di Davide Cucciati
Come già accaduto in altri conflitti del passato, anche nel contesto della guerra in Ucraina non mancano i volontari da tutto il mondo che decidono di schierarsi, letteralmente, in prima linea. Uno di questi è stato Benjamin Giorgio Galli, ucciso da un missile a grappolo russo che lo ha colpito alla testa mentre cercava di coprire con il corpo un giovane compagno, a Kupiansk. La redazione di Mosaico ha contattato il padre, Gabriel, che ha descritto la vita del figlio con dettagli e particolari mai narrati finora dai canali d’informazione che in passato si erano già occupati della sua storia.
Il primo particolare che il padre precisa è la data di nascita del figlio: 27 gennaio 1995, cinquantesimo anniversario della Liberazione di Auschwitz. La famiglia Galli, originaria di Livigno e poi stabilitasi a Varedo, custodisce da generazioni un’identità ebraica viva. In casa si parlano italiano, inglese e olandese, con espressioni in yiddish e un po’ di ebraico; “la Torah c’era sempre”, precisa Gabriel Galli. “Già da quando era piccolo lo abbiamo educato con la giustizia della Torah. Spiegandogli che le leggi di Dio non sono da interpretare ma vanno seguite letteralmente, come il rispetto per la vita”, racconta il padre.
Tiene a sottolineare che a Benjamin è stato trasmesso fin da subito il valore del diritto del popolo ebraico all’autodeterminazione, “il diritto sovrano e la continuità di Zion”, insieme alla responsabilità morale di “aiutare chi non ce la poteva fare da solo, aiutando l’umanità”. Il padre lo descrive, fin da tenera età, quando viveva tra Olanda e Belgio, come “un bambino possente, un vero e proprio gigante ma empatico e generoso dotato dell’amore per la vita: era il difensore delle bambine ma anche dei bambini bullizzati”. Quando Benjamin è ancora piccolo, la famiglia si trasferisce a Gavirate.
A scuola, riferisce il padre, raggiunge “alti livelli di apprendimento, nonostante una forte dislessia e discalculia”. Durante la permanenza in Italia, padre e figlio condividono la passione per il motocross, sport in cui Benjamin arriva a competere a livello agonistico.
Terminate le scuole superiori, la famiglia si trasferisce in Canada. Benjamin ottiene una borsa di studio come Direttore Tecnico in Caterpillar e inizia anche a frequentare uno shul (scuola rabbinica) a Toronto. Dopo tre anni di lavoro, decide di tornare a vivere nei Paesi Bassi. Le prime notti, dorme ospite del Rabbino; poco dopo trova lavoro in un laboratorio tecnico di precisione a Winterswijk, attivo nel settore ottico o meccanico. Successivamente viene assunto alla Hittech Bihca, dove anche il fratello minore, David, troverà impiego.
Dopo la pandemia di Covid-19, che aveva costretto la famiglia all’isolamento per due anni nella casa di montagna a Bedero Valcuvia, Benjamin invita i genitori in Olanda per farsi aiutare a sistemare alcune pratiche burocratiche, in particolare “pagamenti con le amministrazioni”. È aprile 2021. In breve tempo tutte le pendenze vengono risolte. Qualche mese dopo, nell’ottobre dello stesso anno, Benjamin torna in Italia in ferie per fare visita alla zia, ai fratelli e agli amici del soft air. Il fratello di Gabriel, Oscar, lavora come tecnico aeronautico nello stabilimento di Cameri, dove Lockheed Martin produce gli F-35. Parlando con un titolare di un’officina di precisione meccanica a Locate Varesino, connessa alla filiera Lockheed, Oscar viene a sapere che stanno cercando tornitori CNC qualificati. Ne parla a Benjamin, con disappunto del padre, che avrebbe preferito per il figlio un altro tipo di carriera. Ma Benjamin accetta l’occasione. In poche settimane si guadagna la fiducia del titolare, viene promosso capo squadra e riesce ad adattare con rapidità le competenze acquisite in Canada al contesto italiano.
Poi scoppia la guerra in Ucraina. Gabriel legge l’appello del presidente Volodymyr Zelensky che chiede aiuto a chiunque voglia difendere il Paese dall’invasione. Lo condivide con Benjamin. Ma Benjamin non dice nulla e passa all’azione: si dimette e chiede al padre il denaro per un volo da Bergamo a Varsavia. Gabriel, tra paura e rassegnazione, gli prenota il volo e gli invia mille euro. Alla fine dell’inverno, Benjamin atterra in Polonia. Appena sceso dall’aereo, incontra un uomo ucraino con suo figlio che lo aiutano a raggiungere il confine per arruolarsi. Il padre lo implora: “Benjamin, torna a casa. È il momento di pensare a te. Di costruirti una famiglia”. Ma Benjamin non si volta e sale su un treno che va in un’altra direzione, verso l’interno dell’Ucraina. Non sa nemmeno dove stia andando con precisione, l’importante, per lui, è entrare in zona di guerra. Durante il viaggio in treno verso il fronte, Benjamin incontra un rabbino. L’uomo gli pone alcune domande in inglese a cui Benjamin risponde con naturalezza. Poi arriva la fermata del rabbino: prima di scendere, gli affida la sua Torah. La mattina seguente, Benjamin chiama il padre, entusiasta: “Papà, un rabbino mi ha benedetto e mi ha regalato la sua Torah!”. Gabriel, con tono tra l’affetto e l’ammonimento, replica: “E tu? L’hai benedetto anche tu? E la Torah del tuo bisnonno Baruch, quella che era di mio padre? L’hai persa?”. Benjamin non risponde subito. Poi dice: “Questa è più bella. Te la darò quando torno”.
Quella Torah verrà poi consegnata al padre da un ufficiale ucraino, il Maggiore del battaglione, in lacrime.
Galli si arruola ufficialmente nella Prima Legione Internazionale di Difesa dell’Ucraina il 3 marzo 2022. All’arruolamento, Benjamin incontra un uomo semplice, un sardo di 48 anni che non parla inglese. Si chiama Alessio. Tra i due nasce subito un’amicizia spontanea: “Con Benjamin è impossibile litigare o non andare d’accordo”, racconta il padre. Lo soprannominano “il Capisun”, colui che sa tutto. Alessio rischia di essere escluso dal battaglione per via della barriera linguistica, ma Benjamin si propone come suo traduttore e garante. Nessuno si oppone.
Durante un attacco alla caserma di addestramento, Alessio viene colpito gravemente al torace. Benjamin, che aveva l’abitudine di dormire poco profondamente, si era già messo al riparo nel bosco con altri volontari, tra cui Sefton Makkah, che in seguito confermerà tutto il racconto. Non vedendo rientrare Alessio, Benjamin decide di tornare indietro. Entra da solo nei dormitori distrutti, ancora bersagliati da mitragliatrici e colpi d’artiglieria russa. Trova Alessio, lo carica sulle spalle e lo trascina fuori dai locali in fiamme. Sefton ordina a Benjamin di lasciarlo lì e mettersi in salvo oltre la collina. Ma Benjamin rifiuta. Resta con l’amico tutta la notte nel bosco, scavando una buca per ripararsi. Gli salva la vita.
Dopo l’addestramento, Benjamin si specializza nell’uso della mitragliatrice M60, un’arma automatica molto pesante. La sua robustezza fisica lo rende particolarmente adatto a portare con sé equipaggiamenti complessi anche in movimento. Il padre gli consiglia di riempire lo zaino con 800 proiettili per l’M16 e quattro nastri da 180 colpi perforanti per l’M60. Gli raccomanda anche di portare con sé il coltello da combattimento Glock, nel caso estremo fosse stato catturato. “Sapeva cosa avrebbe dovuto fare”, aggiunge. Infine, gli consiglia di ridurre al minimo l’acqua nello zaino, per non appesantirsi inutilmente.
La compagnia viene trasferita a piedi da Chernobyl, in un movimento lento e ordinato. Secondo il padre, intanto le truppe russe si addentravano nelle cave dove un tempo erano custoditi i missili nucleari, “in una farsa che chiamano vittoria”. Lì, racconta, venivano mandati a scavare sotto il fuoco ucraino, esposti a residui radioattivi così intensi da rendere impossibile qualsiasi reazione. Durante questo trasferimento, Benjamin trova un lupoide randagio che adotta e che diventa la mascotte della compagnia. Il cane lo seguirà fino a Kyiv. Nella capitale, il gruppo incontra mercenari siriani e prigionieri arruolati da Prigozhin, “un cuoco, non un comandante”, commenta il padre. In questo contesto caotico, l’esercito russo appare lento e disorganizzato. Benjamin si muove con prontezza anche nella guerra urbana: aveva già affrontato simulazioni simili e si guadagna una lettera di encomio dal Maggiore Bogdan, che elogia il suo sangue freddo. Più tardi, i volontari vengono trasferiti a Zaporizhzhia. Galli esprime le sue perplessità: “Perché spostare una compagnia così piccola, senza veicoli né artiglieria, in un’area sotto controllo russo, piena di T-59 e soggetta a bombardamenti, quando a Mariupol e Odessa c’erano mezzi come gli Abrams e i Patton?”. Il padre espone queste riflessioni a Benjamin che risponde: “Papà, io sono l’ultimo arrivato. Sono un soldatino. Non discuto gli ordini dei superiori.”.Le abilità di Benjamin sono comprovate anche dalla lettera d’encomio, firmata dal Maggiore Bohdan Molchanov, che Mosaico ha potuto visionare. Nel documento si legge che Galli ha dimostrato “comportamento esemplare sotto il fuoco nemico”.
In seguito, Benjamin viene trasferito nella regione di Cherson. Qui, stanco delle razioni liofilizzate, Benjamin prende l’iniziativa: inizia a cucinare per i compagni, con quanto riusciva a cacciare o pescare. Cervo, anatra, oca. A volte persino pesce. Tutto sempre kosher, tiene a precisare il padre. Inoltre, Benjamin rifiuta categoricamente di cacciare i cinghiali: gli suscitavano insieme ribrezzo e pietà e spiega poi ai commilitoni il motivo di quella scelta, legato alla sua identità ebraica.
Dopo lunghi e intensi combattimenti, i soldati sono esausti. Alcuni arrivano a inscenare crisi e deliri nel tentativo di essere riformati. È in quel contesto che il dottor Benjamin Lackey affida a Galli un incarico non formale ma cruciale: lo nomina assistente psicologo del battaglione, colpito dalla sua empatia e dalla forza interiore che trasmette. “In prima linea non ci sono psicologi”, gli avrebbe detto. Benjamin si fa carico del vuoto. Motiva i commilitoni leggendo loro brani della Torah. In poche settimane diventa un punto di riferimento spirituale: un tramite tra la guerra e Dio, tra la paura e il senso del dovere. Secondo il padre, quel figlio capace di dare forza agli altri ha trasformato un posto di morte in un sito di onore. Era la sua natura: un ragazzo forte, eppure delicato, mosso da un amore profondo per la vita.
Poi, l’epilogo. Colpito da un missile a grappolo a Kupiansk, Benjamin muore a Kyiv, circondato dai compagni che lo piangono come un fratello. Quando il padre riesce ad arrivare, lo trova in obitorio: “rilassato, in pace con tutti”. Lo lava, gli rimuove i cateteri, lo rade. Gli sistema la kippah e il tallit. Lo veste con l’abito che indossava al tempio. Galli evidenzia che Benjamin era un figlio di cui andare fieri: indipendente, coraggioso, cresciuto secondo i valori della Torah, che seguiva con disciplina assoluta. Il padre racconta che si oppose fermamente alla somministrazione di sostanze psicotrope nei reparti e che salvò rocambolescamente una madre e sua figlia nel pieno dei combattimenti. “Disprezzava la paura”, scrive, “e forse per questo venne promosso e decorato: l’unico italiano a ricevere i massimi riconoscimenti in questa guerra”.
La sua integrità spirituale, la coerenza con i precetti kasher, difficilissimi da osservare in prima linea, e il rispetto assoluto della vita umana gli valsero perfino un inchino da quello che il padre definisce “il Generale dei generali”. Gesti simbolici, forse, ma per la famiglia sono segni che testimoniano la statura morale di un ragazzo che, in pochi mesi, è diventato un riferimento. “Magre consolazioni”, aggiunge il padre. “Ma io sono certo che Benjamin abbia cambiato la storia”.
Il 13 gennaio 2023, con decreto del Presidente dell’Ucraina Volodymyr Zelenskyj, a Galli è stata conferita postuma l’Ordine “Per il Coraggio” di III grado, una delle principali onorificenze al valore militare previste dallo Stato ucraino.