La corretta informazione per supportare Israele. Convegno sull’Hasbarà all’Umanitaria

Italia

di Paolo Castellano

Angelo Pezzana all'evento sull'informazione su Israele
Angelo Pezzana all’evento sull’informazione su Israele

Domenica 9 ottobre presso la Società Umanitaria di Milano si è svolto un incontro incentrato sul tema dell’Hasbarà. L’evento è stato organizzato dall’attivista e giornalista Angelo Pezzana e sono stati ospitati gli interventi del semiologo e docente universitario Ugo Volli, della presidente dell’Agenzia Ebraica Claudia De Benedetti e del presidente di Keren Hayesod Andrea Jarach.

Pezzana ha elaborato una breve introduzione specificando l’etimologia della parola ebraica “Hasbarà”,  che significa sia informazione che spiegazione. Il lavoro delle associazioni che sostengono Israele è molto importante perché in questo momento storico si avverte un cambiamento nel mondo dell’informazione: “In Italia nessun editore pubblica qualcosa su Israele. La stampa ignora Israele se non quando c’è un attentato”, ha dichiarato Pezzana.

Il primo a prendere la parola è stato Ugo Volli. Il semiologo ha illustrato ai presenti il rapporto attuale tra Israele e i media italiani: «Al giorno d’oggi bisogna appoggiare l’esistenza delle minoranze e da ebreo ho una profonda gratitudine per chi lo fa. Dobbiamo allora capire le ragioni politiche di questo atteggiamento nei confronti d’Israele. Ugo la Malfa a tal proposito disse: “La libertà dell’Europa si difende davanti alle mura di Gerusalemme”. Gerusalemme infatti rappresenta l’avamposto della libertà mondiale che subisce continui attacchi.

Oggi quello che succede è l’inverso: l’esistenza d’Israele è in discussione. Lo Stato ebraico è in un momento strategicamente tranquillo perché non c’è una minaccia immediata; si sta vivendo una situazione migliore rispetto a 20 anni fa: l’accordo con l’Egitto funziona, la Giordania ha la volontà di collaborare, la Siria (regime più ostile) non può minacciare nessuno, e infine ci sono delle intese anche con quei paesi arabi che si sono schierati contro l’Iran.

È anche vero però che continuano ad esserci numerose minacce come i razzi, le azioni degli Hetzbollah e anche l’armamento  dell’Iran col favore degli Stati Uniti e della Russia.

Israele è però determinato a difendersi e non vuole correre pericoli aprendo le porte al nemico. Lo Stato ebraico ha perso attualmente l’appoggio dell’Occidente, nello specifico dell’America e dell’Europa, che riconosceva la sua democrazia e  che percepiva un debito morale nei confronti degli ebrei dopo la Shoah. In passato c’era dunque un ambiguo appoggio che oggi sembra essere posto in secondo piano.

Al momento è sempre più difficile dirsi filo-israeliano nella vita di tutti i giorni, in politica (si pensi al partito labourista in Inghilterra) e nelle università – soprattutto in quelle americane. Insieme a questo luogo comune emerge anche un antisemitismo.

Noi ebrei siamo una minoranza e quindi dobbiamo essere vigili. Dobbiamo ritornare a raccontare Israele senza dare nulla per scontato. Nella comunicazione di massa si pensa che ci siano dei soggetti che iniettino delle idee nella popolazione, la così detta bullet theory. Non è vero, non funziona così. L’effetto che si verifica è quello denominato “agenda setting”. I media ci dicono quali cose sono all’ordine del giorno ovvero creano una distinzione tra quelle più importanti e quelle meno importanti. Si determina così un movimento di opinione pubblica ma si corre il rischio di omettere ciò che è veramente rilevante.  Per quanto riguardo Israele, si mette in evidenza il dolore del popolo di Gaza, ma viene nascosto tutto l’apparato d’odio di Hamas.

Il compito di chi vuol fare Hasbarà è quello mostrare i pregi d’Israele e la tolleranza nei confronti delle minoranze. Si deve non solo documentare i fatti del terrorismo, senza cadere nella trappola di rispondere alle ragioni, ma anche mettere in agenda queste cose. È essenziale far conoscere gli intenti di questo terrorismo che vive di contraddizioni».

Dopo l’intervento di Ugo Volli, la parola è passata a Claudia De Benedetti: «Siamo chiamati a svolgere un compito di Hasbarà convinta e in questo senso sono stati creati dei gruppi d’appoggio come Italia-Israle. Nel mio percorso personale ho capito che bisogna studiare molto e reagire  subito fornendo in modo preciso ogni spiegazione su Israele avvalendosi dei dati statistici e della cultura prodotti dallo Stato Ebraico.

In questo senso è cresciuto il ruolo dell’Agenzia ebraica e di Keren Hayesod. Questi due organismi sono sempre stati molto importanti nel dare degli strumenti economici e delle infrastrutture per permettere alla popolazione di fare l’Aliyah. L’Aliyah è un fattore molto importante per la crescita di Israele che oggi è arrivato ad una popolazione di 8 milioni superando ad esempio la Danimarca, la Svizzera e l’Austria.

Ci sono infatti dei giovani che decidono di andare in Israele per svolgere un periodo di studio o di formazione. C’è chi va in università, chi collabora col Ministero degli esteri e chi soggiorna in un kibbutz. Al termine del loro percorso però alcuni ragazzi vogliono ritornare in Italia.  Queste esperienze rappresentano un modo concreto per star vicino alla realtà israeliana. Questi giovani sono i nostri migliori ambasciatori e portavoce».

Dopo l’intervento di Claudia De Benedetti ha preso la parola Andrea Jarach che ha commentato l’attività del  Keren Hayesod. «Questa organizzazione dà un aiuto a quei giovani che  non hanno l’opportunità di andare in Israele ma che vorrebbero andarci – ha spiegato -. Questa esperienza è legata all’Hasbarà perché fa capire loro quanto Israele in realtà sia un Paese molto normale e non un stato in una perenne guerra come vediamo in televisione o nei telegiornali. Nel 2015, circa 600 persone in Italia hanno fatto l’Aliyah: questi numeri possono essere riconducibili ad un disagio economico, ma non si può negare il fatto che molti giovani decidano di volare in Israele soprattutto per motivi di studio e di formazione professionale. Il compito del Keren Hayesod è di raccogliere i fondi per dare queste opportunità. È impegnativo raccogliere denaro a sufficienza e per farlo abbiamo bisogno di creare un terreno favorevole che va al di là delle crisi (nel 2014, durante guerra di Gaza, furono raccolti molti soldi per i rifugi mobili). Il Keren Hayesod, nella sua attività di fundraising, ha bisogno di fare Hasbarà perché non si può più bussare di porta in porta. Bisogna dunque adottare le tecniche innovative di marketing: Israele è un prodotto vincente perché produce tanto ed è un Paese giovane. È dunque fondamentale veicolare le informazioni nel modo giusto.

Il gigantesco nemico d’Israele è l’ignoranza perché spesso si avverte una chiusura mentale alle informazioni. Dobbiamo allora chiederci  se raccontiamo Israele nel modo giusto».

L’evento sull’Hasbarà si è concluso con il contributo di Angelo Pezzana che ha presentato ai presenti una nuova associazione a supporto d’Israele:

«C’è invidia nei confronti dello Stato Ebraico perché Israele è un paese che ha avuto successo. La situazione di oggi riguardo l’Hasbarà è negtiva. Bisogna innestare un cambiamento e abbiamo questa missione perché ci gratifica. Per questo vogliamo riunire le persone che hanno voglia di qualcosa di nuovo e così è stata creata  l’UDAI, Unione di associazioni pro Israele. Una nuova realtà né affaristica, né mondana ma indipendente».