La dichiarazione IHRA deve diventare legge

Italia

di Paolo Castellano

L’Italia adotterà la definizione di antisemitismo proposta dall’International Holocaust Remembrance Alliance? Perché sarebbe un passo fondamentale? Lo abbiamo chiesto a David Meghnagi

L’Italia adotta la definizione sull’antisemitismo dell’IHRA, o forse no?
L’Unione Europea lo ha chiarito senza remore: nei prossimi mesi verranno profusi più sforzi nella lotta all’antisemitismo. Dopo un periodo di difficoltà causato dal Coronavirus, durante il quale sono esplose teorie complottiste e forme di intolleranza verso gli ebrei, il 10 dicembre il Consiglio dei capi di Stato si è impegnato a contrastare attivamente l’antisemitismo, prendendo in considerazione le misure adottate dall’Unione Europea per tutelare la popolazione ebraica. Una delle misure suggerite dall’Europa sarebbe l’adozione da parte dei 27 Stati membri della definizione dell’International Holocaust Remembrance Alliance (IHRA), un’organizzazione intergovernativa con sede a Berlino creata nel 1988 per promuovere e divulgare l’educazione sulla Shoah. Nel 2017 il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione che invita gli Stati dell’Unione ad adottare e applicare la definizione operativa dell’IHRA nella sua totalità, ribadendo una presa di coscienza sulla condizione ebraica moderna e sul collegamento tra odio anti-ebraico e antisionismo.

Il 17 gennaio 2020 anche l’Italia ha deciso di affrontare a suo modo la questione, accogliendo e impiegando parzialmente la definizione IHRA, contrariamente alle indicazioni europee. David Meghnagi, senior professor a Roma Tre e Presidente del Comitato accademico europeo per la lotta all’antisemitismo, ha più volte sottolineato che l’adozione della definizione nella sua interezza, da parte degli Stati membri dell’Ue, rappresenterebbe un grande salto di qualità per lo sviluppo di un’azione comune e coerente nella lotta contro l’antisemitismo.

Professor Meghnagi, come nasce la definizione di antisemitismo dell’IHRA?
Scopo dell’International Holocaust Remembrance Alliance (IHRA) è di promuovere l’attività di ricerca sulla storia e sulla memoria della Shoah nei suoi vari ambiti: didattici, museali, archivistici. Un’attenzione particolare è stata data alla conservazione dei siti e allo sviluppo della consapevolezza dei pericoli collegati ai processi di distorsione, negazione e trivializzazione della memoria della Shoah e delle diverse forme di antisemitismo. In tale ambito l’IHRA ha creato delle sottocommissioni di studio e ricerca comparativa con altri genocidi nel Novecento (tra cui quello dei Rom). In questa prospettiva, nel giugno del 2016, sullo sfondo della catena di attentati antisemiti di matrice islamista che all’interno dell’UE hanno in particolare colpito la Francia, l’IHRA ha adottato una definizione operativa di antisemitismo articolata in due parti fra loro interconnesse: un cappello volutamente generico, che per l’uso del termine “percezione” in sede scientifica ha sollevato diverse obiezioni (“l’antisemitismo è una certa percezione che può essere espressa come odio contro gli ebrei” e che si manifesta in atti “verbali e fisici”), che rimanda a una serie di indicatori che sono il vero asse portante della definizione.

Può spiegare meglio questi indicatori?
Gli undici indicatori dall’IHRA in un modo o in un altro erano in realtà già utilizzati nella ricerca sociale come item, spie di luoghi comuni, pregiudizi e ostilità. Si pensi solo per fare un esempio al doppio standard con cui viene giudicata la politica israeliana rispetto ai Paesi della Regione, per non parlare della delegittimazione e demonizzazione della sua esistenza, il che ha ben poco a che vedere con il diritto-dovere alla critica di questo o quel governo, che è il sale della democrazia. Come è stato chiarito dall’IHRA la definizione non va intesa, né potrebbe esserlo, come hard law. Ha una funzione di indirizzo e di orientamento. In termini giuridici si potrebbe parlare di soft law cui ispirarsi nei vari ambiti operativi, nella consapevolezza di una specificità non riducibile ad altre manifestazioni di razzismo e di intolleranza.

L’Unione europea ha adottato la definizione nel 2017, invitando gli altri Stati membri a fare altrettanto. Dopo molto tempo, l’Italia ha preso in considerazione le direttive dell’IHRA. Ora cosa succederà, soprattutto dopo che è uscito proprio in questi giorni il documento della Commissione?
In un primo momento, il 14 gennaio dello scorso anno, la Presidenza del Consiglio aveva adottato solo la prima parte. Con una successiva delibera si è deciso di “accoglierla” per intero, affidando a una specifica commissione presieduta da Milena Santerini il compito di svolgere una ricognizione della definizione e della sua portata nei vari ambiti culturali, giuridici e sociali.

E dove sta la differenza con l’adozione di una definizione?
Sembra una sottigliezza linguistica, ma non lo è. Non per caso si è dovuto procedere alla costituzione di una commissione con il compito di svolgere una ricognizione sulla base della quale il Governo poi prenderà le sue decisioni. L’adozione comporta un impegno moralmente vincolante in ogni ambito coperto dalla definizione (si pensi per esempio alle scelte in politica estera).

Perché il governo italiano non ha adottato interamente la definizione?
Si è trattato di un compromesso che ha reso possibile il superamento dell’opposizione che si è apertamente manifestata il 14 gennaio dello scorso anno all’interno della coalizione governativa e che non è certamente venuta meno.

Come si può affrontare il problema?
Facendo emergere con chiarezza un problema che nel dibattito politico e culturale italiano si trascina da decenni e che ha radici profonde nella storia della politica italiana. La demonizzazione di Israele e la sua delegittimazione (che è cosa ben diversa dal diritto-dovere alla critica di questo o quel governo) hanno una storia lontana. Sono il frutto di una costruzione politica e ideologica che ha fatto da sfondo allo sviluppo di un nuovo antisemitismo, che in una certa cultura, per una malintesa solidarietà verso i diritti dei palestinesi, si fa fatica (o ci si rifiuta) a riconoscere come tale.

 

Sul tema si è svolto un dibattito alla presenza di Noemi Di Segni, Milena Santerini, Ruth Dureghello e lo stesso David Meghnagi. Per rivederlo, clicca il link
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