di Davide Cucciati
Una serata in comunità in cui i giornalisti invitati hanno potuto ascoltare i racconti dal vivo di Ilan Dalal, padre di Guy Gilboa‑Dalal, giovane israeliano ancora ostaggio a Gaza, e Adi Karni, soldato dell’esercito israeliano che ha combattuto sia nel nord, contro Hezbollah, sia nel sud, nella Striscia di Gaza. (Credit foto: laramou_photography)
Mercoledì 16 settembre, nella sala Segre della scuola della Comunità, si è tenuta una cena per ringraziare i giornalisti che si prodigano, sfidando la corrente e lo “spirito del tempo”, a favore della verità, del popolo ebraico e di Israele. L’evento è stato organizzato e condotto dall’assessore alla scuola Dalia Gubbay che ha voluto anzitutto ringraziare i professionisti della comunicazione presenti. Ha poi introdotto i due ospiti principali della serata: Ilan Dalal (nella foto in alto, padre di Guy Gilboa‑Dalal, giovane israeliano ancora ostaggio a Gaza, e Adi Karni, soldato dell’esercito israeliano che ha combattuto sia nel nord, contro Hezbollah, sia nel sud, nella Striscia di Gaza. Durante i ringraziamenti, Gubbay ha citato anche alcune figure chiave nell’organizzazione dell’evento, tra cui la giornalista e producer tv Sharon Nizza (nella foto in alto con Dalal), l’assessore alla cultura Sara Modena, Manuela Sorani, vice-assessore alla cultura, Paola Hazan Boccia di Kesher, che organizza gli eventi culturali della comunità, e Keren Goldberg della segreteria generale della Comunità Ebraica di Milano.
A seguire, ha preso poi la parola il presidente della Comunità, Walker Meghnagi, che ha rinnovato il proprio ringraziamento ai giornalisti, elogiandone l’impegno nella difesa del popolo ebraico. Un ringraziamento speciale è stato rivolto all’editore Antonio Angelucci, le cui testate, tra cui Il Giornale, Libero e Il Tempo, si distinguono combattendo “ogni giorno contro l’antisemitismo”. Un’altra testata che si è schierata coraggiosamente dalla parte di Israele e gli ebrei è Il Riformista, che ha messo in campo in questi mesi diverse iniziative di contro-informazione.
In collegamento da Gerusalemme, è intervenuta Fiamma Nirenstein, giornalista, già parlamentare per il Popolo della Libertà. Con toni accorati, Nirenstein ha parlato di distorsione dell’informazione, sottolineando una crescente vulnerabilità dell’opinione pubblica occidentale: “La mia generazione controllava le fonti, oggi accade molto meno”, ha affermato. A tal proposito, ha ricordato un caso emblematico: l’annuncio, da parte di alcuni media italiani, dell’ingresso dei carri armati israeliani a Gaza City, basato unicamente su fonti palestinesi. Ha quindi spiegato che l’operazione militare è “divisa a fette”, strutturata per obiettivi successivi: “Se la missione di Rubio avrà successo e Hamas restituirà i rapiti arrendendosi, allora l’operazione potrà anche essere fermata”.
Per Nirenstein, Israele sta portando avanti una strategia che avrebbe dovuto adottare da tempo, rigettando pressioni e richieste di resa fin dai tempi dell’ingresso a Rafah. Ha sottolineato come le previsioni apocalittiche relative alle operazioni a Rafah, in Libano e in Iran non si siano mai concretizzate, mentre resta invariata la necessità, confermata anche dal ministro degli Esteri israeliano, di “eliminare Hamas e liberare gli ostaggi”.
Se l’operazione avrà successo, si concluderà rapidamente poiché, secondo Nirenstein, sarà colpito l’epicentro di Hamas, ormai indebolito dal punto di vista militare nonché perdente per l’opinione pubblica gazawa, caratterizzata da famiglie e gruppi di potere desiderosi di soppiantare il movimento di resistenza islamica. In contemporanea, centinaia di migliaia di palestinesi stanno lasciando la città mentre, secondo Nirenstein, la Gaza Humanitarian Foundation (GHF) ha distribuito milioni di pasti nonostante i furti perpetrati dai terroristi.
Hamas ormai sarebbe conscia della propria debolezza anche grazie all’attacco a Doha che avrebbe dimostrato l’inesistenza di luoghi sicuri per i terroristi palestinesi. La battaglia a Gaza City è paragonata da Nirenstein a Falluja, auspicando una conclusione della guerra differente rispetto a quella americana in Iraq.
L’ex deputata di centrodestra ha anche criticato le modalità di comunicazione: “Si sarebbe dovuto dire che Israele deve vincere. Perché, se perde Israele, perdiamo tutti” essendo di fronte a un vero e proprio jihad. Ha attaccato il matrimonio “poco sacro” tra la sinistra e l’Islam, il pacifismo ideologico e un linguaggio intriso di semplificazioni: “Occupazione” e “colonie” sono diventati sinonimi di male. Ha denunciato il cortocircuito culturale dei movimenti LGBTQ che avversano Israele, sostenendo i suoi nemici, e ha criticato il mondo woke non risparmiando neppure Greta Thunberg che si rifiutò di guardare i filmati del pogrom del 7 ottobre.
Successivamente, il direttore editoriale di Libero, Daniele Capezzone, ha voluto proporre una riflessione etica e personale: “Ex malo bonum. Questa situazione ci ha fatto conoscere davvero le persone che abbiamo accanto: chi cresce, chi non cresce, chi ci abbandona alla prima curva, chi tradisce. Tra un po’, altri dovranno vergognarsi. Noi, magari saremo un po’ più soli ma avremo l’animo sereno”, ha precisato l’ex dirigente del partito radicale nonché già portavoce del Popolo della Libertà e di Forza Italia.
Il momento centrale e tra i più toccanti della serata è stato l’intervento di Ilan Dalal, padre di Guy. Attraverso foto e racconti familiari, ha disegnato il ritratto di un ragazzo che amava la musica, gli animali, i videogiochi, il basket, il calcio, tifava per il Maccabi Haifa e sognava il Giappone. Studiava la lingua nipponica, collezionava i manga (fumetti giapponesi) di Tokyo Ghoul e Attack on Titan e aveva già comprato i biglietti per un viaggio nella “terra del Sol Levante”, previsto per aprile 2024.
Non ha mai potuto partire: è stato rapito al Nova Festival, a 22 anni. Durante la serata è stato mostrato un video della cattura e successivamente i filmati che ne documentano il deperimento fisico. Il padre ha spiegato che Guy fu costretto ad assistere alla liberazione di altri ostaggi per poi tornare nei tunnel. Il fratello maggiore, anche lui presente al Nova, è riuscito a non farsi catturare. La sukkah familiare era ancora montata al momento del rapimento. Pertanto, il padre non l’ha mai tolta: “L’avrei fatto con lui”, ha detto. Ora è diventata la “sukkah della speranza” con una foto del figlio all’interno.
È poi stata proiettata una breve animazione, in cui si vedono i due fratelli, da piccoli, imitare i personaggi di serie come Dragon Ball e Naruto. Un terrorista di Hamas viene rappresentato proprio nelle vesti di membro dell’“Organizzazione Alba” di Naruto: l’immaginario di Guy Gilboa-Dalal, tra alberi di ciliegio e musiche orientali, usato come arma morale contro la barbarie.
Rispondendo alle domande, Ilan Dalal ha raccontato dell’incontro con Macron e Starmer, poco prima di un possibile accordo: entrambi hanno deciso di riconoscere lo Stato palestinese proprio in quei giorni, e, secondo Dalal, Hamas ha colto il segnale come un incoraggiamento a irrigidirsi. “La guerra non finirà mai se prima non verranno liberati gli ostaggi”, ha affermato. Ha ribadito con forza la necessità di dare voce anche agli ostaggi, troppo spesso dimenticati nel dibattito pubblico incentrato unicamente sulla crisi di Gaza: “Gli ostaggi vanno curati, rispettati, tutelati. E la Croce Rossa? Dice di non poterli raggiungere ma continua a fare da taxi per i rilasci. Se Hamas impedisce loro di intervenire, allora bisogna dirlo chiaramente”.
Ha ricordato episodi di tortura e umiliazione raccontati dai liberati: gli ostaggi non solo sono picchiati ma sono obbligati anche ad abbaiare o ad assistere ai pasti dei terroristi palestinesi senza poter toccare cibo. E ha ammesso che molti israeliani, prima del 7 ottobre, credevano ancora possibile un dialogo aumentando il benessere in Gaza: “Oggi tanti hanno cambiato idea. Eliminare Hamas è diventata la priorità. Solo con una nuova leadership si potrà parlare davvero”.
Ha poi preso la parola il Rabbino Capo di Milano, Rav Alfonso Arbib, che ha ringraziato i presenti e in particolare i giornalisti “che non si mettono nella comfort zone” e che scelgono di stare dalla parte della verità “in una situazione allucinante” come quella che sta vivendo oggi il popolo ebraico.
A seguire, è intervenuto Adi Karni, 22 anni, soldato israeliano e combat engineer di Tzahal. Originario di Gerusalemme, entra negli edifici utilizzati da Hamas per combattere, tra cui scuole e ospedali, li ripulisce dai terroristi e li abbatte. Vive dentro un tank, è tra i primi a entrare in azione nelle zone di guerra. Ha raccontato della durezza della vita operativa: nessun bagno, nessuna possibilità di lavarsi e l’assenza di certezze: “Ogni volta che entro in un edificio, so che potrei non uscirne vivo. Lo faccio per la Jewish Family”, riportando alla mente il “band of brothers” di Shakespeare nell’Enrico V.
Alcuni dei suoi migliori amici sono caduti in battaglia. Tra questi, Jonathan Dean Jr., un giovane americano che si è arruolato in Tzahal e che si è convertito all’ebraismo. Karni ha poi raccontato che in Gaza ha visto solo odio e che molti civili hanno aiutato attivamente Hamas e nessuno ha aiutato i soldati israeliani o segnalato le posizioni dei terroristi: “Siamo noi a fare il lavoro sporco. L’Islam si sta espandendo in Europa e qui non potete nemmeno girare con la kippah in testa. Noi vogliamo solo pace”. Ha anche ricordato che in Centro e Sud America ha rischiato di essere arrestato tre volte perché esistono organizzazioni che danno la caccia ai soldati israeliani. Per questo motivo, ha scelto di non pubblicare nulla sui social durante la sua permanenza in Italia.
È quindi intervenuta Sharon Nizza che ha denunciato come i social media, mezzi binari e polarizzanti, stiano stravolgendo la comunicazione pubblica, impedendo un autentico approfondimento e riducendo la complessità israeliana a slogan: “L’ottavo fronte, quello dei media, è una battaglia difficilissima”, ha dichiarato.
Dalia Gubbay ha poi chiesto all’assessore comunitario Max Tedeschi di offrire uno spunto di riflessione. Quest’ultimo ha chiesto: “Cosa possiamo fare per migliorare la comunicazione? E cosa possono fare le comunità della diaspora per sostenere i professionisti dell’informazione?”. A raccogliere la sfida è stato il direttore responsabile di Libero, Mario Sechi, che ha letto in diretta l’articolo, scritto durante la cena, riguardante l’aggressione subita a Pisa dal professore Rino Casella da parte di studenti pro-Palestina. Un episodio che Sechi ha messo in parallelo con la dignità e il coraggio espressi dai due ospiti israeliani.
Infine, l’assessore alla scuola, a chiusura di una serata caratterizzata da spirito comunitario intenso nel suo senso più ampio, ha consegnato delle targhe di ringraziamento ai giornalisti presenti per il loro impegno nella difesa del popolo ebraico, di Israele e della verità. Un gesto simbolico, ma necessario, in un tempo in cui sfidare l’opinione maggioritaria è già un atto di coraggio.







