Israele e i diritti dei gay

Israele

In tempo di Gay Pride e dopo la polemica sull’intervento di rav Di Segni a proposito dei Dico, una nuova notizia lega il mondo ebraico e quello omosessuale. La nuova campagna turistica dell’agenzia israeliana Aguda (che non dipende dal Ministero per il Turismo, ma è legata all’associazione per i diritti degli omosessuali) ha una “creatività” dedicata, infatti, ai gay. Abbracciati sul cammello o in affettuosi atteggiamenti, con una sfolgorante Gerusalemme sullo sfondo, sono apparsi in foto ricordo sulla stampa italiana; immagini souvenir che saranno pubblicate anche su manchette e depliant pubblicitari distribuiti da tour operator di tutto il mondo.

Per i media, è stata l’occasione di citare Israele, una volta tanto, non per questioni militari: si è fatto riferimento invece alla legislazione israeliana, che riconosce l’unione gay celebrata all’estero e che prevede, per le coppie di fatto, oltre alle tasse e alle norme sul diritto ereditario, tutti i privilegi riservati alle coppie eterosessuali.

Le ragioni di una campagna pubblicitaria rivolta a questo target particolare sono occasione di una riflessione più ampia. Qual è il messaggio che si vuole trasmettere? Dire ai gay “Venite a passare le vostre vacanze in Israele” non è un’operazione prettamente commerciale. Sì, esistono gay benestanti che spendono volentieri i loro soldi in ristoranti, discoteche e alberghi di lusso. Ma non sono i certo i soli. E allora?
Allora, forse, la campagna pubblicitaria dice qualcosa in più: “Venite a godere del sole e del mare del Medio Oriente in un Paese dove non dovete nascondervi, dove siete rispettati”. Del resto, negli ultimi anni centinaia di gay palestinesi sono letteralmente fuggiti dai Territori trovando rifugio in Israele. E a parte le polemiche legate alla realizzazione del Gay Pride a Gerusalemme in quanto “Città santa alle tre religioni monoteiste”, Israele si distingue dai suoi vicini per una serie di azioni e realtà sociali che sono riconosciute ed evidenziate in tutti i siti gay del mondo, anche quelli di sinistra che sostengono peraltro i palestinesi: Israele “ha un centro comunitario gay nella sua capitale, ha numerose organizzazioni gay che si battono alla luce del sole per i diritti delle persone omosessuali, ogni anno e in piena legalità ospita il Gay Pride, ha parlamentari che sono gay dichiarati o apertamente sostengono la causa gay, lesbica e transessuale, i gay e le lesbiche non sono discriminati dalle forze armate, ha programmi radiotelevisivi sui gay, sulle lesbiche e sulle persone transessuali”.

Ma a parte le considerazioni sociali e politiche sulla realtà israeliana, la campagna pubblicitaria suscita altre considerazioni, che ci toccano più direttamente come ebrei italiani: spesso diciamo e ci sentiamo dire, a volte in occasione di campagne elettorali comunitarie, che Israele ha un ruolo centrale nella cultura ebraica e che tutta la Diaspora deve tenerne conto. Ma è proprio così? Stiamo parlando di Israele come culla dell’ebraismo o di Israele come Stato contemporaneo, come realtà fattuale? Nel primo caso, nessun dubbio sulla sua centralità come faro per l’ebraismo. Nel secondo caso, se siamo proprio convinti del ruolo di guida etica che Israele deve esercitare sugli ebrei di tutto il mondo, dovremmo cominciare a porci qualche domanda sul rispetto che dobbiamo a chi in Italia forma una coppia di fatto, a chi desidera vivere in uno Stato laico che lo garantisca nei suoi diritti fondamentali senza ingerenze da parte di autorità religiose; per non parlare della considerazione dovuta a chi in Israele è considerato ebreo.