Il comune senso del pregiudizio

News

Antisemiti che adorano Israele, intellettuali che disprezzano i Rom. Sono gli estremi paradossi dei molteplici volti del pregiudizio, del razzismo e dell’intolleranza xenofoba. Se ne è parlato in una sala gremita all’incontro “Il comune senso del pregiudizio” organizzato dalla Fondazione CDEC, per presentare due ricerche, l’una condotta da Renato Mannheimer (Una nuova tipologia di pregiudizio antiebraico) per conto del CDEC e l’altra da Tommaso Vitale (Le rappresentazioni dello zingaro: continuità e mutamento). Hanno dialogato con i due ricercatori Gad Lerner, Milena Santerini e Gian Antonio Stella, introdotti dal presidente della Fondazione CDEC Giorgio Sacerdoti.

Tommaso Vitale, ricercatore di Sociologia all’Università di Milano Bicocca dove insegna Scienza politica e sviluppo locale, ha presentato dati inquietanti e per certi versi inattesi: l’idea che la convivenza con gli zigani sia pressoché impossibile è propria delle persone più colte della società italiana, con il più alto tasso di istruzione, lettori di giornali e interessati alla vita politica del Paese. Sono invece le persone più umili, abitanti in città meno popolose, più vicine al mondo rurale che pensano ad una convivenza possibile. Forse in loro non si è del tutto cancellata la memoria storica di un tempo in cui l’arrivo degli zingari era una festa di paese e un’occasione di scambio e collaborazione: quando gli zingari, divisi nelle loro molte “nazioni”, con tradizioni e anche religioni diverse, diverse abilità e mestieri, erano giostrai, carpentieri, artisti del rame, e giravano ancora di città e paesi come facevano in Italia da centinaia d’anni. Cittadini del mondo ma anche italiani da generazioni. Nelle campagne ferravano i cavalli, che domavano con abilità. Altri gruppi erano famosi per la forgiatura di utensili, ma anche per riparare i caldai di rame, un bene prezioso di tante famiglie contadine. “In Italia sono molti di più di quanto si pensi” dice Vitale. “Non è così facile per loro dichiarare la propria appartenenza al popolo Rom, o Sinto, o Zigano, parlando con i gaji (non zingari- non ricorda qualcosa agli ebrei? ndr)”. È stato solo a partire dagli anni Settanta che gli zingari, ghettizzati nei campi nomadi ai margini delle città in condizioni degradanti, hanno iniziato a costituire un “problema”.

Giorgio Sacerdoti ha ricordato in apertura che “Schiavi fummo nel Paese d’Egitto” e il Signore nel Decalogo si presenta come nostro Liberatore, ammonendoci a non dimenticare mai la condizione di straniero che abbiamo vissuto. E a lui si è riallacciato nel suo intervento Gad Lerner, ricordando quando Rav Arbib, rabbino capo della Comunità di Milano, invitò in Sukkà alcuni rappresentanti di un campo nomadi appena sgomberato dalla forza pubblica. “Un momento in cui sono stato orgoglioso di appartenere alla Comunità”

Tommaso Vitale: “Come ti sentiresti a sapere che il tuo vicino di casa è un rom?”: è questa la domanda che l’Eurostat ha posto un anno fa, a cavallo fra febbraio e marzo, a 26.746 cittadini dei 27 Stati dell’Unione Europea, di cui 1.046 in Italia. E’ un quesito tipico degli studi sul pregiudizio e la xenofobia. Una questione che chiede di ragionare a partire da sé, di fare i conti con le proprie sensazioni, finalizzata a misurare il comfort – come dicono gli inglesi – nei confronto di un gruppo specifico. Se ne ricava un indice che permette di ordinare i Paesi su una scala ordinata da 1 a 10, in cui i punteggi più alti sono quelli degli Stati in cui la maggior parte dei cittadini si sente a proprio agio con i gruppi zigani. Polonia, Svezia e Francia sono ai primi posti, l’Italia e la Repubblica Ceca sono agli ultimi posti. Nel campione italiano solo il 14% si sente pienamente a proprio agio all’idea di avere un vicino di casa “zingaro”, e solo il 5% dichiara di avere un rapporto personale con almeno un rom o un sinto.
E’ solo l’ennesimo dato che conferma ciò che è ampiamente noto nella letteratura scientifica sulle dinamiche dell’opinione pubblica e il razzismo. Sappiamo che un pregiudizio anti-zigano è diffuso in tutta l’Europa e che a partire dagli anni ‘90 è diventato più forte in Italia rispetto altri Paesi europei. Soprattutto, negli ultimi dieci anni il tasso di ostilità verso gli zigani è cresciuto in maniera molto più rapida e intensa che nelle altre nazioni. Certo, negli ultimi anni le indagini demoscopiche ci dicono che il sentimento di ostilità si è accresciuto nei confronti di tutti gli “stranieri”, a prescindere dai loro luoghi di provenienza. Tuttavia…
In primo luogo occorre ricordare che molti gruppi rom e sinti non sono gruppi immigrati, ma sono di cittadinanza italiana, presenti nella vita sociale del nostro paese da centinaia di anni.
In secondo luogo, l’aumento dell’ostilità nei confronti dei rom e dei sinti è giunto ad un livello sconcertante, per cui solo il 6,7% degli italiani gagi (non rom) dichiara di non avere ostilità nei confronti di questi gruppi. Se paragonato ai filippini, che invece godono della simpatia del 64,9% della popolazione (sebbene questa percentuale fosse molto più alta, al 77,7%, nel 1999), ci accorgiamo che il trend di ostilità ha spinto i rom in una zona di ostilità sociale che dà le vertigini.
In terzo luogo, l’ostilità nei confronti dei rom pur avendo alcuni picchi di diffusione in tutto il territorio nazionale, si caratterizza attraverso mobilitazioni molto locali. Certo, questo fa parte della dinamica del panico morale, che parte sempre dall’avversione verso un gruppo situato in un contesto locale molto ristretto, di cui si stigmatizzano i comportamenti, generalizzandoli all’insieme della popolazione identificata. Queste mobilitazioni non sono mai “spontanee”: sono appunto mobilitazioni cioè azioni collettive, organizzate da “imprenditori”, in cui gli attori coinvolti sollevano dei problemi locali e li rendono pubblici, interagendo con autorità e politiche pubbliche e perseguendo uno o più obiettivi condivisi. Vi sono soggetti che intraprendono un’azione intenzionale, reperendo risorse che mettono a disposizione per organizzare e sostenere una mobilitazione. Non a caso, con riferimento alle mobilitazioni, spesso si parla di imprenditori politici, o di imprenditori morali (spesso sono partiti o comunque soggetti organizzati e strutturati). L’osservazione analitica della presenza di imprenditori della mobilitazione è importante perché permette di non presupporre che il pregiudizio anti-zigano si traduca direttamente e senza mediazioni in azioni ostili.
Quarto: i dati di un indagine ISPO condotta su un panel di 2.171 casi in Italia nel giugno 2007 mostrano come i sentimenti di ostilità siano ampiamente trasversali alle classi sociali e agli orientamenti politici, con piccole differenze, e che –paradossalmente– crescano al crescere del titolo di studio. Il dato va interpretato, ovviamente, perché il titolo di studio in questo caso costituisce una variabile spuria: l’aumento del pregiudizio è un effetto di età. Più si è giovani (più, quindi, il proprio titolo di studio è alto), più aumenta l’ostilità verso i rom e i sinti. Le persone più anziane, invece, sono meno spaventate e conservano memoria di momenti positivi di interazione e complementarietà economica fra questi gruppi e le società urbane e rurali di cui è composta l’Italia.
Perché si è persa la memoria della presenza di gruppi zigani nel cuore stesso delle società italiane? L’ipotesi più accreditata è da ricondurre alle politiche di estrema segregazione con cui è stato gestito il cosiddetto “problema nomadi” in molte città prima del Nord e poi del Centro Italia a cavallo fra gli anni ’70 e gli anni ’80, in assenza di un quadro regolativo comune di coordinamento a livello nazionale. La scelta è stata quella di attrezzare delle aree di sosta in luoghi periferici, marginali e invisibili delle città e di fare confluire e coabitare gruppi itineranti e gruppi stanziali: è stata l’invenzione, solo italiana, del “campo nomadi”. Nel corso degli anni questi luoghi segregati hanno costituito una trappola per molti gruppi, da cui solo pochi sono riusciti a uscire. Luoghi visti con ostilità, hanno contribuito a costruire un’immagine caricaturale dei gruppi zigani, e a costruire lo stereotipo dell’eterno straniero, ri-attivando l’immaginario stereotipico del XIX e XX secolo. Negli anni ’90 i campi sono diventati uno strumento di politiche locali usato inerzialmente nei confronti anche di gruppi zigani di nuova immigrazione, che scappavano dalle guerre balcaniche. Molte città si sono limitate a un modello di politica locale molto scarno e controproducente, basato sul connubio perverso fra “campo nomadi & sgomberi ciclici”, in cui la scelta di costituire grandi campi segregati ha spinto verso la moltiplicazione degli sgomberi forzati. L’inferiorizzazione dei rom, la loro relegazione spaziale, la loro stigmatizzazione come stranieri (a prescindere dalla loro cittadinanza) pericolosi da contrapporre agli immigrati laboriosi sono state perseguite come mezzi attraverso cui è stata governata la città e gestito il consenso.
L’esito è stato un effetto di de storicizzazione. La perdita della memoria è strettamente correlata all’aumento del pregiudizio. Meccanismi di diffusione della protesta e di certificazione di questa da parte di molte autorità municipali hanno fatto il resto.

Renato Mannheimer:

L’altro da sè
L’indagine sul pregiudizio effettuata in un clima sociale condizionato dalla crisi economica e dall’immigrazione extracomunitaria evidenzia preoccupazioni in termini di sicurezza sociale e in termini di identità culturale: gli italiani sentono minacciata la propria identità e, per certi versi il proprio futuro.
Le risposte alle domande sugli immigrati extracomunitari, i mussulmani e gli zingari mostrano il permanere di stereotipi.

Ebrei: conoscenza personale e stereotipi culturali
L’84% della popolazione non conosce personalmente alcun ebreo, il 15% circa dichiara di averne conosciuti alcuni e solo lo 0,9% sostiene di conoscerne molti.
Fra chi dichiara di aver conosciuto degli ebrei – non importa se pochi o molti – sono sovrarappresentati i titoli di studio più alti, le libere professioni e gli abitanti di Roma, Milano e Torino, sedi delle più importanti comunità ebraiche italiane.
A parte quindi un 16% di italiani che conosce gli ebrei anche attraverso l’esperienza diretta, per la grande maggioranza la conoscenza degli ebrei è una conoscenza mediata. Il ruolo cardine in questo processo di mediazione è svolto dai grandi mezzi di comunicazione di massa come tv, radio, cinema.
Alla domanda sulla numerosità degli ebrei in Italia oltre la metà degli intervistati (56,3%) non sa rispondere, mentre il 19,5% sovrastima la presenza ebraica (da più di 100.000 fino a oltre un milione).

Ebrei e stereotipi
Pochi conoscono personalmente gli ebrei ma molti se li immaginano.
Per il 27% degli intervistati l’omogeneità del gruppo ebraico è significativa in rapporto agli aspetti economico-politici, una omogeneità per così dire “corporativista”.
Il 16,9% enfatizza l’omogeneità degli ebrei in termini specificamente culturali: si tratta del gruppo dalle dimensioni più ridotte che significativamente non è propenso a riconoscere agli ebrei una particolare influenza dal punto di vista sociale ed economico nella vita del Paese.
Il 27 % tende a considerare “gli ebrei” un gruppo marcatamente omogeneo rispetto a tutti i criteri proposti (classe sociale, istruzione, reddito, tendenza a isolarsi)
L’ultimo gruppo (29,2%) infine non ritiene gli ebrei un gruppo particolarmente omogeneo, da nessuno dei punti di vista considerati.

Opinioni e atteggiamenti verso gli ebrei
Agli intervistati è stato chiesto di esprimere un livello di accordo con 16 affermazioni relative agli ebrei: alcune rimandano al pregiudizio classico, altre al pregiudizio moderno, altre riguardano il pregiudizio contingente, legato a Israele
Una percentuale molto elevata – talvolta superiore alla metà del campione – non concorda né dissente con le affermazioni proposte. Questa area è correlata alla scarsa conoscenza del tema.
Un primo interesse dei risultati risiede nell’individuazione, all’interno della batteria di affermazioni, di una sottostruttura interna al pregiudizio formata da tre differenti tipologie di pregiudizi.

– La prima riunisce i classici stereotipi antiebraici, quelli che tendono a sottolineare la distanza sociale che separa gentili ed ebrei, descrivendo questi ultimi come gente diversa e un po’ infida. Si tratta di item che, nel loro complesso, propongono un’immagine ebraica che affonda le sue radici in un epoca, il medioevo cristiano, in cui gli ebrei erano per lo più un gruppo alieno rispetto al resto della cittadina. Questa tipologia di pregiudizio di tipo classico raggruppa le seguenti proposizioni
­ Gli ebrei non sono italiani fino in fondo
­ Non ci si può mai fidare del tutto degli ebrei
­ Sotto sotto gli ebrei sono sempre vissuti alle spalle degli altri

– La seconda tipologia riguarda gli stereotipi moderni, quelli che richiamano un’idea d’ebreo formatasi principalmente dopo la rivoluzione francese, in cui il problema principale non è più la presunta diversità ebraica (diversità che dopo la rivoluzione aveva iniziato a farsi sempre meno evidente), bensì il supposto potere di cui gli ebrei avrebbero cominciato a disporre, unito all’ambiguità dei loro legami identitari e di fedeltà. Questa tipologia di pregiudizio di tipo moderno raggruppa le seguenti affermazioni
­ Gli ebrei controllano i mezzi di comunicazione in molti paesi del mondo.
­ Gli ebrei riescono sempre ad avere un potere politico sproporzionato,
­ Gli ebrei muovono la finanza mondiale a loro vantaggio,
­ Gira e rigira i soldi sono sempre in mano agli ebrei
­ Gli ebrei sono più fedeli verso lo Stato d’Israele che verso il loro Paese

– La terza tipologia, infine, riguarda i nuovi pregiudizi, il pregiudizio di tipo contingente
che rimanda alle due più recenti dimensioni dell’identità ebraica: quella collegata al ricordo della Shoah e quella che concerne i legami con lo Stato d’Israele:
­ Gli ebrei si sono trasformati da un popolo di vittime in un popolo di aggressori
­ Gli ebrei fanno ai palestinesi quello che i nazisti hanno fatto agli ebrei
­ Gli ebrei approfittano dello sterminio nazista per giustificare la politica d’Israele
­ Gli ebrei parlano troppo delle loro tragedie e trascurano quelle degli altri

L’analisi dei dati ci ha permesso di suddividere il campione in 6 gruppi distinti, ciascuno dei quali mostra atteggiamenti peculiari nei confronti di ciascun tipo di pregiudizio.

Tre di questi gruppi mostrano lo stesso atteggiamento rispetto a tutte e tre le tipologie di pregiudizio: i “neutrali”, che rappresentano circa 43% della popolazione, e che tendono a non prendere una posizione pronunciata su nessun tipo di pregiudizio; i “senza pregiudizi” (12,5%) che respingono con forza tutte le tipologie di pregiudizi mentre gli “antisemiti” (12,4%) mostrano di condividerle tutte con altrettanta convinzione.
Gli altri tre gruppi hanno dimensioni ridotte (10-11% ciascuno), ma risultano particolarmente interessanti in virtù del loro atteggiamento “ambivalente”. I membri di questi condividono infatti solamente alcune tipologie di pregiudizio respingendone altre. Il primo, gli “ambivalenti di tipo classico”, è composto da persone che tendono a fare propri i pregiudizi classici, sono mediamente neutrali su quelli moderni mentre respingono i tipi di pregiudizi contingenti. Un’altro, “gli ambivalenti di tipo moderno”, respingono quelli delle altre due tipologie. “Gli ambivalenti di tipo contingente”, infine, si mostrano neutrali rispetto ai moderni e respingono con forza quelli classici.
Questi gruppi, oltre a distinguersi per un diverso atteggiamento nei confronti degli ebrei, mostrano anche profili sociodemografici e ideologici fortemente caratterizzati. Nel gruppo che possiede unicamente i pregiudizi di tipo classico, ad esempio, vi è una presenza più che proporzionale di persone di destra, legate alle tradizioni religiose, con forti pregiudizi nei confronti delle altre minoranze e con un giudizio positivo nei confronti dello Stato d’Israele.
Il gruppo soggetto principalmente ai pregiudizi contingenti, al contrario, vede una presenza più che proporzionale di persone di sinistra, laiche, laureate, con meno pregiudizi rispetto alle altre minoranze e con un giudizio negativo verso lo Stato d’Israele.
Interessante anche la composizione di chi condivide tutti i pregiudizi, dove si registra una presenza più che proporzionale sia delle persone di estrema sinistra che di quelle di estrema destra.
Da quest’analisi dunque, il pregiudizio antiebraico emerge quale fenomeno multiforme e complessivamente trasversale e non più come conseguenza di una mentalità o atteggiamento xenofobo.

E’ vero ad esempio che oggi un pregiudizio di matrice xenofoba colpisce gli ebrei in maniera decisamente inferiore rispetto a quanto non colpisca altre minoranze (rom, islamici, extracomunitari ecc). E’ altrettanto vero però, che il calo “dell’antiebraismo xenofobo” rischia di essere ampiamente rimpiazzato dalla nascita di tutta una serie di nuovi stereotipi, che poco hanno a che fare con la xenofobia, ma che non per questo devono venir tenuti in minor considerazione. Pregiudizi espressi da persone decisamente più laiche, progressiste, aperte alla diversità etnico-culturali, che si autocollocano all’estrema sinistra e con meno stereotipi nei confronti delle altre minoranze rispetto alla media della popolazione.
L’indagine è stata effettuata da Ispo su un campione di 2156 casi – metodo CAPI

La Fondazione Cdec

La Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea – CDEC onlus è un istituto storico culturale indipendente e senza fini di lucro, con personalità giuridica, riconosciuto con DPR 4 aprile 1990, con sede a Milano. Nel 1955, in occasione del decimo anniversario della Liberazione e della fine della Repubblica sociale italiana e dell’occupazione nazista, la Federazione giovanile ebraica d’Italia costituì il Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea – CDEC, avente per scopo, secondo il suo primo Statuto del 1957, «la ricerca e l’archiviazione di documenti di ogni tipo riguardanti le persecuzioni antisemite in Italia e il contributo ebraico alla Resistenza» e la loro divulgazione. Nel 1986, dopo vari ampliamenti, il CDEC si è costituito in Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea – CDEC: un istituto indipendente posto sotto l’egida dell’Unione delle comunità ebraiche italiane.
«La Fondazione non ha scopo di lucro. L’attività della Fondazione consiste nel promuovere lo studio delle vicende, della cultura e della realtà degli Ebrei, con particolare riferimento all’Italia ed all’età contemporanea, assicurando la raccolta di ogni relativa documentazione. Tramite la sua attività la Fondazione intende contrastare ogni forma di razzismo e antisemitismo, anche al fine di promuovere la tutela dei diritti civili al riguardo.
La Fondazione conserva nel tempo, tramite le sue strutture e la sua attività, la memoria della persecuzione antiebraica fascista e nazista.
Il materiale acquisito dalla Fondazione di interesse storico, archivistico, bibliografico è patrimonio inalienabile dell’ebraismo italiano».
Oggi la Fondazione CDEC costituisce il principale punto di riferimento per lo studio degli ebrei in Italia nell’età contemporanea, per la ricerca sul periodo della persecuzione fascista e nazista, per il monitoraggio dell’antisemitismo, per la diffusione della storia e della presenza culturale degli ebrei nel mondo. La Fondazione CDEC è articolata in cinque settori principali: Biblioteca, Archivio storico, Videoteca, Archivio fotografico, Archivio del pregiudizio.
L’Archivio del pregiudizio e dell’antisemitismo contemporaneo con il suo Osservatorio ha il compito di indagare, documentare e studiare il pregiudizio e l’antisemitismo in Italia. La documentazione raccolta costituisce la base di lavoro dell’Osservatorio sul pregiudizio antiebraico contemporaneo in Italia che cura un sito internet, (www.osservatorioantisemitismo.it ) per monitorare in tempo reale il pregiudizio antisemita. La struttura del sito comprende: una sezione per la conoscenza di base del fenomeno; tre sezioni geografiche (Italia, Paesi europei, Paesi extraeuropei). Ciascuna di esse fornisce informazioni relative agli episodi di antisemitismo e alle conseguenti iniziative di contrasto del fenomeno.