Javier Milei con Isaac Herzog

Nuove prospettive tra Israele e l’America Latina, fra amicizie e opposizioni ideologiche

Mondo

di Nathan Greppi

Quando si tratta dell’America Latina, Israele ha sempre avuto alti e bassi: se con l’Argentina i rapporti sono migliorati enormemente dopo l’elezione nel 2023 di Javier Milei, in Colombia dopo il 7 ottobre e lo scoppio della guerra a Gaza l’attuale presidente Gustavo Petro ha interrotto le relazioni diplomatiche con lo Stato Ebraico. Mentre in Brasile, al miglioramento dei legami sotto la presidenza di Jair Bolsonaro è seguito un netto peggioramento dopo il ritorno al potere di Lula.

Nel tentativo di coltivare buoni rapporti tra il suo continente e Israele, proprio Milei ha recentemente proposto un progetto noto come “Accordi di Isacco”, prendendo come modello gli Accordi di Abramo tra Israele e i paesi arabi.

Per capire la natura del progetto e in quale contesto è nato, abbiamo parlato con Gaston Saidman, analista israeliano nato in Argentina e specializzato in relazioni tra il Medio Oriente e l’America Latina. Suoi articoli sono apparsi sul Times of Israel.

Su quale premessa si basa l’idea degli Accordi di Isacco?

Con questi nuovi rapporti tra Israele e Argentina, in futuro si svilupperanno una serie di progetti che ne consolideranno ulteriormente il progresso. Per raggiungere questo obiettivo, l’Argentina deve entrare a far parte della famiglia mediorientale, della sua cultura e delle sue tradizioni; o meglio, deve comprendere questi aspetti per creare un rapporto più stretto. Gli Accordi di Isacco rappresentano la continuazione di ciò che è iniziato per il futuro Medio Oriente con gli Accordi di Abramo: unire i legami che, storicamente, dovremmo promuovere tra ebrei, musulmani e cristiani attraverso il dialogo, e creare così una pace duratura.

Perché proprio Isacco?

Dobbiamo spiegare all’Occidente che la tradizione è molto importante nelle religioni semitiche, ed è per questo che Abramo, il patriarca delle tre religioni monoteiste, è stato nominato per primo. Ma ora, per restare in continuità, Israele e Argentina hanno firmato gli Accordi di Isacco, che uniscono l’Argentina a questa famiglia e Israele al resto dell’America Latina, o almeno è quello che speriamo. Questo perché Isacco, il figlio di Abramo e Sara, è un simbolo di fratellanza. Oltre alla possibilità di realizzare progetti comuni attraverso gli accordi, l’idea è anche quella di unire i popoli e risolvere i conflitti.


Manifestazione pro-Israele a Buenos Aires nell’ottobre 2023

Da quando Javier Milei è diventato presidente dell’Argentina, cosa è cambiato nelle relazioni con Israele rispetto ai governi Kirchner?

Il cambiamento è stato molto significativo rispetto ai precedenti governi argentini, non solo quello di Cristina Kirchner, ma anche rispetto all’ultimo, sotto Alberto Fernández. Il presidente Milei ha espresso pubblicamente il suo sostegno a Israele e, sin dalla sua campagna elettorale, ha dimostrato grande rispetto per la comunità ebraica argentina, la più grande di tutta l’America Latina, e interesse a tendere la mano a Israele, non solo nelle relazioni bilaterali ma anche nella politica internazionale, presentandosi sempre come un alleato strategico e morale.

Il presidente argentino ha anche scelto lo Stato di Israele come prima destinazione all’inizio del suo mandato, dove è stato accolto con rispetto. Nelle sue dichiarazioni davanti al parlamento israeliano, ha approvato il trasferimento dell’Ambasciata argentina a Gerusalemme, un gesto politico molto significativo che lo distingue particolarmente dai precedenti governi che hanno mantenuto l’ambasciata a Tel Aviv e soddisfatto i desideri della comunità internazionale. Milei ha rotto con la storia tendendo la mano a Israele.

Oltre all’ambasciata, può citare altri esempi di questa sua vicinanza a Israele?

Se ascoltiamo i suoi discorsi nei forum internazionali, notiamo che ha votato contro il riconoscimento di uno Stato palestinese, ribaltando la posizione dell’amministrazione Kirchner, che a volte sembrava equiparare Israele agli Stati islamici radicali. Vale la pena notare come il nuovo governo argentino sia stato più esplicito nel riconoscere e distinguere tra organizzazioni che sostengono la causa palestinese e organizzazioni terroristiche, dimostrando grande coraggio ed eroismo. Lo ha fatto, ad esempio, riconoscendo Hamas come organizzazione terroristica e condannando Hezbollah in quanto tale, misure che non sono state nemmeno prese in considerazione dai governi precedenti.

Israele ha relazioni negative con paesi come il Brasile, Cuba e il Nicaragua, e la Colombia ha persino interrotto le relazioni diplomatiche dopo il 7 ottobre. Perché molti governi latinoamericani odiano Israele?

La questione è determinata da molti fattori. Cominciamo con Cuba. Fidel Castro riconobbe la Repubblica Islamica dell’Iran nel 1982, permettendo alla sua influenza maligna di diffondersi in tutta l’America Centrale. Per più di 40 anni, gli iraniani hanno lavorato per infiltrarsi nella cultura politica, specialmente quella dei paesi del Terzo Mondo. Israele ha solo lasciato un vuoto in queste regioni, perché ha sempre voluto mantenere buoni rapporti soprattutto con le potenze occidentali. Ma l’Iran ha riempito quel vuoto.

Come ci è riuscito?

Semplicemente, l’Iran ha capito che i paesi influenzati da Cuba combattevano, o credevano di combattere, contro l’imperialismo guidato dagli Stati Uniti, e così si è creato un nemico comune. Così, per 40 anni, l’Iran ha fatto credere ai socialisti latinoamericani che stavano combattendo insieme contro l’imperialismo; in realtà, quello che ha fatto è stato introdurre la sua ideologia terroristica e criminale nelle loro istituzioni e nella coscienza della società. E non ha introdotto solo un’ideologia, ma anche cellule terroristiche che abbiamo già visto all’opera, come è successo negli anni ‘90 a Buenos Aires. Quindi, se per 40 anni il mondo ha ignorato ciò che stava accadendo nei paesi dell’America Latina e non ha dato loro l’attenzione che meritavano, non dovrebbe sorprenderci che oggi ci sia una generazione adulta cresciuta con questa ideologia antioccidentale, ignara di aver permesso l’infiltrazione di cellule terroristiche.

Detto questo, spero che paesi come la Colombia cambino idea, e sono sicuro che ciò accadrà quando l’attuale governo verrà sostituito. La Colombia è sempre stata una grande amica d’Israele, ma oggi è governata da una visione distorta del socialismo del XXI secolo, influenzata dal defunto Chávez.

macerie del centro ebraico AMIA a Buenos Aires dopo l'attentato del 18 luglio 1994
Macerie del centro ebraico AMIA a Buenos Aires dopo l’attentato del 18 luglio 1994

 

Storicamente, quali paesi dell’America Latina sono più amichevoli nei confronti di Israele? E quali, invece, sono i più ostili?

Partiamo dalla Colombia. Nel corso della storia, ci sono state ottime relazioni tra Colombia e Israele. La Colombia è un paese dell’America Latina che ha sempre collaborato con Israele, soprattutto in ambito commerciale, ma anche ricevendo un significativo sostegno militare e tecnologico da Israele. Parlo spesso con senatori colombiani che fanno parte dell’opposizione a Petro, e vi assicuro che, mentre le critiche a Israele durante questa amministrazione sono state dure, la totale rottura delle relazioni è stata vista come un errore. Posso anche sottolineare, da diverse conversazioni che ho avuto con membri del governo colombiano, che non l’hanno vista come una decisione positiva, e l’hanno persino descritta come dannosa per la Colombia. Il nuovo governo colombiano ha distrutto decine di contratti commerciali, danneggiando molti uomini d’affari. Ora non resta che avere pazienza e aspettare che l’attuale governo cambi.

Passando al Cile, questo ha sempre cercato di rimanere neutrale nel conflitto israelo-palestinese, e ospita una grande comunità palestinese. Personalmente, non descriverei la posizione cilena nei confronti di Israele come ostile, ma nel corso della sua storia è stata corretta. Tuttavia, con il nuovo presidente Gabriel Boric, che ha dimostrato apertamente il suo disprezzo per Israele e rotto i rapporti, è chiaro che la situazione è diventata tesa.

I paesi dell’America Latina non possono essere classificati come pro o contro, poiché nel corso della storia abbiamo visto i loro governi cambiare posizione da un giorno all’altro. Ma naturalmente, ci sono paesi che sono generalmente filoisraeliani e altri che sono più ostili.

Il Cile ospita la più grande comunità palestinese al di fuori del Medio Oriente, e paesi come l’Argentina e l’Ecuador hanno avuto presidenti di origine araba. In che modo questo influisce sulla diffusione dell’odio antisraeliano in America Latina?

In Argentina, gli attacchi contro l’Ambasciata israeliana e la sede della comunità ebraica AMIA sono avvenuti durante il mandato di Menem (di origini siriane, ndr). Personalmente, non biasimo Menem, ma piuttosto il suo entourage, poiché ad oggi rimane un mistero chi sia il responsabile. L’Ecuador è un paese il cui presidente ha recentemente visitato Israele, e le relazioni con questo paese sono molto buone; è tra i paesi che hanno votato a favore della creazione dello Stato d’Israele, quindi ci sono alti e bassi, ma ora possiamo dire che le relazioni sono molto buone.

Attualmente, El Salvador ha un presidente di origini palestinesi, Nayib Bukele. Qual è la sua posizione?

Sotto Bukele, il cui nonno è nato a Gerusalemme, oggi le relazioni con questo paese centroamericano sono molto buone, e si prevede che miglioreranno. L’attuale presidente di El Salvador è stato molto abile nel distinguere tra la società palestinese e Hamas, dichiarando che quest’ultimo è un’organizzazione terroristica che causa solo danni ai palestinesi. Queste parole vengono da un uomo che, per via delle sue origini, nutre un forte interesse per le condizioni dei palestinesi, e per questo vanno prese sul serio.