di Davide Cucciati
L’ultima rilevazione del PSR evidenzia la frammentazione e la polarizzazione dell’opinione pubblica palestinese. Il sostegno all’attacco del 7 ottobre, pur in calo rispetto ai picchi iniziali, rimane maggioritario, con oltre il 50% degli intervistati favorevoli. L’appoggio resta alto in West Bank e torna a crescere anche a Gaza. Il sostegno al disarmo di Hamas è rifiutato dall’85% degli intervistati in West Bank e il 55% a Gaza. La maggioranza assoluta degli intervistati non crede che Hamas abbia compiuto le atrocità riportate dai media internazionali il 7 ottobre.
Capire cosa pensano oggi i palestinesi non è un esercizio accademico ma un passaggio necessario per orientarsi nel presente e nel futuro del conflitto. Le voci ufficiali, Hamas da un lato, Fatah dall’altro, non esauriscono l’orientamento di una società frammentata e priva di una leadership riconosciuta. In questo contesto, i sondaggi del Palestinian Center for Policy and Survey Research (PSR), diretto da Khalil Shikaki e con sede a Ramallah, restano una delle rare fonti disponibili.
Fondato negli anni Novanta, il PSR pubblica da decenni indagini condotte in West Bank e nella Striscia di Gaza. Le sue rilevazioni, spesso raccolte in condizioni operative difficili, offrono uno dei pochi indicatori dell’opinione pubblica palestinese. Tuttavia la loro attendibilità è stata al centro di un duro scontro politico e mediatico. Infatti, il 30 agosto 2024, The Times of Israel riportò che Tzahal aveva recuperato a Gaza dei documenti comprovanti un tentativo, da parte di Hamas, di falsificare i risultati dei sondaggi del PSR “per creare una rappresentazione artificiale del sostegno dell’opinione pubblica all’organizzazione”. L’esercito israeliano sottolineò che “i documenti non provano una cooperazione del PSR con Hamas ma piuttosto un’azione clandestina del gruppo per manipolare i risultati”. In seguito alle accuse, il PSR pubblicò una nota metodologica in cui affermò di non aver riscontrato “anomalie tipiche di una manipolazione arbitraria dei dati”.
I fatti del 2024 non sono gli unici attinenti a contestazioni relative ai sondaggi del Palestinian Center for Policy and Survey Research. Infatti, secondo Haaretz del 13 luglio 2003, gli uffici del PSR a Ramallah furono devastati da decine di manifestanti, in risposta alla pubblicazione di un sondaggio che indicava che solo il 10% dei rifugiati palestinesi avrebbe scelto di vivere in Israele se fosse stato concesso loro il diritto al ritorno. A questo si aggiungono i vincoli imposti dalle autorità politiche. Nel luglio 2015, secondo le ONG Al-Haq e ACT Alliance, l’Autorità Palestinese ha introdotto l’obbligo per tutte le organizzazioni non governative, incluso il PSR, di ottenere l’approvazione preventiva del Consiglio dei Ministri per ogni attività e accesso ai finanziamenti. Una misura che ha rafforzato il controllo governativo sulla società civile, riducendo ulteriormente i margini di indipendenza della ricerca sul campo.
L’ultimo sondaggio
Esaurite le premesse di cui sopra, doverose per render il lettore edotto del contesto, è utile esaminare i risultati dell’ultima rilevazione del PSR, pubblicata il 28 ottobre 2025; ciò che viene evidenziato fin dalle prime righe è la frammentazione e la polarizzazione dell’opinione pubblica palestinese. Il sostegno all’attacco del 7 ottobre, pur in calo rispetto ai picchi iniziali, rimane maggioritario, con oltre il 50% degli intervistati favorevoli, registrando un lieve aumento rispetto a maggio 2025. L’appoggio resta alto in West Bank e torna a crescere anche a Gaza. Il sostegno al disarmo di Hamas per porre fine al conflitto resta minoritario: lo rifiutano l’85% degli intervistati in West Bank e il 55% a Gaza. La maggioranza assoluta degli intervistati non crede che Hamas abbia compiuto le atrocità riportate dai media internazionali il 7 ottobre.
Le differenze territoriali si accentuano sui temi strategici: i residenti a Gaza risultano più aperti all’ipotesi di una soluzione a due Stati e a forme di resistenza non violenta mentre in West Bank prevale un orientamento verso la lotta armata. Su un piano più generale, però, entrambi i blocchi mostrano una profonda diffidenza verso piani di pace imposti da attori esterni, confermando come punto fermo la richiesta di autodeterminazione e controllo palestinese sulle decisioni politiche e di sicurezza.
Il livello di insoddisfazione verso la leadership attuale è schiacciante: il 75% disapprova l’operato del presidente Abbas e l’80% ne chiede le dimissioni. Nei sondaggi presidenziali, Abbas raccoglie appena il 13% dei consensi. In netto contrasto, Marwan Barghouti risulta il leader più popolare, capace di prevalere su Khaled Meshal sia in un’ipotesi di sfida diretta che in un confronto a tre. A livello partitico, Hamas mantiene un vantaggio solido su Fatah, sia nella preferenza generale che in un’eventuale elezione legislativa, rafforzato dalla percezione diffusa che Hamas, più di Fatah sotto Abbas, meriti la leadership. Tuttavia, quasi un terzo degli intervistati non si riconosce in nessuna delle due forze politiche, segnalando un senso profondo di disillusione verso l’intero quadro istituzionale.
In questo contesto, il sondaggio ha esplorato anche le opinioni relative al “day after” e alle possibili soluzioni per la gestione della Striscia di Gaza al termine della guerra. È stata sottoposta al pubblico l’ipotesi di un comitato palestinese di tecnici e professionisti, non affiliato né all’Autorità Palestinese né a Hamas, incaricato di amministrare Gaza sotto un ombrello internazionale, in linea con quanto previsto dal cosiddetto Trump Plan. La proposta raccoglie più opposizione che sostegno: il 53% degli intervistati si è detto contrario, ma un 45% l’ha approvata. Il dato più interessante emerge nel confronto tra le due aree: il 51% dei residenti di Gaza sostiene questa soluzione, mentre solo il 41% degli abitanti della West Bank è favorevole. La differenza suggerisce che, almeno in parte, tra gli abitanti della Striscia si stia consolidando una disponibilità maggiore verso assetti di governo alternativi, anche se temporanei e sotto supervisione internazionale, pur di superare l’impasse attuale.
Nel complesso, la tendenza più chiara è l’erosione della rappresentanza: Hamas guadagna terreno ma su un terreno già frammentato. La crescita del suo consenso negli ultimi due anni è documentata in entrambe le aree, con un aumento particolarmente marcato in West Bank. Un segnale anticipatore di questa tendenza era già emerso nelle elezioni studentesche del 2022 e 2023, quando i blocchi affiliati ad Hamas si erano affermati in atenei chiave come Birzeit e An-Najah, come riportato anche da Mosaico.
In assenza di un processo politico credibile e di una leadership unificante, i dati raccolti dal PSR restituiscono una fotografia disillusa e frammentata della società palestinese, divisa tra sfiducia, radicalizzazione e ricerca di alternative. Comprendere questa dinamica, al di là delle narrazioni ufficiali, è essenziale per chiunque voglia affrontare con realismo le prospettive future del conflitto.



