di Michael Soncin
Dopo l’attentato di Hamas il 7 ottobre 2023 in Israele, che ha portato al conflitto a Gaza, un forte sentimento di ostilità verso gli israeliani e gli ebrei in generale è cresciuto a dismisura, con episodi di razzismo che hanno preso di mira anche le associazioni ebraiche della comunità LGBTQIA+.
A Londra i responsabili del Pride non hanno permesso, per la seconda volta consecutiva, la partecipazione di un gruppo ebraico LGBTQ+IA. Negli ultimi mesi, la ILGA World, un’importante organizzazione internazionale LGBTQ+IA, ha sospeso l’iscrizione di un gruppo israeliano. Parlando invece dell’Italia, come riporta il Corriere Adriatico, al Piceno Pride, ad un manifestante è stata spezzata una bandiera arcobaleno con la Stella di Davide.
Questi sono solo una parte degli episodi che si sono verificati negli ultimi tempi. Ma come interpretarli? Quale spiegazione dare? Come arginare questa forma d’odio? Bet Magazine Mosaico ne ha parlato con Marco Volante, militante storico del movimento LGBTQ+IA, iscritto a Sinistra per Israele.
Come interpreta gli episodi che abbiamo assistito nei vari Pride dove le associazioni ebraiche che hanno partecipato sono state fischiate e insultate?
«Prima di spiegare il fenomeno è necessario fare due premesse: sull’assetto politico del movimento e sul significato del Pride. Sul movimento, l’unica cosa che ci accomuna è quella di appartenere alla comunità LGBTQ+IA. Ciò che ci differenza invece è l’idea politica. Ognuno di noi ne ha una diversa, dovuta alla propria cultura, all’esperienza, a tutto ciò che riguarda l’identità complessiva della persona stessa. Ci sono gruppi di sinistra, come di destra. Praticamente ritroviamo l’intero arco costituzionale. Noi siamo inclusivi per antonomasia e per forza di cose discutiamo, perché siamo un contenitore, come lo sono i grandi partiti. Il fatto che ci sia una forte dialettica all’interno del movimento è indice di intelligenza, è una cartina tornasole della democraticità del movimento. Qui l’orientamento sessuale o l’identità di genere è solo una parte».
Mentre, il significato del Pride a cui accennava? Sembra una premessa importante per spiegare l’incoerenza dei tristi episodi ai quali abbiamo assistito.
«Il significato del Pride è univoco. È la celebrazione del 28 giugno 1969, giorno in cui sono iniziate le lotte per la liberazione omosessuale negli Stati Uniti. Quindi il Pride è una celebrazione, non è una festa, non è un momento di rivendicazione, non è un momento di lotta politica, tantomeno interna al movimento. Questo è un assioma, non è una posizione politica. Chi sfrutta il Pride per fare della lotta politica, tanto più interna al movimento o non sa di cosa si tratta, o non sa cosa sia il Pride o ancora, tradisce l’idea stessa del Pride. È da vigliacci usare il Pride per affermare delle posizioni politiche all’interno del movimento. Ci sono poi persone che vogliono sfruttare il Pride per notorietà, per dare visibilità alla propria lotta, perché pensano che il Pride debba essere intersezionale. Allora parliamo di tutto, ma non del Pride, tipo della crisi climatica!».
Tutto questo è in perfetta linea con la cultura woke dei nostri tempi. Come spiega queste discriminazioni?
«I pregiudizi purtroppo sono una parte della nostra personalità, ma non sapere che Hamas non permette la minima esistenza di un gruppo LGBTQIA+ a Gaza – in quanto è prevista la pena di morte – è pura ignoranza o forse malafede. Io penso che sia per lo più ignoranza».
Ignoranza? Non è forse anche antisemitismo?
«Questo odio nei confronti di Israele è presente perché evidentemente lo considerano una punta di diamante del capitalismo. Non credo che siano tutti antisemiti. Li senti parlare e sostenere l’antisionismo, ma loro del sionismo non sanno nulla. Il sionismo è stato l’unico momento in cui il socialismo ha avuto una concretizzazione: nei kibbutz israeliani. Il socialismo vero, non quello dei soviet, quello che si è concretizzato e che ancora esiste è stato la vittima principale dell’orrore del 7 ottobre».
Ci sono altre parti che entrano in gioco per spiegare questo fenomeno complesso?
«Secondo me questo fenomeno è parte di un rigurgito dell’antiamericanismo degli anni 60-70. È una cosa che sta ritornando e siccome Israele è il più importante proxy degli Stati Uniti – ed è nel mezzo di una regione in cui la democrazia praticamente non esiste – è chiaro che loro sono la vittima predestinata. Chiunque ce l’abbia con Israele ce l’ha anche con gli Stati Uniti, è un dato di fatto da molto tempo».
Parlando un po’ di fatti recenti in Italia, l’episodio della bandiera arcobaleno strappata al Piceno Pride, che non aveva nulla a che fare con quella di Israele, raffigurava il Maghen David, come lo commenta? Inoltre, nei social, è girato un video dove si è visto un manifestante del Pride, che non era chiaramente un infiltrato, vietare a dei partecipanti di sfilare con la bandiera ucraina.
«Su questo c’è poco da dire, perché entrambi sono fatti che si possono commentare con una semplice frase. Chi compie un gesto simile è un fascista. Non c’è un’altra parola, la violenza in politica è fascismo».
È lecito criticare la politica di Israele, come tutti gli altri stati del mondo, ma questi manifestanti sono a conoscenza che Hamas non permette nessuna associazione LGBTQIA+?
«Prima che iniziassero i bombardamenti, abbiamo fatto con il nostro gruppo un bellissimo viaggio in Israele dove ci hanno portato a vedere tutte le open house israeliane. L’idea del viaggio era quello di far vedere ai rappresentanti provenienti da tutto il mondo la realtà LGBTQIA+ In Israele».
Com’è la realtà LGBTQIA+ in Israele?
«In Israele hanno un sistema di protezione delle persone LGBTQIA+ pazzesco, ed è finanziato dallo Stato adesso purtroppo ci sono dei tagli, però lì suppliscono i governi locali».
Come funziona questo sistema di protezione, dove anche i palestinesi sono stati messi in salvo?
«Ci sono degli edifici molto grandi utilizzati per l’accoglienza. Possono essere ragazze e ragazzi israeliani sbattuti letteralmente fuori di casa. Purtroppo, episodi del genere si verificano anche lì. Ci sono anche dei ragazzi arabi che arrivano dai paesi limitrofi in cui sono vessati, torturati e uccisi. Questi ragazzi si rifugiano in Israele per trovare la libertà, per trovare una vita dignitosa. Oltre che ospitarli, ad un certo punto gli viene trovato un alloggio indipendente e un lavoro».
Come paragona il sistema israeliano con la dimensione italiana ed europea?
«È una cosa che noi, qui nella società italiana possiamo solo sognarci, stessa cosa anche in molte altre parti d’Europa. Quando il gruppo LGBTQIA+ Europeo ha visto con i suoi occhi l’efficienza incredibile che c’è in Israele è rimasto stupefatto. Altro che apartheid. A Gaza c’è la vera apartheid dove non ci sono ebrei. In Israele la comunità civile, e quindi di conseguenza anche le autorità locali e statali, sono molto protettive nei confronti della popolazione, in generale. Questo è uno dei modi in cui la popolazione viene protetta. E poi c’è un sistema di health care che è molto importante».
Lo scopo di questo viaggio dei vari gruppi LGBTQIA+ è quindi quello di portare una testimonianza alle associazioni che non conoscono la realtà israeliana?
«È il motivo per cui noi ci siamo recati in Israele. Eravamo un gruppo da tutto il mondo di un centinaio di persone impegnate nel movimento. Evidentemente, siamo stati chiamati perché sapevano che noi stavamo già lavorando alla controinformazione. Questo viaggio è servito a darci gli strumenti, a farci vedere come stanno effettivamente le cose. Questo è l’unico modo che abbiamo per aiutare la comunità LGBTQIA+ ad uscire da questo tunnel di falsità e di odio, inutile. Io sono innamorato di Israele».
Foto in alto: bandiera ebraica LGBT con il Maghen David (Fonte immagine Wikipedia)