L’intervista impossibile. Boaz Bismuth e l’incontro con Ajmadinejad

Mondo

di Roberto Zadik

Incontrare Mahmoud Ajmadinejad parlandoci assieme  per ore, sembra un’impresa impossibile per chiunque, figuriamoci per un israeliano! Eppure il talento di Boaz Bismuth, arrivato a Milano in occasione della serata organizzata dal Keren Hayesod,  non conosce ostacoli e il giornalista, nato a Tel Aviv 46 anni fa  è una delle firme principali del quotidiano “Israel Hayom” ed è riuscito, con audacia e astuzia, ad aggirare qualsiasi problema focalizzandosi sull’obbiettivo. Certamente, Bismuth, ex ambasciatore di Israele fino al 2008, nella sua lunga esperienza non è nuovo a queste situazioni delicate e sa bene come comportarsi in questi  casi.

Negli ultimi anni egli ha incontrato altri personaggi importanti della scena politica mediorientale – da Bashar Al- Hassad, a Gheddafi e Khatami. Quello con Ajmadinejad tuttavia è stato un incontro davvero speciale, sotto tutti i punti di vista.

Il nome di Ajmadinejad risuona sinistro in tutto il mondo, per i suoi proclami contro l’America, Israele e l’Occidente in generale; e per i suoi discorsi negazionisti sull’Olocausto. Consapevole di tutto, Bismuth  appassionato del suo “magnifico lavoro e sempre in cerca di qualcosa di più”, ha vinto la sfida. Come?

È lo stesso Bismuth a raccontarlo. Tutto è cominciato lo scorso dicembre, mentre si trovava in Turchia per documentare il deterioramento dei rapporti fra Ankara e Gerusalemme (Teheran?). Subito dopo essere arrivato ad  Istanbul, fu avvertito dal suo giornale, Israel Hayom, che  il giorno successivo sarebbe giunto in Turchia anche Ahmadinejad. L’opportunità è imperdibile e il tempo scarseggia. La conferenza, assieme ai presidenti della regione, è il giorno dopo ma alle 23 della sera prima il giornalista è ancora nel suo hotel.

Ma egli è concentrato sul suo compito: parlare con Ahmadinejad e preparandosi, perfino “mentre si lavava i denti”, come ha detto scherzosamente, il suo pensiero era  rivolto solo e esclusivamente a quello e doveva riuscirci a tutti i costi. Bismuth, arriva all’incontro verso le dieci sta per rilasciare le sue generalità per poter entrare nella sala della conferenza.

Ad un certo punto, gli viene chiesto, “per quale giornale scrivi”. Qui interviene la furbizia, Bismuth, non poteva certo dire “Israel hayom”. Così con tono sicuro risponde “Shumam murè”,che è semplicemente dove abita sua suocera in Francia a Aix- en- Provence,  uno stratagemma che gli permette l’accesso alla sala. E così finalmente riesce a entrare, ma le barriere non finiscono qui. Alle due di pomeriggio c’è l’incontro dei capi di stato con i fotografi, ma i giornalisti non possono entrare. Così il cronista decide di giocare il tutto per tutto,  affida la macchina fotografica ad uno dei tanti presenti e si fa ritrarre insieme ad Ahmadinejad (vd. foto sopra).

A quel punto cos’è accaduto e come sono andate le cose?

“Abbiamo scattato una foto. C’erano i traduttori, due assistenti e lui e ad un certo punto mi sono trovato a dieci metri di distanza dal presidente iraniano. Dopo averlo raggiunto gli ho subito chiesto “Come sta signor presidente?”. Così abbiamo cominciato a parlare mi ha chiesto di dove fossi, e gli ho risposto che ero francese, di Parigi – ovviamente se avessi detto che ero israeliano sarebbe finita subito e io invece volevo poter parlare con lui il più a lungo possibile. Gli ho chiesto cosa pensava di Sarkozy e dell’Europa e mi ha risposto che gli piacciono tutti i leader europei. Ci siamo soffermati su vari argomenti, e abbiamo parlato persino di poesia!
Ho chiamato il mio capo dicendo che ero lì da ore e lui mi ha detto di continuare. gli uomini del suo entourage mi guardavo con rispetto per il solo fatto che mi intrattenevo con il loro presidente. Al termine dell’incontro, l’ho ringraziato e… è arrivato il bello.  Gli ho chiesto se sarebbe ripartito immediatamente per Teheran. Mi ha risposto di sì così io gli ho “rivelato” che avrei fatto ritorno a Tel Aviv. E subito dopo gli ho domandato se aveva qualcosa da dire per i lettori israeliani a proposito delle dichiarazioni che aveva rilasciato sulla pace.

E lui cos’ha risposto?

“Dopo averci pensato un momento ha detto: “Ho parlato di avere giustizia oltreché di pace”. Solo una parola in più, giustizia. Ma questo era quanto bastava per uno scoop .”

Ci potrebbe descrivere che impressione le ha fatto Ahmadinejad, visto da vicino?

“Tralasciando il fatto che sono un ebreo israeliano e tralasciando le sue tremende affermazioni sull’Olocausto, mi ha fatto l’impressione di una persona affabile. E’ un ometto piccolo di statura che sorride e parla con tutti. Certamente non ha una gran classe, si comporta come un popolano, come uno che vende pomodori al mercato”.

Come mai, secondo lei ha avuto successo nel suo Paese?

“Razzismo a parte, Ahmadinejad, a mio avviso, ha avuto successo per due ragioni: ha riportato in auge il velo islamico (l’hijab) e ha canalizzato l’attenzione del suo popolo su un nemico comune: Israele. Normalmente gli iraniani, anche se in passato sono stati in conflitto fra loro, si uniscono e sono compatti quando hanno un capro espiatoro su cui scagliarsi.”

In conclusione quali sono state le sue sensazioni prima e dopo l’incontro, e quali presentimenti ha per il futuro?

A questo potrei rispondere che, per tradizioni e cultura, rispetto l’Iran come rispetto qualsiasi altro Paese –  apprezzo i suoi scrittori, il poeta Omar Khayam, la cucina e il cinema. Prima dell’incontro ho cercato di eliminare qualsiasi pregiudizio. Ovviamente, però,  tutto cambia quando si parla di politica e di odio religioso.  Spero vivamente che questo regime cada. Quando c’è di mezzo il razzismo non c’è niente da fare. Nel 1997, in Francia, durante il discorso di Jean Marie Le Pen ho provato lo stesso senso di disagio.”