Una via chiamata “Dal fiume al mare”: quando la propaganda arrampica sul Gran Sasso 

Italia

di Anna Balestrieri

Un nome che divide

Estate 2025. Sul Paretone del Corno Grande, nel cuore del Gran Sasso, tre alpinisti — Simone Calabrese, Lorenzo Trento ed Eloisa Izzo — aprono una nuova via. La chiamano:

“Dal fiume al mare: dedicata a tutti i palestinesi che lottano contro i sionisti”.

Non un omaggio neutro, non una dedica alpinistica come tante, ma uno slogan politico che suona come un attacco. “Sionista”, termine nato per definire il movimento di autodeterminazione ebraico, diventa insulto. E “dal fiume al mare” evoca l’eliminazione di Israele. Impossibile non vedere la forzatura.

Il paradosso è evidente: se in Europa qualcuno avesse intitolato una via “a chi lotta contro i nazionalisti ucraini”, la condanna sarebbe stata immediata. Perché contro Israele e il sionismo, invece, la propaganda diventa tollerabile?

Il no del Club Alpino Accademico

Il Club Alpino Accademico Italiano (CAAI) ha reagito con fermezza: quel nome non comparirà nel suo annuario. Troppo fazioso, troppo divisivo. La richiesta agli apritori era semplice: cambiare dedica. Ma il trio ha detto no. E ha trovato l’appoggio del presidente generale del CAI, Antonio Montani.

Risultato: la via resta con quella dedica, un simbolo che divide invece di unire.

Montani: libertà o provocazione?

Montani è intervenuto pesantemente, definendo “inaccettabile” la posizione del CAAISecondo il presidente, la libertà di scegliere un nome è parte della tradizione alpinistica e non può subire censure.

Una linea che indebolisce l’autorevolezza del CAAI e rafforza la legittimità di una dedica chiaramente politica. Perché, diciamolo: quando un nome diventa insulto, non è più libertà. È provocazione.

 

Alla mia domanda diretta — se fosse opportuno consentire una simile intitolazione — Montani ha risposto che “non è reato, come lo sarebbe inneggiare al Duce in una via; non ci sono precedenti nella storia del CAI per imporre un cambio”. Una risposta che lascia sconcertati: paragonare il genocidio degli ebrei israeliani a una legittima convinzione è una affermazione grave. Non ci sono precedenti analoghi: vie dedicate a brigatisti rossi, come sostenuto da Montani, non ne risultanoEsistono invece vie intitolate a “Guido Rossa”, alpinista e sindacalista vittima delle Brigate Rosse. 

Una guida che divide

Montani, inizialmente silenzioso sulla vicenda, ha poi rotto gli indugi con parole che spaccano il mondo dell’alpinismo. Il presidente che dovrebbe garantire unità e neutralità si è trasformato in difensore di un gesto divisivo, schierandosi di fatto a favore di chi ha politicizzato la montagna. 

Salvo poi banalizzare la portata della scelta, riducendola a una questione di “reato o non reato”. Ma davvero basta questo metro? In Italia l’istigazione all’odio etnico o religioso è punita dalla legge, e inneggiare a slogan che evocano la cancellazione di un popolo non può essere liquidato come un semplice esercizio di libertà.

 

Il CAAI ha mostrato responsabilità e professionalità nel difendere l’alpinismo come spazio libero da ideologie. Il presidente generale, invece, ha scelto la strada opposta, alimentando lo scontro ideologico e lasciando irrisolti dubbi sulla trasparenza e sull’autorevolezza della sua guida.

La montagna non è un manifesto politico

Scopo del CAI (articolo primo dello Statuto) è “l’alpinismo, in ogni sua manifestazione, la conoscenza e lo studio delle montagne (…)”.

La dedica di una via è generalmente  un riconoscimento e un omaggio a chi l’ha aperta.

Una dedica può unire o dividere. Può evocare lo spirito alpinistico, oppure risvegliare i fantasmi dell’odio.

Sul Gran Sasso, purtroppo, si è scelta la via sbagliata.

 

“La scalata della vergogna”

di Paola Fargion

Ho sempre pensato che l’antisemitismo e la sua feroce propaganda antiebraica, culminati nello sterminio di 6 milioni di ebrei durante la Shoah fossero un unicum nella storia dell’umanità… Purtroppo mi sbagliavo… Ora assistiamo a qualcosa di ancora più grave: uno tsunami di menzogne, odio, ignoranza e pregiudizio sta invadendo ogni angolo del nostro mondo, della nostra esistenza, della nostra quotidianità. Nulla e nessuno è più esente da questa pandemia… Nemmeno lo sport e la montagna. Come il Gran Sasso d’Italia… E sulla vetta appena conquistata, dove gli scalatori orgogliosamente piantano il vessillo del proprio paese, ora si rischia di vedere la bandiera di uno stato che non esiste, o peggio ancora, la bandiera di un’ideologia che propaga odio e ignoranza. E così la scalata di una vetta – da nobile impresa sportiva – diventa propaganda politica. Come durante il Ventennio gli sportivi gareggiavano per il Duce, ora gli scalatori lo fanno per i terroristi.

Mi riferisco all’ impresa dei tre cosiddetti alpinisti che hanno aperto una nuova via sul Gran Sasso dedicandola a Gaza con il nome “dal fiume al mare” e alla successiva polemica all’ interno del CAI di cui Mosaico ha estesamente parlato. Che c’entro io con tutto questo? Purtroppo sono direttamente coinvolta in quanto promotrice del riconoscimento di Giusto tra le Nazioni recentemente attribuito dal Memoriale della Shoah Yad Vashem all’alpinista vicentino Gino Duilio Soldà, che salvò diversi ebrei accompagnandoli fino al confine svizzero. Gino fu un campione olimpionico che in seguito rinunciò a partecipare alle gare perché contrario al regime fascista. Dopo l’8 settembre 1943 mise le sue capacità atletiche al servizio della Resistenza, costituì un’unità partigiana combattente, rischiò di essere catturato dai nazifascisti in alta Valtellina, ma sopravvisse grazie alla sua conoscenza della montagna. E proprio per delineare la figura straordinaria di questo Giusto, a luglio la redazione della rivista del CAI mi incaricò di scrivere un articolo di oltre 8000 battute su Gino Duilio Soldà, corredato da foto inedite. L’articolo sarebbe dovuto uscire a gennaio 2026, ma dopo quanto accaduto ho deciso di rifiutare la proposta, specialmente per la posizione assunta dal Presidente del CAI in merito alla vicenda. Il contenuto della mia mail è riportato qui di seguito…. L’articolo uscirà comunque a gennaio 2026 ma sul sito di un caro amico giornalista, che ha accolto la mia proposta e che saprà rendere onore a Gino Duilio Soldà. Il link verrà segnalato su Mosaico.
E a quanto scritto da Lia Levi nel suo struggente pezzo dal titolo “Non meritate il nostro dolore”, io aggiungo “Non meritate i miei articoli!”

Articolo su Gino Duilio Soldà

Att.ne Redazione CAI
Buonasera,
Con la presente desidero comunicarvi quanto segue, alla luce della recente intitolazione di una nuova via sul Gran Sasso da parte di 3 cosiddetti “alpinisti” che, a mio parere, di sportivo non hanno nulla ma di politico e ideologico sì, purtroppo. Mi riferisco al nome della via: Dal fiume al mare ….per Gaza contro i sionisti ecc ecc., in un crescendo di farneticazioni da “copia e incolla” come si usa adesso. Pensate se uno scalatore nostalgico chiamasse una nuova vetta: Il nido dell’aquila, dedicando la via ad Adolf Hitler? Qualcuno si opporrebbe scandalizzato, qualcun altro proporrebbe radiazioni dal CAI, interrogazioni parlamentari sostenendo violazioni della tale legge… e chissà che altro!
Nel caso invece di ebrei definiti oramai tutti, badate bene, proprio tutti, … “assassini, genocidi, sterminatori sionisti” nessuno muove un dito, anzi…. applaude. In democrazia è lecito criticare un governo, avere opinioni differenti, ma bisognerebbe non fare dell’ignoranza (dal latino “ignorare”) più marchiana, del razzismo e dell’odio indiscriminato i propri vessilli.
Forse non sapete che il figlio primogenito dell’ignoranza si chiama “antisemitismo”, da secoli è così ed è quello con cui i tre sedicenti sportivi hanno insozzato non solo le pietre del maestoso Gran Sasso, ma anche e soprattutto la nobile pratica della scalata.

Io non ci sto a confondere il nome del coraggioso e “vero” alpinista Gino Duilio Soldà, Giusto Tra le Nazioni, con le derive di un pensiero unico razzista e qualunquista che offende me, i miei correligionari e tutti i cittadini non ebrei che ancora hanno una coscienza critica, un’anima e soprattutto la capacità di discernimento.
Pertanto vi ringrazio per avermi proposto la stesura di un articolo per CAI che renda onore alle gesta e memoria imperitura del Giusto Gino Duilio Soldà, ma non lo scriverò per farlo pubblicare sulla vostra rivista CAI nel 2026.
Con un cordiale saluto.
Paola Fargion