Un messaggio personale del Presidente del KKL Italia Andrea Alcalay

Insider-Associazioni
di Andrea Alcalay
Ogni anno è una gioia per noi tutti poterci ritrovare insieme in Sukkà, in questo spazio
fragile e temporaneo, eppure intriso di presenza divina e da quel senso di avvolgente
calore e affetto che solo famiglia, amici e Comunità sanno creare.
Halakhicamente, la Sukkà deve avere un tetto incompleto che ci protegge ma lascia
intravedere il cielo. Non deve essere troppo denso, né completamente chiuso. È una mizvà
fatta di equilibrio: non troppa copertura, non troppa apertura. Su questo concetto di
“equilibrio” ho riflettuto: l’equilibrio è il punto, o addirittura un “luogo”, dove ci si trova ci
si stringe la mano e si sta insieme, un luogo dove anche gli estremi opposti si incontrano in
armonia cosa di cui nei tempi che stiamo vivendo abbiamo un disperato bisogno. Questo ci
insegna anche una lezione profonda: la vera sicurezza non viene da ciò che è “solido”, ma
dalla fiducia — nel Creatore e nella Sua provvidenza.
Rav Sacks chiamava Sukkot la festa dell’insicurezza. Viviamo per sette giorni sotto un tetto
precario per ricordare che la stabilità non è materiale, è spirituale. La Sukkà ci dice: non
tutto ciò che è stabile è sicuro, e non tutto ciò che è fragile è pericoloso. E’ un’abitazione
temporanea dove trovare la gioia non per quello che abbiamo, ma per quello che siamo.
Cioè: la temporaneità non toglie significato, anzi lo arricchisce restituendocelo e
ricordandoci che la felicità non è possesso, ma presenza e condivisione.
E qui entra anche un altro elemento halakhico: l’ospitalità.
Secondo la tradizione kabbalistica, ogni sera della festa riceviamo nella Sukkà gli Ushpizin
— ospiti spirituali, i patriarchi e i grandi giusti d’Israele.
Ma la vera mizvà è aprire la porta anche a ospiti reali — amici, vicini, persone sole.
La Sukkà è la dirat aray che diventa dirat emunah — una dimora di fede e di fiducia
reciproca.
Dopo Yom Kippur, la festa dell’introspezione, del perdono, del ritorno a Dio attraverso la
teshuvah arriva Sukkot: dopo esserci purificati interiormente, impariamo a vivere
esteriormente nella semplicità e nella gioia. Dopo aver cercato Dio nel santuario della
preghiera, ora Lo cerchiamo nella Sukkà — nel vento, nella fragilità, nella luce delle stelle.
E forse questa è la lezione più bella per la nostra generazione: vivere la Sukkà significa
accettare che la vita è provvisoria, ma la fede è permanente.

Che possiamo tutti trovare nella nostra Sukkà quel senso di sicurezza che non nasce dalle
pareti, dalla solidità ma dalla presenza, dalla condivisione e dalla gioia.
Un Augurio sincero e affettuoso di Hag Sukkot Sameach da parte di tutto il KKL a tutte le
Comunità Ebraiche Italiane.

Andrea Alcalay
Presidente del KKL Italia