Mentre si moltiplicano in tutto il mondo le accuse contro Israele per la crisi umanitaria a Gaza, un dettaglio essenziale viene spesso taciuto: oggi non esiste alcun blocco israeliano agli aiuti. Le restrizioni sono state revocate, ma tonnellate di cibo restano comunque ferme al valico di Kerem Shalom, a pochi metri dal confine, senza che nessuno le distribuisca.
Lo ha documentato anche Giovan Battista Brunori del TG1, che ha filmato oltre il valico di Kerem Shalom, in territorio palestinese, tonnellate di cibo, ferme da settimane, che si stanno avariando. Una situazione surreale, che Israele denuncia con frustrazione.
“Perché l’Onu, che fa attività in tutte le zone di guerra, dopo l’inizio dell’attività della Gaza Humanitarian Foundation non prende in consegna questo cibo e non lo porta alla popolazione? È un motivo politico”, afferma il portavoce dell’esercito israeliano, Effie Deifrin.
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La Gaza Humanitarian Foundation
La Gaza Humanitarian Foundation è un’iniziativa congiunta tra Israele e Stati Uniti per evitare che gli aiuti finiscano nelle mani di Hamas, il gruppo terrorista che governa de facto la Striscia di Gaza. Nonostante le accuse mosse da vari osservatori internazionali, la realtà sul campo è più complessa: gli aiuti non mancano, ma chi dovrebbe distribuirli si rifiuta di collaborare. Israele sostiene che le agenzie legate all’ONU, a partire da UNRWA, non prendano in carico il materiale umanitario per ragioni ideologiche e politiche, rifiutando di riconoscere canali alternativi come la GHF.
Il risultato? Chilometri di camion carichi di beni essenziali marciscono nel deserto, mentre Hamas fomenta il caos e la popolazione muore di fame.
L’origine della carestia a Gaza
Quella di Gaza non è una crisi provocata da una carestia naturale. È il frutto diretto delle scelte militari di Hamas, che dal 7 ottobre 2023 ha scatenato una guerra brutale, iniziata con il massacro di oltre 1.200 civili israeliani e il rapimento di più di 250 innocenti. Da allora, il gruppo si è insediato tra scuole, ospedali e magazzini umanitari, sottraendo sistematicamente gli aiuti destinati ai civili per alimentare la sua macchina di guerra.
Israele, come ogni stato democratico, ha l’obbligo di proteggere i propri cittadini. Nessun paese al mondo permetterebbe che i suoi confini venissero usati come trampolini per attacchi missilistici. Ma Israele si trova oggi nel paradosso di dover difendersi da un nemico che si mimetizza tra i civili — e che conta proprio sulla loro sofferenza per ottenere l’indignazione internazionale.
La risposta della comunità internazionale? Chiede più aiuti, ma troppo spesso ignora chi li manipola. Gli appelli al cessate il fuoco, se non accompagnati da una chiara condanna di Hamas e del suo rifiuto ostinato di liberare gli ostaggi israeliani — ancora detenuti dopo quasi due anni — rischiano di legittimare l’impunità e prolungare la guerra.
Le forze armate israeliane hanno diffuso un filmato che mostra uomini armati saccheggiare un camion di aiuti umanitari nella Striscia di Gaza venerdì scorso, sostenendo che si tratta di miliziani di Hamas. Nelle immagini si vedono uomini armati sul pianale di un camion che trasporta aiuti, circondato da una folla di palestinesi. Si tratta di «terroristi armati di Hamas… che saccheggiano violentemente gli aiuti umanitari che erano stati trasferiti nella Striscia di Gaza, impedendo loro di raggiungere la popolazione civile di Gaza», ha affermato l’Idf. «Contrariamente alle false affermazioni di Hamas secondo cui gli individui nel video sarebbero membri della sicurezza, si tratta in realtà di terroristi di Hamas arrivati per sequestrare gli aiuti ai residenti di Gaza». «Anche quando gli aiuti vengono consegnati a Gaza, Hamas li saccheggia per uso proprio, ignorando palesemente i bisogni della popolazione», ha aggiunto l’esercito, sostenendo che «questo filmato è un’ulteriore prova che Hamas è il principale ostacolo alla consegna di aiuti umanitari» nella Striscia.
Alcuni esperti parlano di “strategia del caos”: Hamas crea deliberatamente situazioni disperate attorno ai centri di distribuzione per provocare incidenti e poi accusare Israele. Non è la prima volta che lo fa. E quando l’IDF, chiamata a mantenere l’ordine, risponde a minacce o sparatorie partite dai miliziani nascosti tra la folla, la narrazione dominante parla di “strage di civili”.
Sì, la fame a Gaza è certo reale. Ma è strumentalizzata. Come ha osservato Steven Cook del Council on Foreign Relations, la distribuzione degli aiuti era già problematica sotto il sistema dell’ONU, che Hamas ha spesso sfruttato. Non è questione di blocco o apertura, ma di controllo: chi garantisce che il pane non diventi munizione?
Il compito dell’Occidente
L’Occidente ha un compito difficile: non chiudere gli occhi davanti alla sofferenza, ma nemmeno diventare complice di un’organizzazione terroristica che ha fatto della fame dei propri cittadini un’arma politica. Invocare solo Israele, senza chiamare Hamas a rispondere del disastro umanitario che ha creato, è un atto di ipocrisia.
Il ritorno degli ostaggi, la demilitarizzazione di Gaza e il rafforzamento di canali umanitari credibili devono essere le priorità. Ma per farlo, serve un cambiamento radicale nella gestione della Striscia. Altrimenti, la tragedia si ripeterà, e ancora una volta sarà Israele a essere condannato per non aver nutrito coloro che Hamas affama deliberatamente.