di Dalia Fano, responsabile JOB
Come riconoscere ed accettare il proprio stile cognitivo
Ci sentiamo spesso “in difetto” – molto più di quanto ammettiamo – perché il nostro modo di pensare o di lavorare non è così efficiente, lineare o produttivo come vorremmo. Ci giudichiamo perché ci perdiamo in mille rivoli, perché fatichiamo a organizzarci, perché abbiamo bisogno di più silenzio o, al contrario, di movimento per concentrarci.
Eppure queste differenze non sono anomalie da correggere: sono semplicemente modi diversi in cui i cervelli umani funzionano. Negli ultimi anni si parla molto di neurodiversità, soprattutto in relazione ai giovani e ai Disturbi Specifici dell’Apprendimento.
Ma c’è un aspetto di cui si discute ancora troppo poco: la neurodiversità silenziosa degli adulti –professionisti, genitori, colleghi… – che convivono con modalità cognitive diverse, vivendo le proprie caratteristiche come limiti personali invece che come variazioni naturali del funzionamento mentale. Ciò che si riconoscono è la sensazione di “non andare come gli altri”, di faticare dove altri sembrano scivolare lisci, di dover sempre investire un’energia extra, per ottenere ciò che ad altri appare facile e naturale.
Cos’è la neurodiversità e cosa significa neurotipicità
Quando parliamo di neurodiversità, non ci riferiamo né a disturbi né a diagnosi. È il termine che descrive un fatto semplice e universale: la mente umana non funziona in un solo modo, ma in molti modi diversi.
C’è chi pensa in sequenza e chi pensa per associazioni; chi apprende ascoltando e chi ha bisogno di vedere; chi rende al massimo nel silenzio e chi si concentra meglio con un sottofondo costante… Neurodiversità è il nome che diamo a questa varietà.
Neurotipicità indica invece lo stile cognitivo più comune nella popolazione: lineare, organizzato, costante, spesso considerato “lo standard”.
In realtà non esistono stili migliori o peggiori: esistono stili e funzionamenti diversi, con punti di forza e condizioni ottimali differenti.
Molti adulti si riconoscono in certe caratteristiche senza etichette cliniche: si definiscono “incostanti”, “disordinati”, “confusi” o “troppo lenti/veloci”.
La realtà è che quel “troppo” spesso segnala semplicemente un funzionamento diverso, non un difetto. Un funzionamento diverso da quello per cui certi contesti e ambienti (scuola, uffici, riunioni) sono stati pensati.
COME trasformare ciò che oggi viviamo come criticità in risorse relazionali e professionali
Accettarsi per crescere: consapevolezza e self-kindness
Non è semplice accettare il proprio modo di funzionare quando, magari fin da bambini, ci siamo sentiti “difettosi”, incapaci di stare negli schemi o di uniformarci a modelli standard. Molti di noi hanno misurato il proprio valore attraverso indicatori esterni: voti, risultati, confronti con gli altri.
Ma una solida autostima non nasce dal conformarsi a standard esterni: nasce dal riconoscere e dare valore a ciò che siamo, comprese le nostre differenze.
Due modalità fondamentali in questo percorso:
- Consapevolezza
Conoscere come funziona il nostro cervello, quali condizioni lo attivano e quali lo rallentano, permette di costruire strategie realistiche ed efficaci, valorizzando i punti di forza e gestendo le difficoltà in modo costruttivo. - Self-kindness
Termine ripreso dalla pratica della mindfulness, significa trattarsi con la stessa pazienza, rispetto, e gentilezza che riserveremmo a un amico in difficoltà. È quell’apprendere a riconoscere il proprio valore anche quando non corrisponde agli standard esterni, senza rassegnazione e senza rinunciare alla crescita.
Autoaccettazione che non significa né rassegnazione né “non posso cambiare” o “non posso fare meglio”; è invece la base da cui partire per crescere autenticamente.
Quando affondiamo le radici nell’accettazione, lasciamo spazio a ciò che possiamo diventare.
Questa consapevolezza migliora anche le relazioni: una persona che conosce se stessa comunica meglio i propri bisogni, riconosce le differenze altrui e valorizza la diversità come risorsa.
COME riconoscere le differenze nel funzionamento delle persone che lavorano con noi
Conoscere il proprio funzionamento aiuta anche a riconoscere e valorizzare le differenze nei team, nei gruppi di lavoro, nelle équipe.
Immagina un team incaricato di sviluppare una nuova strategia per un cliente importante. All’interno del gruppo convivono stili cognitivi diversi:
- Alcuni eccellono nell’analisi dettagliata: leggono report complessi, verificano dati, individuano rischi e punti critici.
- Altri pensano in modo più “radiante”: collegano informazioni distanti, generano idee innovative, immaginano soluzioni creative.
- Altri ancora sono esperti nell’organizzazione: pianificano attività, gestiscono scadenze e coordinano la comunicazione.
Se il team non riconosce queste differenze, possono nascere conflitti silenziosi. Chi lavora in modo sequenziale può giudicare il collega creativo come “disordinato”, mentre chi pensa in modo divergente può percepire i colleghi analitici come lenti o rigidi. Il rischio è spreco di energia, frustrazione, tensioni e risultati mediocri.
Al contrario, quando il team diventa consapevole dei diversi stili cognitivi:
- ciascuno può concentrarsi sulle attività in cui rende al meglio;
- le idee creative vengono trasformate in piani concreti grazie ai colleghi più analitici e organizzati;
- la comunicazione si adatta: briefing scritti per alcuni, riunioni rapide per altri, momenti di confronto collettivo per tutti.
Il risultato? Una strategia più solida, originale e realizzabile, con tempi rispettati e conflitti ridotti. La differenza allora diventa una leva di performance, non un ostacolo.
Riconoscere le differenze cognitive nei team non è solo una questione di inclusione: è una strategia concreta per innovare, decidere meglio e collaborare con maggiore efficacia.
COME trasformare i tratti individuali in strategie quotidiane e risorse
Conoscersi per lavorare meglio e stare meglio
Comprendere il proprio funzionamento permette di elaborare strategie quotidiane rispettose del proprio stile cognitivo:
- Organizzare il lavoro secondo ritmi e modalità personali: check-list dettagliate per chi ha bisogno di sequenza, macro-obiettivi per chi pensa in modo radiante.
- Gestire energia e attenzione: pianificare i compiti più impegnativi nei momenti di massima concentrazione o creatività.
- Comunicare con maggiore chiarezza le proprie esigenze: preferenze per briefing scritti o orali, riunioni brevi o brainstorming aperti.
- Ridurre lo stress: smettere di giudicarsi in base a standard esterni libera energia mentale e favorisce l’emersione delle proprie capacità e potenzialità.
Un esempio pratico: l’impulsività nelle risposte
Alcune persone tendono a reagire velocemente, quasi d’impulso, alle email o ai messaggi. È un tratto del loro stile cognitivo. Se lo riconosci, puoi costruire micro-strategie efficaci: rileggere la mail più volte, aspettare qualche minuto o ora, oppure scrivere la risposta in bozza e rileggerla dopo una pausa. Così puoi essere tempestivo quando serve, ma con maggiore precisione e consapevolezza.
Il valore della consapevolezza e dell’autenticità
Conoscere e comprendere come funziona il proprio cervello non è un esercizio teorico: è il modo più diretto per esprimersi al meglio. Quando ci concediamo il permesso di essere autentici, senza obbligarci a comportamenti o pensieri che non ci appartengono, diventiamo più lucidi e più efficaci.
Questa consapevolezza si riflette anche nelle relazioni: riconoscere e accogliere le differenze cognitive permette di vedere il potenziale dei colleghi, valorizzare punti di forza complementari e costruire team più solidi e creativi.
Le neuroscienze ci ricordano che il cervello è plastico: le connessioni si modificano in base alle esperienze, all’attenzione, all’ambiente e all’impegno consapevole. Riconoscere il proprio stile cognitivo, praticare la self-kindness e osservare quello degli altri, attiva circuiti neurali che favoriscono apprendimento, cambiamento e collaborazione.
Quando mi concedo di essere autentica/o posso apprendere, crescere e acquisire competenze;
se mi faccio la guerra, posso solo uscirne sconfitto.



