di David Zebuloni
“Gli attacchi sono coordinati: alcuni avvengono tramite incursioni armate, altri con l’impiego di mezzi pesanti – spiega Fadi Maklida, tra i fondatori del movimento Mizan – Generazione Drusa per l’Uguaglianza -. È un’invasione in piena regola, un massacro sistematico accompagnato da slogan jihadisti recuperati dai tempi dell’ISIS e di Jabhat al-Nusra”.
Spari riecheggiano per le strade, le forze del regime irrompono nelle abitazioni private, anziani vengono umiliati pubblicamente. Il sud della Siria è di nuovo in fiamme, e la situazione nella provincia drusa di Suwayda appare sempre più fuori controllo. Gli scontri, inizialmente circoscritti, si sono trasformati in vere e proprie battaglie sanguinose tra le milizie sunnite affiliate al regime di Damasco e le formazioni armate locali della comunità drusa.
“Gli attacchi sono coordinati: alcuni avvengono tramite incursioni armate, altri con l’impiego di mezzi pesanti”, spiega l’avvocato Fadi Maklida, tra i fondatori del movimento Mizan – Generazione Drusa per l’Uguaglianza, in un’intervista a Makor Rishon. “È un’invasione in piena regola, un massacro sistematico accompagnato da slogan jihadisti recuperati dai tempi dell’ISIS e di Jabhat al-Nusra. Frasi come ‘Esercito di Maometto’ e insulti alla fede drusa si levano a giustificare atrocità in nome della religione. È una profanazione del nome del Profeta e dell’Islam stesso”.
Secondo Maklida, le ragioni del conflitto sono più ideologiche che militari. “Il pretesto ufficiale è che i drusi si rifiutano di consegnare le armi, ma si tratta di una giustificazione costruita ad arte”, afferma deciso. “In realtà, l’obiettivo è indebolire la comunità drusa e costringerla a piegarsi a un regime islamista fondato sulla shari’a”.
La brutalità delle operazioni è documentata da numerosi video circolati sui social negli ultimi giorni. In essi si vedono forze del regime siriano radere con violenza la barba agli anziani drusi – un atto considerato un oltraggio gravissimo alla dignità e all’identità religiosa della comunità. “Agli occhi dei jihadisti, i drusi sono infedeli,” continua Maklida. “Già in passato avevano espresso la volontà di ‘riportarli sulla retta via’, ovvero convertirli con la forza all’Islam secondo la loro interpretazione”.
Il baffo è infatti un simbolo culturale e religioso tra i drusi: gli uomini di fede sono tenuti a non radersi, e solo in fasi avanzate della loro vita spirituale possono farsi crescere la barba. “Radere questi simboli equivale a un atto di annientamento culturale, simile a quanto fecero i nazisti tagliando le ciocche degli ebrei senza alcuna ragione”, denuncia Maklida. “La paura è ovunque. Riceviamo continuamente notizie da drusi disperse in Siria: le dimensioni reali del massacro sono ancora sconosciute e molti sono irraggiungibili”.
Tra le voci che portano alla luce la sofferenza dei drusi siriani c’è anche quella di Marwan Jabar, 16enne di Daliyat al-Karmel e influencer con centinaia di migliaia di follower su Instagram. “Parte della mia famiglia vive ancora in Siria”, racconta. “Mi mandano video strazianti, chiedono aiuto. Io posso solo ripubblicare questi drammatici contenuti, far sapere al mondo cosa sta accadendo. Il mio profilo è diventato la loro voce”.
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I racconti sono agghiaccianti. “Mi dicono che li stanno finendo, che vengono torturati, che vogliono sterminarli. Le milizie di Jolani hanno ucciso bambini e ragazzi, hanno sequestrato case di famiglie druse. Ma Suwayda è la loro terra, il potere deve restare nelle mani druse”. Secondo Jabar, alcuni cittadini hanno imbracciato le armi per difendersi, mentre altri si sono chiusi in casa, terrorizzati. “Molti abitanti del luogo sono armati, anche le donne sanno usare le armi. Vogliono difendere la loro terra, ma da soli non ce la fanno. L’offensiva contro di loro è troppo potente”.
Proprio per contenere la minaccia, Israele è intervenuta militarmente. Le Forze di Difesa Israeliane hanno pubblicato il video dell’attacco a un carro armato siriano, motivandolo con la necessità di “impedire l’arrivo di mezzi corazzati nella zona”, sottolineando che la loro presenza nel sud della Siria potrebbe rappresentare una minaccia diretta anche per Israele. Due carri armati del regime sono stati colpiti da droni e aerei da caccia dell’aeronautica israeliana. Immediata la reazione di Damasco, che ha condannato l’azione come “una grave violazione della sovranità siriana”.
Intanto, anche la realtà nelle comunità druse si fa sempre più tesa. Per questo motivo il Magen David Adom (il servizio nazionale di emergenza medica, protezione civile, ambulanze e banca del sangue dello Stato di Israele) ha innalzato il livello di allerta del servizio di emergenza al massimo grado. Tutti i mezzi di soccorso, con a bordo dipendenti e volontari qualificati, sono infatti pienamente operativi e pronti a intervenire in caso di necessità.

“Parlo a nome di tutti i drusi israeliani nel ringraziare l’esercito israeliano per essere intervenuto, ma la missione non è finita: serve altro aiuto”, dice con urgenza Jabar. “Dopo l’attacco israeliano, il regime è diventato ancora più crudele. Non possiamo lasciarli soli. Non possiamo permettere il loro annientamento”. Anche Maklida rilancia l’appello. “Senza un intervento deciso di Israele, i drusi sono in pericolo di estinzione”, afferma. “La loro capacità di difendersi è estremamente limitata: le armi leggere dei drusi non possono competere con le armi pesanti del regime. Un’azione israeliana decisa è per loro vitale. Senza Israele, non esisteranno più drusi in Siria”.