di Roberto Zadik
Un segnale forte, in controtendenza con l’attuale virulento antisemitismo che avvelena l’Occidente
In questa tempesta di odio antiebraico, il nuovo e primo Museo dell’Olocausto, creato in Corea, assume un ruolo ancora più centrale e, se possibile, ancora più di spicco dei precedenti per la sua utilità nel ricordare e ribadire ancora una volta quale crimine sia stata la Shoah
Ynetnews, lunedì 19 maggio, racconta che a Paju, cittadina della Corea del Sud, è stato inaugurato il nuovo Memoriale; la notizia, ripresa da vari siti internazionali, è stata accolta con grande favore dall’ambasciatore israeliano Rafi Harpaz che, alla cerimonia di apertura, ha evidenziato come “ricordare la Shoah non è una scelta ma un dovere morale”. Come sottolineato dal rappresentante dello Stato di Israele, “l’evento dimostra l’impegno coreano nel campo dell’educazione e della lotta all’odio”; a questo proposito, Harpaz ha ricordato come la Shoah rappresenti uno dei capitoli più bui della storia umana e quindi il Memoriale sia un luogo di verità e di responsabilità morale.
Nel suo intervento egli ha puntualizzato che “manipolare la Memoria è un attentato non solo ad essa ma alla giustizia e alla dignità delle vittime” ed ha aggiunto che “Abbiamo il dovere di affrontare questi fenomeni e di educare le giovani generazioni alle conseguenze dell’odio, dell’indifferenza e del silenzio”.
Ma come è nato questo progetto e quali ne sono stati gli autori? Il Memoriale è stato realizzato grazie all’iniziativa e all’impegno del KBI, Korea-Israel Bible Institute (Istituto didattico di studi biblici fra Corea e Israele), che ha dedicato all’Olocausto, al popolo ebraico e ad Israele non solo una mostra importante ma anni di ricerca e approfondimento. Come ha detto il prof. Song Man Suk, uno dei membri di riferimento dell’ente e fra i fondatori del Memoriale “dopo il 7 ottobre abbiamo avuto anche in Corea fenomeni di intolleranza verso Israele e gli ebrei e questo è stato per noi un campanello d’allarme“.
Un campanello d’allarme che, sebbene si sia sentito forte e chiaro, non è stato invece colto in Occidente.
“L’intento principale del progetto – ha continuato – è educare la gente alla conoscenza obiettiva del popolo ebraico, al vero significato del termine ‘genocidio’ e, in contemporanea, vogliamo esprimere un chiaro messaggio di vicinanza e solidarietà al popolo ebraico”. Egli ha espresso il suo appoggio anche all’ambasciatore israeliano Harpaz che, recentemente, era stato aggredito da ignoti, mentre cenava in un ristorante a Seul con la famiglia. “Questo museo – ha concluso Song Man Suk – è la nostra replica al crescente antisemitismo e una testimonianza del valore della conoscenza, dell’etica e dell’empatia”. Come ha evidenziato il Times of Israel l’iniziativa conferma gli ottimi rapporti fra Israele e Corea del Sud, iniziati nel lontano 1962, e la stima e il rispetto per la cultura ebraica da parte dei suoi cittadini.