“Battutacce da bar”. No, frasi antisemite

Italia

Dopo i sei mesi di carcere chiesti dal Tribunale di Milano per Aligi Schiavi, la corte d’appello di Brescia condanna Davide Mattellini,  ex direttore de ‘La voce di Mantova’, a risarcire la Comunità ebraica di Mantova. La ragione sono le frasi di chiaro sapore antisemita che Martellini scrisse nel 2005 quando era alla direzione del giornale.

“Accontentare i sottanoni degli arabi o gli israeliani con i trecciolini che si inzuccano contro un muro è una bestemmia bella e buona”, aveva scritto in un articolo Mattellini.   La Comunità di Mantova protestò pubblicamente per quella frase, inviando una lettera in cui definiva le espressioni di Mattellini “antisemite”. A quella lettera il direttore rispose: “Un popolo per aver subito quaranta persecuzioni in duemila anni, sempre ‘vittima’ non dev’essere stato. Quanto meno un po’ rompicoglioni lo è”.
La Comunità di Mantova e UCEI fecero quindi ricorso al Tribunale di Brescia che condannò Mattellini ad un risarcimento di carattere simbolico. A distanza di quasi sette anni da quella prima sentenza, però, la Corte d’appello di Brescia ora ribalta quel giudizio e definisce le parole dell’ex direttore della ‘Voce di Mantova’, “diffamatorie, volte indubbiamente a finalità di discriminazione razziale e religiosa”, condannandolo a risarcire la Comunità ebraica di Mantova con una cifra di quasi 80 mila euro.

Mattellini, che tuttora collabora con ‘La voce di Mantova’, ha dichiarato che si tratta di una sentenza ingiusta: “Chi mi conosce – ha detto – bene sa che posso essere provocatorio e polemico, ma mai e poi mai razzista o antisemita. Insomma, si sta organizzando una Norimberga per alcune battutacce da bar”.
Soddisfatto della sentenza si è detto invece il vicepresidente della Comunità di Mantova, Emanuele Colorni. “Erano state utilizzate parole violente, evidentemente antisemite”. “I soldi del risarcimento, ha dichiarato ancora Colorni, verranno devoluti in beneficienza”.

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Nel  commento di domenica scorsa su “L’Unione Informa”, a proposito dei recenti episodi di razzismo e xenofobia in Italia, David Bidussa scriveva: “Dopo l’indignazione o la preoccupazione, si fa qualcosa o ci limitiamo a constatare? Io sarei per abbandonare l’indignazione e provare a fare qualcosa che abbia come fine il consolidamento della convivenza civile, che mi sembra a rischio”.

Non va proprio nella direzione del consolidamento civile, però il provvedimento del Tribunale di Milano di questi giorni, è il segno che qualcosa si può fare, si sta facendo.

Aligi Schiavi, 63 anni, milanese, è stato infatti processato e condannato a sei mesi di carcere, dal Tribunale di Milano perchè “continua con pervicacia a spargere il suo odio nei confronti delle persone di religione ebraica e non si ferma nonostante per questo sia già stato condannato una volta”. Il giudice inoltre non ha concesso la sospensione condizionale della pena “perchè è praticamente certo che continuerà a comportarsi sempre nello stesso modo”.

La condanna è giunta dopo che l’esponente di una nota famiglia ebraica milanese ha sporto denuncia contro Aligi Schiavi per le insistenti email razziste, offensive e minacciose ricevute da quest’ultimo.

Ma non soltanto di email razziste è stato autore Schiavi – “promotore musicale, organizzatore di concerti ed eventi, coorodinatore culturale, insegnante di musica, artista situazionista, libero da qualsiasi convenzione e pastoie” come si definisce lui stesso sul suo profilo Facebook. Dalle ingiurie per iscritto Schiavi è passato anche ai fatti. Di fronte a Palazzo Reale, cercò in tutti i modi di dissuadere la gente in fila dall’entrare a visitare una mostra e a convincerla invece a partecipare ad un concerto di contestazione da lui stesso organizzato.

Schiavi per quell’episodio fu citato in giudizio: per  le espressioni «violente, gravissime ed offensive», per l’attacco «ingiustificato e illecito» che viola la convenzione di New York del ’66 e perché manifesta «un sentimento di avversione e di discriminazione», scriveva il giudice nella motivazione della sentenza.

Da allora è cominciato il bombardamento di email, numerose inviate anche alla nostra redazione il cui contenuto è disgustoso e offensivo al punto da non poter essere nemmeno pubblicato.

Una vera e propria ossessione quella di Schiavi per gli ebrei, violenta e ingiuriosa, ai limiti del patologico, e che per la prima volta è stata condannata con il carcere da un tribunale della Repubblica.