Nelle manifestazioni di piazza negli Stati Uniti, Israele è sempre nel mirino, da destra e da sinistra

Taccuino

di Paolo Salom

[Voci dal lontano Occidente] Pochi giorni e una nuova amministrazione prenderà il potere negli Stati Uniti. Ne parlo qui non tanto per prendere posizione pro o contro il nuovo presidente Joe Biden: l’unico tema di cui provo a tenere un diario è l’atteggiamento nei confronti di Israele da parte del lontano Occidente (America compresa). Perciò è presto per giudicare. Vedremo in futuro.

Quello che invece posso portare alla vostra attenzione è il misterioso e improvviso ritorno alla normalità dopo settimane di scontri e violenze di piazza – nonostante la pandemia consigliasse di stare a casa – praticamente ovunque negli Stati Uniti. Perché ne parlo qui? Beh, intanto perché è utile riflettere sulla “spontaneità” di certi fenomeni: raramente lo sono. E poi perché – e qui sta il punto più delicato – gran parte degli slogan urlati dai manifestanti avevano Israele e gli ebrei come motivo e bersaglio. Ovviamente non per sostenere ma per distruggere.

Tanto che le parole usate più frequentemente erano in rima e parlavano della necessità di “liberare tutta la Palestina” (consentitemi di non citare uno slogan mortifero oltreché odioso in sé in quanto falso: la “Palestina” non essendo mai esistita se non nella fantasia dei Romani all’indomani della distruzione del Secondo Tempio e in quella dei britannici responsabili di un Mandato che doveva portare all’indipendenza degli ebrei in Eretz Israel, come poi è stato e non certo grazie ai buoni uffici del governo di Londra).

Dunque, eccoci qui. La calma dopo la tempesta americana. Inutile cercare di capire l’origine delle violenze: entrambi i candidati avevano interesse a soffiare sul fuoco per poi presentarsi come i paladini dell’ordine. Anche se, devo dire, gli estremisti di una parte che si dice di sinistra hanno certo fatto più rumore. Ma l’odio antiebraico sembra travalicare i confini degli schieramenti. E io continuo a restare incredulo: perché attaccare una sinagoga?

Perché accomunare gli ebrei ai “razzisti bianchi”, data la nostra storia, al di qua e al di là dell’Atlantico? In realtà, per quanto appaia difficile da credere, negli Stati Uniti è nata da tempo una teoria “di lotta” dal basso che si chiama “intersectionality”, secondo la quale ogni istanza (per esempio il femminismo, l’emancipazione degli afroamericani o i diritti Lgbt) va messa in relazione con le altre rivendicazioni degne di nota. Quali? Prima lasciatemi dire chi sono i maggiori responsabili, oggi, di questo movimento: le deputate Rashida Tlaib e Ilhan Omar (note odiatrici di Israele) e altri compagni di strada come Alexandria Ocasio-Cortez, Ayanna Presley e persino alcuni ebrei anti sionisti (che preferisco non citare).

Ecco che tutto fila: gli americani mettono a ferro e fuoco le città in odio a Trump e lo fanno (grazie alla pia opera di propaganda dei personaggi suddetti) gridando (anche) “morte a Israele”. I neonazisti scendono in strada armati fino ai denti per contrastare i loro avversari e ovviamente attribuiscono a un “complotto ebraico” l’anarchia in cui è precipitato il Paese. Disperante, non è vero? Il lontano Occidente cambierà mai? Intanto prendiamo nota che in Medio Oriente molte cose si stanno muovendo nella giusta direzione. Siamo solo agli inizi: ma è giusto essere ottimisti. Ne paleremo.