Lo sport cambia la vita

Giovani

di Ilaria Myr

Lo sport come ingrediente fondamentale del benessere quotidiano di ognuno. Ma anche, e soprattutto, un diritto imprescindibile alla salute per gli invalidi. Questi i principali temi di cui si è parlato alla serata dell’Associazione Medica Ebraica Milano (Ame), tenutasi all’Acquario Civico di Milano lo scorso 18 ottobre, intitolata appunto ‘Lo sport per tutti, per una migliore qualità della vita’, che visto il supporto anche dell’Ospedale Fatebenefratelli e dell’associazione Monte Sinai.

“L’obiettivo dell’Ame è da sempre quello di fare attività culturale e scientifica con collegamenti all’esperienza di Israele – ha spiegato Luciano Bassani, presidente Ame-Milano -, oltre che dare assistenza alla comunità ebraica, secondo le regole dell’Oms, e sviluppare attività di prevenzione per la popolazione. L’evento di questa sera nasce dall’atto di solidarietà che l’Ame ha fatto nei confronti di un atleta non vedente, mandandolo a gareggiare a Eilat. Per l’importanza che sta avendo anche in Italia, abbiamo coinvolto anche la tecnologia israeliana ReWalk, che consente ai paraplegici di camminare”.

La serata è stata dunque molto ricca innanzitutto di contenuti, grazie agli interventi di alcuni medici appartenenti all’associazione, che hanno spiegato, dal loro punto di vista, l’importanza cruciale dello sport per prevenire e combattere alcune malattie. Il prof Arsenio Veicsteinas, medico dello sport, ha per esempio sottolineato come l’uomo sia stato creato, fin dagli albori del mondo, per correre. Lo stile di vita sedentario e esagerato nell’alimentazione a cui oggi ci siamo abituati sarebbe quindi contro natura, e la causa di moltissime patologie pericolose. Dell’importanza della postura corretta nella  vita quotidiana e nello sport ha invece parlato Luciano Bassani, fisiatra e presidente dell’Ame Milano. “Il corpo umano è fatto di strutture in pressione e compressione – ha spiegato -. Quando si altera questo equilibrio sorgono i problemi”. Infine la parola al cardiologo Maurizio Turiel, che, come era prevedibile, ha puntato i riflettori sull’importanza di avere un cuore sano. “La prevenzione fatta fino a oggi ha fallito – ha esordito -. Ogni anno in Italia 160.000 persone sono colpite da un attacco cardiaco, in molti casi asintomatico”. Ma, nonostante ciò, è fondamentale continuare su questa strada, che consente di ridurre i rischi. Per questo l’Ame ha qualche tempo fa realizzato, in collaborazione con il Comune di Milano, un evento di prevenzione cardio-vascolare, mettendo a disposizione dei cittadini un gazebo in cui fare degli esami di misurazione del rischio di sviluppare una malattia cardio-vascolare.

Molte sono state anche le emozioni, suscitate dalla viva voce di due persone che ogni giorno convivono con la propria disabilità, ma che grazie allo sport e al movimento fisico sono riusciti a riconquistare una dimensione di normalità. Alla base di queste due diverse esperienze vi è la collaborazione fra Italia e Israele, da sempre l’obiettivo di azione dell’Ame.

Angelo Ceriani, milanese di 42 anni, campione di para-triathlon, non vedente da 15 anni in seguito a una malattia ereditaria, grazie al sostegno dell’Ame e dell’associazione Monte Sinai ha potuto partecipare nell’aprile scorso ai campionati europei a Eilat. Con il supporto fondamentale della sua guida, Carlo Pellegri, Ceriani ha portato a termine con soddisfazione tutte le tappe previste da questa disciplina: 750 metri a nuoto (legato con una corda alla sua guida), 20 km in bicicletta (in tandem) e 5 km a piedi (con un cordino legato alla mano).

“Prima di ammalarmi della sindrome di Leber, ho sempre praticato sport a livello amatoriale – ha spiegato -. Poi, a causa dei medicinali che ho dovuto prendere, sono ingrassato molto. Ho dunque iniziato di nuovo a praticare sport, fino a farlo a livello agonistico. Lo sport mi ha senza dubbio aiutato a ricostruirmi la vita: è un aiuto fondamentale, sia fisico che psicologico, che permette di scaricare le tensioni di tutti i giorni”. La prossima sfida di Ceriani saranno le paralimpiadi del 2016 di Rio de Janeiro, le prime della storia in cui sarà presente anche la disciplina del paratriathlon.

Un’altra testimonianza di forza e speranza, e allo stesso tempo, di collaborazione fra Italia e Israele, è stata quella di Manuela Migliaccio, una ragazza napoletana di 28 anni, da tre paraplegica in seguito a un incidente che le ha causato una lesione totale del midollo. Da qualche mese, però, Manuela, costretta in sedia a rotelle, può godere qualche ora al giorno del piacere di camminare di nuovo: questo grazie alla tecnologia israeliana ReWalk, dell’azienda israeliana Argo Medical technologies, bastata su un eso-scheletro, che si attacca al corpo con dei velcri, e che, permette a chi ha delle lesioni totali la midollo di deambulare meccanicamente. Un computer collegato con accelerometri e giroscopi, infatti, ‘ascolta’ i movimenti del busto di Manuela e li trasforma in movimento o le permette di stazionare in posizione eretta (anche se è ancora necessario che la persona si appoggi a due stampelle per aumentare l’equilibrio). In pratica, Manuela, spinge avanti il busto e le spalle per impartire l’ordine al pc di iniziare il cammino e li ritrae per indicare la volontà di fermarsi.

“È uno strumento riabilitativo eccellente – ha spiegato la ragazza, mentre mostrava alla platea come funzionava la tecnologia – che aiuta non solo a camminare, ma anche a recuperare alcune funzioni fisiologiche, come quelle intestinali o circolatorie, che stando in carrozzina sono molto rallentate. Grazie a questa tecnologia posso non solo tornare alla mia altezza normale, ma anche camminare all’aria aperta, e fare perfino la Corsa della speranza di Lugano di 5 km. Questa tecnologia dà al paraplegico la possibilità di scegliere di camminare, e questo cambia profondamente la vita”.

“Il metodo ReWalk rappresenta un punto di svolta – ha aggiunto il dr. F. Molteni, primario del centro di riabilitazione Valduce Villa Beretta di Costa Masnaga (Lecco), che ha avviato un progetto pilota della tecnologia israeliana su 12 pazienti, fra cui Manuela Migliaccio -, in quanto dà ai pazienti un’alternativa alla carrozzina, e la possibilità di tornare a usare le proprie gambe. Certo, ci sono ancora dei margini di miglioramento, per esempio nei materiali e nell’ingombro delle batterie, ma il primo fondamentale passo è stato fatto”.