Il Premio Nobel Michael Levitt

Per il premio Nobel israeliano Michael Levitt l’epidemia rallenta e la sua fine è vicina

di Ilaria Ester Ramazzotti
“La fine della pandemia è vicina”. Lo ha detto Michael Levitt, il biofisico americano-britannico-israeliano vincitore nel 2013 del premio Nobel per la chimica. L’epidemia di coronavirus in Cina sta rallentando e non rappresenterà alcun rischio per la maggior parte delle persone, che sono naturalmente immuni. Questo il parere di Levitt, riportato sul Jerusalem Post del 16 marzo. Un parere che lo studioso, pur non essendo un virologo, basa su suoi calcoli matematici iniziati lo scorso febbraio.

In Cina, all’inizio dell’anno, “il tasso di infezione del virus nella provincia di Hubei aumentava del 30% ogni giorno: una statistica spaventosa” e “una crescita esponenziale” che se “fosse continuata a quel ritmo, si sarebbe infettato il mondo intero da lì a 90 giorni”. Tuttavia, mentre Levitt continuava a elaborarne i numeri, il modello cambiò: il primo febbraio, quando ha esaminato le statistiche per la prima volta, la provincia di Hubei aveva registrato 1.800 nuovi casi al giorno, che erano diventati 4.700 il 6 febbraio. Poi, il 7 febbraio, qualcosa cambiava di nuovo. “Il numero di nuove infezioni ha iniziato a diminuire linearmente senza fermarsi”, ha spiegato Levitt. “Una settimana dopo, lo stesso è accaduto con il numero delle morti. Questo drammatico cambiamento nella curva ha segnato il punto mediano e ha permesso una migliore previsione di quando la pandemia sarebbe finita. Sulla base di ciò, ho concluso che la situazione in tutta la Cina sarebbe migliorata entro due settimane. E, in effetti, ora ci sono pochissimi nuovi casi di infezione”.

Per maggiore chiarezza, Levitt ha paragonato la tendenza dell’epidemia alla riduzione dei tassi di interesse: se una persona riceve un tasso di interesse del 30% sui propri risparmi nel giorno 1 e un tasso del 29% nel giorno 2 e così via, “capisce che alla fine non guadagnerà molto”. Allo stesso modo, anche se in Cina vengono segnalati nuovi casi, questi rappresentano una frazione di quelli segnalati nelle prime fasi. Per intenderci, “anche se il tasso di interesse continua a scendere, si guadagna comunque: la somma investita non diminuisce, ma cresce più lentamente. Quando si discute di malattie, ci si spaventa molto perché ogni giorno le persone continuano a sentir parlare di nuovi casi. Ma il fatto che il tasso di infezione stia rallentando significa che la fine della pandemia è vicina”. Così, attraverso una proiezione, Levitt ha previsto che il virus probabilmente scomparirà dalla Cina entro la fine di marzo.

La motivazione del rallentamento dell’epidemia è dovuta al fatto che i modelli esponenziali ipotizzano che le persone infettate dal virus continueranno a contagiare gli altri a un ritmo costante. Nella prima fase dell’espansione del coronavirus, il tasso era in media di 2,2 persone al giorno. “Nei modelli di crescita esponenziale – ha spiegato ancora Levitt -, si suppone che ogni giorno nuove persone possano essere infettate, perché si continua a incontrare persone diverse. Tuttavia, considerando la propria cerchia sociale, fondamentalmente si incontrano le stesse persone ogni giorno. Si possono incontrare nuove persone sui mezzi pubblici, ad esempio, ma anche sull’autobus, dopo un po’ di tempo, la maggior parte dei passeggeri sarà infetta oppure immune”.

In questo periodo “non abbracciamo tutte le persone che incontriamo per strada, evitiamo di stare faccia a faccia con qualcuno che ha il raffreddore – ha evidenziato -.  In queste circostanze, un portatore infetterà soltanto 1,5 persone ogni tre giorni e il dato continuerà a scendere”. L’isolamento e le limitazioni dei contatti sociali non sono tuttavia gli unici fattori in gioco, secondo Levitt. A Wuhan, dove il virus è emerso per la prima volta, l’intera popolazione era teoricamente a rischio di contagio, ma solo il 3%” è stato effettivamente infettato.

Un esempio preso dalle cronache ci illumina sul pensiero di Levitt. La nave da crociera Diamond Princess, attraccata al largo di Yokohama per due settimane, rappresentava lo scenario peggiore in termini di diffusione della malattia, in quanto gli spazi stretti offrivano condizioni ottimali per la diffusione del virus a bordo. La densità di popolazione sulla nave era ipoteticamente equivalente al caso in cui l’intera popolazione israeliana fosse stata stipata in un’area di 30 chilometri quadrati, ha spiegato lo studioso. La nave aveva inoltre un impianto di aria condizionata e di riscaldamento centralizzato e una sala da pranzo comune. Tuttavia, “solo il 20% è stato infettato. È molto – precisa -, ma abbastanza simile al tasso di infezione dell’influenza comune”. In base ai suoi calcoli, Levitt ha così concluso che la maggior parte delle persone siano naturalmente immuni.

Pur non avanzando previsioni relative alle singole nazioni, ha aggiunto che “il più alto tasso di mortalità in Italia è probabilmente dovuto al fatto che le persone anziane rappresentano una percentuale maggiore della popolazione rispetto a paesi come la Cina o la Francia. “Inoltre, la mentalità italiana è molto calorosa e gli italiani hanno una vita sociale molto ricca. Per questi motivi, è importante tenere le persone separate e impedire ai malati di entrare in contatto con persone sane”.

Anche per quanto riguarda Israele, Levitt ha spiegato di non avere abbastanza dati per elaborare delle previsioni, ma concorda col governo sulle misure preventive prese. “Più serie sono le misure difensive adottate, più si guadagnerà tempo per prepararsi alle cure necessarie e sviluppare un vaccino”.