Umanità a corrente alternata

Taccuino

di Paolo Salom

Da mesi la coalizione anti-Isis, e cioè lo Stato islamico protagonista, con Al Qaeda, delle più efferate azioni di questo nuovo millennio, compie quotidiani bombardamenti sulle zone controllate da questa organizzazione, tra Iraq e Siria. Le vittime si contano a centinaia (se non migliaia). Gran parte di queste vittime sono civili: vecchi, donne, bambini. L’Agenzia Ansa, citando un’organizzazione umanitaria “accreditata”, il Centro di documentazione delle violazioni in Siria (Vdc), riporta che in un’azione del 28 dicembre scorso – ma arrivata alle cronache soltanto ora – un edificio di Al Bab, a est di Aleppo, è stato raso al suolo con due missili. I morti accertati? Più di 60. La maggior parte civili inermi, molti i bambini. Notizie come queste raggiungono raramente il lontano Occidente. E anche quando arrivano, non suscitano nemmeno un battito di ciglia.

 

Consideriamo inoltre i titoli dei giornali sulla reazione della Giordania (e degli imam di Al Azhar, la più prestigiosa università islamica del mondo sunnita) alla oscena uccisione del pilota catturato dall’Isis. La parola chiave era: vendetta. Non solo, i ministri religiosi del Cairo hanno parlato di “crocifissione e mutilazione” dei terroristi. Chiariamo: la sorte toccata all’ufficiale giordano bruciato vivo in una gabbia ha suscitato rabbia e orrore in tutti noi. E il pensiero della “vendetta” è solo un passo dopo il riconoscimento della barbarie, la normale reazione di un individuo. Forse, però, un atteggiamento eccessivo da parte di uno Stato (per quanto comprensibile). Anche qui, nessuno o quasi ha avuto l’ardire di criticare l’immediata impiccagione di due detenuti (la kamikaze mancata Sajida al Rishawi e un complice di Al Zarqawi) in carcere in Giordania. Amman ha inoltre bombardato (provocando certamente vittime anche civili) l’area di Mosul, in Iraq, in mano all’Isis. Amnesty International ha pubblicato un (timido) richiamo a non agire in nome della vendetta. Poche altre voci si sono sentite.

 

L’Onu, invece, ha emesso in questi giorni una dichiarazione di condanna per l’uccisione di un casco blu spagnolo, in Libano, durante la risposta di Israele all’attacco di Hezbollah contro un convoglio militare, attacco che ha provocato la morte di due giovani soldati. Ecco, notate bene: non una parola sull’azione terrorista di Hezbollah, per quanto il compito dei soldati dell’Onu dovrebbe essere proprio quello di prevenire simili eventi.  Insomma, tutto questo per dire che un ipotetico osservatore che, dallo spazio, avesse l’opportunità di seguire le vicende umane, potrebbe pensare che sulla Terra vive una razza schizofrenica. O, ancor più, monomaniaca. Perché tutte le azioni, per quanto sanguinose, compiute nei vari teatri di guerra sembrano parte di una (agghiacciante) normalità. Ma quando un piccolo fazzoletto di territorio (lo 0,1% del totale mondiale) chiamato Israele in qualche modo ne è protagonista (o vittima), allora si levano le fanfare delle condanne e dell’esecrazione. E, badate bene, non abbiamo inserito in questo elenco il dramma che si svolge proprio nel lontano Occidente (la guerra civile in Ucraina). Per parafrasare Orwell (La fattoria degli animali): tutti i conflitti sono uguali, ma alcuni conflitti sono più uguali degli altri…