitosa e ci ha ospitato e saziato tutti quanti con grande successo.

Progetti di questo tipo sono pane per i denti del Keren Hayesod, che supporta da sempre l’Agenzia Ebraica nel sostenere ovunque sia possibile l’integrazione degli immigrati oltre che l’educazione e l’assistenza dei ragazzi più in difficoltà e la sicurezza di tutti gli abitanti d’Israele nelle zone a rischio.
Assorbimento, educazione, assistenza e sicurezza sono i temi portanti del costante lavoro che il Keren Hayesod può portare avanti grazie ai contributi dei suoi sostenitori sparsi per il mondo e le missioni annuali sono il nostro strumento di verifica: le nostre donazioni si trasformano in vita migliore e concreti impulsi positivi per tantissime persone.

Come possiamo ben immaginare e come ha del resto ribadito il Presidente Mondiale del Keren Hayesod Mudi Zandberg nel corso del nostro incontro, lo Stato d’Israele è suo malgrado costretto a destinare gran parte delle proprie risorse economiche alla difesa militare. La minaccia nucleare sempre più concreta e ostentata da parte del capo di governo iraniano, Ahmadinejad e l’alleanza d’intenti distruttivi con Hezbollah a nord e con Hamas al sud mantengono altissima la necessità, e di conseguenza le spese, per dotarsi di sistemi e mezzi difensivi sempre più all’avanguardia. Per quanto Israele non sia più il Paese ruvido, naif e idealista di una volta, in perenne stato di bisogno, ma anzi, sia oggi uno di quelli con il maggior trend di crescita economica, all’avanguardia nella ricerca scientifica, medica, energetica, tecnologica; per quanto la crisi internazionale sembri non aver intaccato l’impulso positivo che trasforma quasi in tempo reale le sue città e i suoi paesaggi in luoghi del futuro; per quante start up invidiabili (è il caso della neonata Better Place, visitata l’ultimo giorno da una piccola delegazione del nostro gruppo: ha già contratti con Renault in Francia e con il governo israeliano per la creazione e la gestione di un sistema di ricarica “ad alta velocità” delle batterie per le auto elettriche) e record di alfabetizzazione, di integrazione, benessere culturale, di sviluppo dell’offerta per il turismo e dell’industria in generale; per quanto la voglia di vivere e l’ottimismo superino di gran lunga la paura delle minacce che incombono…l’ovvia conseguenza dell’ingente e continuo impegno dello Stato per la difesa è la richiesta di stretta cooperazione con la diaspora e con tutti gli amici di Israele che con le loro donazioni possono aiutare nel mantenimento degli altissimi standard di attenzione anche ai temi del “sociale” che da sempre contraddistinguono le eccellenze di Israele.

Visitare un centro di assorbimento come quello di Kiryat Yam, sulla costa della bassa Galilea, ci fa capire a quali livelli dovremmo ambire anche noi europei. Chiunque arrivi in Israele deve essere messo in grado nel minor tempo possibile di comprendere la lingua, di potersi muovere come un qualsiasi altro cittadino in un supermercato come in un ospedale o in un ufficio pubblico. Se arriva da realtà meno sviluppate tecnologicamente, come nel caso degli olym hadashim etiopi, deve ricevere anche adeguato sostegno nell’apprendere l’uso di strumenti che per noi sono scontati, dal cellulare alla lavatrice, dal computer allo sportello del bancomat.
Oltre, naturalmente, alla comprensione e alla condivisione delle regole e delle abitudini del Paese di cui devono essere cittadini.
Priorità indispensabili perché l’integrazione sia reale e non solo attraverso i più giovani che costituzionalmente assorbono più in fretta e fanno proprio il cambiamento.

Israele è un luogo assolutamente sorprendente per la rapidità con cui si evolve malgrado le difficoltà imposte dalla sua collocazione geopolitica e ogni visita lascia senza fiato.
Penso per esempio alla visita della fabbrica di Pasan, nel kibbutz Sasa, al confine con il Libano. Sasa è un kibbutz agricolo di impronta socialista fondato alla fine degli anni ’60 e che, come tutti i kibbutz, ha sofferto della crisi identitaria di un mondo idealista incalzato dal progresso e da promesse di vita più facili e agiate da condurre al di fuori di essi, sempre più a portata di mano specialmente per i giovani. Ebbene, la determinazione dei suoi membri storici fra cui molti di origine italiana, ha dato impulso alla creazione di una realtà industriale che oggi ha succursali in tutto il mondo e fornisce soluzioni innovative per la blindatura di autoveicoli a eserciti e polizie locali dagli Usa all’Europa e a Israele stessa. Sasa si è proiettato in una dimensione che lo ha messo in grado di ridistribuire la propria ricchezza e di implementare oltre che la ricerca di soluzioni industriali sempre più avanzate, anche di migliorare la sua storica produzione agricola. Una case history di successo, che si aggiunge a centinaia di altre nel Paese. Come quella di cui ci ha parlato Mario Levi, veterano dell’Aliya degli anni ’30 nel kibbutz religioso di Sde Elihau. Levi è uno dei padri dell’agricoltura organica in Israele e il suo kibbutz continua a essere un centro di ricerca e di coltivazione che fa scuola nel mondo. Lo abbiamo incontrato nel corso di una cena nel moshav Arbel dove siamo stati accolti e ospitati da una famiglia che ha potuto risollevarsi dalla crisi aprendo un frantoio e un ristorante grazie al contributo de KH.
Sembra impossibile pensare che tutto questo sia successo in un solo giorno, senza contare che in mattinata abbiamo anche avuto il privilegio di entrare a visitare una base militare sul confine col Libano, presso Zar’it nell’alta Galilea. Il comandante della base ci ha accolto e invitato a pranzo insieme ad alcuni dei suoi soldati, giovani, sorridenti, consapevoli e orgogliosi del proprio ruolo nella difesa di Israele. Proprio nelle immediate vicinanze della base è avvenuto il rapimento di uno dei riservisti uccisi da Hezbollah e causa dello scoppio dell’ultima guerra con il Libano oltre che i recentissimi incidenti legati al taglio dell’albero in territorio israeliano non riconosciuto.

Viene spontaneo domandarsi in quale altro Paese sotto minaccia continua un gruppo di turisti, per quanto amici, sarebbero mai stati accolti con tanta trasparenza e disponibilità in una base militare così strategica!

Per capire ancora meglio di quali grandi sfide strategiche sia costellata la via della pace in questa regione siamo anche saliti sulle alture del Golan. Dal monte Bental abbiamo potuto osservare il teatro della Guerra del Kippur sul fronte nord. Il 6 ottobre 1973 l’Egitto attaccò Israele nel Sinai e la Siria sul Golan. Le proporzioni sul Golan erano di 180 carri armati israeliani contro 1400 siriani.
Dopo 18 giorni di durissimi combattimenti Israele vinse la guerra.. Solo salendovi e vedendo che cosa si può distruggere da lassù nella fertile valle del Giordano coltivata da Israele si capisce come sia difficile pensare di ritornare ai confini precedenti la guerra del ’67 e del ’73 senza temere per la sicurezza del Paese. Questo territorio come tutti i territori contesi, sotto le mani degli israeliani si sono trasformati in coltivazioni rigogliose e fonte di benessere per la popolazione e dimostrano come la volontà e gli ideali possano aver la meglio sul deserto e sulla siccità. Lasciano aperti invece mille interrogativi sul loro futuro qualora venissero “restituiti” a chi ha meno a cuore il benessere e il progresso e più il risentimento istituzionalizzato verso Israele.

La Missione del KH ci ha portato poi a Gerusalemme, in tempo per immergerci nello shabat e vedere la città d’oro chiudersi alla frenesia e aprirsi alla pace del riposo.
A cena abbiamo incontrato e chiacchierato con l’inviato della Rai, Claudio Pagliara, che da anni corrisponde con grande equilibrio da questa regione portando nei nostri telegiornali un’immagine finalmente corretta di luoghi e avvenimenti. Ma l’incontro emozionante è stato quello con una delle vincitrici della borsa di studio del KH, Aliza Hagen di Firenze. Il suo entusiasmo, il suo sorriso aperto e la sincera gratitudine con cui ci ha parlato ha trasmesso a tutti grande soddisfazione per essere parte di una organizzazione che può aiutare alcuni dei nostri giovani più meritevoli e motivati a costruirsi un futuro nella Terra della tikva, della speranza. Aliza ci ha detto proprio che le è cambiata la vita in soli tre mesi, che tutte le paure e le incertezze sono rimaste in Italia, che l’ambiente internazionale e frizzante dell’università di Gerusalemme è il miglior propellente per i suoi sogni.

Sabato mattina il kiddush al Tempio Italiano offerto in nostro onore ci ha permesso di riabbracciare amici che da tempo hanno scelto di vivere in Israele e di camminare per la città vecchia respirando l’aria ancora umida dopo la benefica pioggia caduta in mattinata e tanto attesa dopo mesi di secco. La giornata ci ha poi regalato un’uscita dallo shabat davvero memorabile con lo spettacolo di suoni e luci alla Torre di Davide: migliaia di anni di storia della città narrati con immagini proiettate sulle mura in un susseguirsi di quadri animati che si concludono con una promessa di pace.
L’incontro con il Direttore Generale del KH, Greg Mazel, ha chiuso in bellezza il nostro soggiorno gerosolimitano nell’ottimo ristorante Zaza.

Domenica è stata la volta di Masada, la fortezza che domina il Mar Morto che fu teatro della più famosa lotta di resistenza all’invasione romana dopo la distruzione del Tempio di Gerusalemme nel 70 dell’era volgare e culminata con il sacrificio volontario di tutti i suoi abitanti. Ce ne ha parlato come sempre con maestria la nostra guida, Angela Polacco, attraverso le pagine della cronaca di Giuseppe Flavio, incredibilmente attuale nello stile e dettagliata nei particolari come fosse l’ articolo di un quotidiano odierno. Angela ci accompagna da anni nelle missioni del KH e non a caso è anche la guida d’elezione per tutte le delegazioni politiche, diplomatiche ed economiche provenienti dall’Italia: riesce ogni volta a stupirci per la sua capacità di espandere il nostro campo visivo nell’osservazione e comprensione della realtà israeliana ed è fonte inesauribile di informazioni a 360° su tutto ciò che riguarda Israele.

Da Masada, costeggiando il Mar Morto e risalendo verso il Negev siamo giunti a Yeruham, dove oltre al progetto delle donne di cui ho parlato all’inizio di questa cronaca ce ne è stato presentato anche uno rivolto ai bambini in difficoltà. Si tratta di un nuovissimo centro che accoglie circa 170 bambini fino ai 14 anni e dove lavorano degli operatori che rispondono alla definizione di “neeman”: non sono assistenti sociali, non sono psicologi, non sono maestri, non corrispondono a nessuna figura da noi conosciuta. Gli “neeman” studiano per diventare professionali angeli custodi di bambini border line, a rischio, in difficoltà. Per tre anni seguono ognuno alcuni bambini e diventano il loro personal trainer di vita e figura di riferimento nel rapporto con la famiglia, con la scuola, con la società. E riescono a ridare ai loro protetti fiducia in se stessi e strumenti per affrontare la crescita e il futuro. Il programma di recupero di ogni bambino viene costruito insieme al test per definire il suo problema dagli specialisti dell’università del Negev a Beer Sheva. Nulla d’improvvisato, ma puro rigore scientifico ed educativo, accompagnato da un requisito indispensabile che ogni “neeman” deve avere: un grande cuore.
Ognuno di noi è stato poi invitato a lavorare con i bambini, che fra la curiosità e il divertimento si sono dedicati a trasformare un bicchiere a calice di vetro in un bicchiere da kiddush, armato di colla e di lustrini e delle nostri mani per aiutarli. Una bella esperienza e un bel bicchiere che ci è stato poi regalato e che ci strapperà un sorriso ogni volta che lo guarderemo e penseremo a quanti “neeman” ci vorrebbero anche dalle nostri parti.

L’arrivo a Tel Aviv nel tardo pomeriggio ha lasciato di stucco tutti i compagni di viaggio che la vedevano per la prima volta o che mancavano da Israele da parecchi anni: uno sky line degno di New York, una vitalità degna di Rio de Janeiro o di Barcellona, mare cristallino che fa concorrenza ai più bei lidi italiani, un piglio da metropoli occidentale e profumi e sapori d’oriente. Un cocktail da far girar la testa, come quello che ci aspettava nella sala dell’hotel Hilton di Tel Aviv per la cena conclusiva in compagnia di Sergio Della Pergola, professore di statistica e demografo fra i più conosciuti e stimati. Con lui si è consultato Ariel Sharon prima del disimpegno dalla Striscia di Gaza, ha preso parte a lavori all’ONU con la delegazione israeliana, ha insegnato in prestigiose università americane ed è spesso in volo per l’Europa come voce autorevole sulla questione mediorientale. A noi ha molto semplicemente riconfermato che il problema più esplosivo in Israele non è la minaccia delle bombe dei suoi nemici, ma la sfida demografica che è alle porte. I dati parlano chiaro, l’alto tasso di crescita nel mondo arabo musulmano renderà impossibile mantenere una sovranità reale anche nella stessa Israele se non si rinuncerà a territori già popolati in prevalenza da arabi israeliani. Questa minoranza è oggi democraticamente rappresentata al parlamento, ma se ci dovesse essere il sorpasso demografico che ci si aspetta nei prossimi anni, gli equilibri della democrazia israeliana verrebbero incrinati mettendo a repentaglio la stessa identità ebraica dello Stato. Del resto è altamente improbabile che le zone oggi abitate in prevalenza da israeliani ebrei che dovrebbero essere “restituite” alla futura Palestina sarebbero conglobate democraticamente con la loro specificità come invece è avvenuto in Israele con la componente araba. Insomma, l’unica strada percorribile per mantenere equilibrio sta nel sostenere l’aliya ed essere pronti a grandi sacrifici territoriali in cambio di pace.

Quella stessa pace di cui ci hanno parlato i ragazzi del progetto Bereshit leShalom, coordinato da Angelica Livné Calò e da suo marito Yehuda del kibbutz Sasa, la sera del nostro arrivo dall’Italia nella splendido hotel del kibbutz Lavi in Galilea. Sono 10 fra ragazzi e ragazze di tutte le fedi e origini, provenienti dalla regione: drusi, ebrei, cristiani e musulmani. Convivono per un anno, lavorano come volontari per il servizio civile nella zona e nel tempo libero studiano e vivono la convivenza, la conoscenza e il rispetto reciproco attraverso il teatro. Lo spettacolo che ci hanno presentato ci ha mostrato con semplicità e immediatezza come tutto in principio sia semplice e come possa essere stravolto nell’attimo in cui la diversità non sia più percepita come ricchezza e risorsa per progredire, ma solo come elemento di rottura e di sopraffazione l’uno dell’altro. Al gruppo si è recentemente unita una ragazza veneta, di madre italiana e di padre (coraggioso e aperto) arabo israeliano. E’ stata una rivelazione per noi tutti sentire dalla sua viva voce come vorrebbe che questa sua esperienza potesse essere d’esempio ai suoi coetanei italiani, israeliani e palestinesi per costruire una pace possibile tanto vicina quanto tenuta in scacco dai pregiudizi.

A noi il compito di diffondere il loro messaggio, magari trovando il modo di portarli in Italia in giro per le scuole.

Potrei continuare a scrivere ancora per ore di questo viaggio, ma credo di aver già reso abbastanza l’idea di che esperienza imperdibile sia ogni volta. Aperta a tutti, di tutte le età (quest’anno almeno quattro partecipanti erano over 80 e la più giovane era poco più che ventenne), ogni missione del Keren Hayesod ci apre porte che altrimenti rimarrebbero chiuse, per meglio conoscere e apprezzare l’energia positiva e vitale che si respira in Israele, per rinsaldare il legame che fa sentire molti di noi a casa ogni volta che ci rimettiamo piede. In pochi giorni gli amici che si uniscono a noi e che non l’hanno mai visitata prima ne rimangono magicamente catturati e pensano già a come tornarci per approfondirne ulteriormente la conoscenza. Insomma, si può davvero dire “missione compiuta”: da pochi giorni Israele ha 28 ambasciatori in più in Italia.
L’anno prossimo anche voi a Gerusalemme con il Keren Hayesod per aumentare l’organico di questo insolito corpo diplomatico spontaneo ed entusiasta?


In missione con il Keren Hayesod – 27 ottobre- 1 novembre 2010