Vivere in Israele al confine con Gaza

Israele

Impressioni di viaggio.

11 maggio 2008, sono su un aereo, diretto a Tel Aviv per motivi di lavoro. Ormai a metà viaggio, scopro che la signora seduta a fianco a me è Avirama Golan, una giornalista del quotidiano Ha’arez, che gode di grande popolarità in Israele. E’ di ritorno dalla fiera del libro di Torino (dove anche io sono stato nel giorno dell’inaugurazione) così ci scambiamo le sensazioni che ne abbiamo colto dalle nostre diverse angolazioni: io ebreo della diaspora e lei ebrea israeliana e in questo caso autrice di libri. Avirama infatti vi ha preso parte non in qualità di giornalista inviata, bensì di scrittrice e a Torino ha presentato la sua opera prima “I Corvi”, edito in lingua italiana da Giuntina. E’ molto stanca perché ha sostenuto numerose interviste e mi spiega che i suoi colleghi italiani oltre a rivolgerle domande sul contenuto del libro, spesso le hanno chiesto di parlare del problema della sicurezza per chi vive in Israele. Pur senza saperlo i giornalisti italiani hanno rivolto queste domande ad una persona che può davvero rispondere con cognizione di causa, infatti la vita della Golan si divide tra due città israeliane, una delle quali è Sderot, la città a nord della striscia di Gaza che da alcuni anni ormai subisce continuamente il lancio di razzi da parte di Hamas.

A me aspetta una settimana di lavoro intenso e ancora non posso immaginare che saranno giorni segnati da diversi episodi di sangue. In coincidenza con la visita di George Bush a Gerusalemme, Hamas darà il suo “benvenuto” al Presidente americano e alla delegazione internazionale che prenderà parte al convegno organizzato dal presidente Peres, con un fitto lancio di razzi dalla striscia di Gaza.
Lunedì muore una donna anziana del kibbutz Gvar-am mentre è in visita ad alcuni amici in un moshav presso Askelon, martedì muore un medico membro del kibbutz Kfar-aza, colpito da un razzo kassam mentre si dedica al giardinaggio fuori da casa, e mercoledì un missile Grad centra in pieno il centro commerciale “Canyon Hutzot” di Askelon, sfondando il tetto e i due piani sottostanti. Sotto le macerie verranno estratti 29 corpi, nessun morto, ma alcuni feriti gravi. Di queste tre notizie nessuna verrà diffusa dai Media italiani.

Il mio lavoro mi spinge proprio in quei giorni nei pressi di Askelon e poi passerò il fine settimana sempre in zona, presso il kibbutz Yad Mordechay, dove vivono dei miei conoscenti. Il kibbutz sorto nei primi anni ’40 porta questo nome in ricordo e in onore di Mordehai Anilevich, il giovanissimo eroe che condusse la rivolta del ghetto di Varsavia nel 1943, poi ucciso dai nazisti. Questo nome eroico fu in qualche modo premonitore di quelle che sarebbero state le sorti di questo bel kibbutz. Nel 1948 quando tutti gli stati Arabi del Medioriente dichiararono simultaneamente guerra a Israele all’indomani della dichiarazione di indipendenza, Yad Mordechay fu teatro di scontri durissimi e drammatici. I carroarmati egiziani partirono alla conquista di Tel Aviv certi di cogliere impreparati i nemici e di non trovare resistenza particolare lungo la strada. Ma a Yad Mordechay una “soffiata” permise ai suoi residenti di farsi trovare pronti ad opporre resistenza. Le forze in campo erano ovviamente impari ma per 6 giorni i membri del kibbutz riuscirono ad arrestare la corsa degli egiziani pagando un prezzo molto alto in vite umane, dando però il tempo all’esercito israeliano di organizzarsi. Il kibbutz fu conquistato e occupato, ma pochi chilometri più a nord i soldati israeliani riuscirono a bloccarne definitivamente l’avanzata.

A distanza di tanti anni Yad Mordechay vive nuovamente una situazione molto negativa dal punto di vista della sicurezza dei suoi abitanti. Il confine con Gaza è talmente vicino che per vedere al di là non serve un binocolo e dall’anno 2000, con l’inizio della seconda intifada, la pioggia di razzi è continua. Si tratta prevalentemente di razzi kassam, cioè razzi piuttosto rudimentali dal punto di vista balistico e con una forza esplosiva relativamente limitata, che però grazie a ciò possono essere lanciati con dei semplici mortai a corta gittata. In pratica i terroristi di Hamas si muovono all’interno della striscia di Gaza con semplici auto sulle quali trasportano razzi e mortai, poi sono in grado di fermarsi in qualunque posto e in qualunque momento, montare velocemente il mortaio e lanciare i loro razzi, senza che l’esercito israeliano possa far nulla per evitarlo. Non è possibile cioè colpire preventivamente coloro che compiono queste azioni, perché le loro postazioni sono mobili. E così Israele è corsa ai ripari realizzando un sistema di difesa elettronico in grado di rilevare quando avviene un lancio: con l’appoggio anche di un dirigibile che stazione permanentemente sulla fascia di confine tra Israele e Gaza, un’antenna principale e una serie di ripetitori sparsi nella zona, il sistema è in grado di registrare il decollo dei razzi e di lanciare immediatamente un allarme sonoro tramite forti sirene. Dal momento del lancio al momento della deflagrazione trascorrono solo 15-20 secondi. In questo breve intervallo di tempo le persone non possono far altro che accovacciarsi nei pressi di un muro portante (in casa, in ufficio, a scuola, in un centro commerciale) e sperare qualora il razzo colpisca l’edificio in cui si trovano, che il crollo di muri e pavimenti li lasci illesi o solo contusi.

Presso Yad Mordechay sono già caduti dei razzi più volte negli ultimi anni, ma miracolosamente non hanno fatto morti. Morti no, ma molta paura si. La gente vive con l’ansia di chi sa che in qualunque momento potrebbe accadere il peggio. In particolare per preservare la vita dei bambini e dei ragazzi sono stati presi alcuni provvedimenti. Asili nido e scuole materne sono state coperte con costruzioni di cemento armato realizzate e finanziate dall’Esercito che possono reggere l’urto di un razzo. Per gli studenti sono state costruite delle nuove aule: delle casette col tetto rinforzato e porte e finestre con lastre d’acciaio da chiudere quando il suono delle sirene avverte che scatta lo stato di allerta: “zeva adom” letteralmente “colore rosso”. Le aule “normali”, cioè non ancora protette in questo modo, hanno fuori dall’ingresso una sorta di ricovero di cemento armato, molto rudimentale, dove gli studenti devono correre durante quei 15-20 secondi fatidici. Ma i razzi cadono prevalentemente di notte: nel silenzio rotto dal suono assordante della sirena, ognuno sa ormai quello che deve fare, bambini, genitori e gli insegnanti responsabili del Campus in cui vivono sia studenti nati in Kibbutz, sia studenti provenienti da alcuni Paesi dell’Est Europa.

A volte di notte suona anche una sirena differente: è quella che scatta quando da Gaza qualcuno cerca di entrare in territorio israeliano forzando la recinzione metallica che funge da confine. Anche in questo caso presso il Kibbutz Yad Mordechay viene messo in pratica un sistema di difesa, per prevenire che i terroristi possano penetrare all’interno del kibbutz attraversando quel paio di chilometri che lo separano da Gaza.

In passato i membri del kibbutz Yad Mordechay vivevano nella speranza che un giorno, una volta abbandonata militarmente e civilmente la striscia di Gaza da parte degli israeliani, la pace sarebbe “scoppiata” e loro avrebbero potuto condurre una vita serena. Oggi, a distanza ormai di un paio d’anni dall’evacuazione di Gaza, le loro condizioni sono assolutamente critiche e si ritrovano a fronteggiare un problema che pare aggravarsi ogni giorno e che non offre speranze per il futuro. Nel loro pragmatismo tipico da israeliani, i miei amici di Yad Mordechay mi spiegano che ad oggi con il lancio dei kassam hanno potuto ancora sopravvivere, ma che se lo scontro subirà un’ulteriore escalation e da Gaza cominceranno a piovere razzi più pesanti e precisi (come il Grad lanciato sul centro commerciale di Askelon), si avranno conseguenze gravissime in termini di vite umane e ciò non potrà che portare ad una inasprimento del conflitto Israelo-palestinese. La paura è che il cessate il fuoco di cui si parla in questi giorni, grazie alla mediazione dell’Egitto, possa in realtà consentire ad Hamas di attrezzarsi molto più pesantemente in termini di armamenti.

Quando sabato sera riparto alla volta di Tel Aviv, dove la vita pulsa frenetica, mi rendo conto che non solo al di fuori di Israele nessuno ha chiaro ciò che vivono quotidianamente gli abitanti della regione di Askelon e di Sderot, ma che gli stessi Israeliani ne conoscono solo una parte.