Democrazia: “arma segreta” di Israele

Israele

Molti hanno fanta- sticato del fatto che Israele possieda un’arma segreta. Uno strumento straor- dinario che consente allo Stato ebraico di tenere a bada nemici folli e bestiali, enorme- mente superiori nelle forze e nei numeri.
Si è parlato di tecnologia militare d’avanguardia, di bomba atomica, si è fatto il mito di uno dei migliori servizi di intelligence al mondo, si sono descritti mirabolanti e avveniristici sistemi di sicurezza, come gli strumenti antimissile che secondo alcuni sarebbero montati a bordo degli apparecchi di linea della compagnia di bandiera El Al. Viene poi il momento in cui l’unica democrazia del Medio Oriente sfodera la sua vera arma segreta. Lo fa, di consueto, di martedì. Senza turbare i normali ritmi di lavoro, senza mandare a spasso per giorni e giorni intere scolaresche, senza fermare il Paese. Lo fa, di consueto, con una passione che non cede al caos, con un calore che non lascia spazio alle prevaricazioni. Perché la vera arma segreta di Israele, la vera bomba della democrazia ebraica, è chiamare i cittadini ad imbracciare la scheda elettorale.

Milioni di elettori sono chiamati in queste ore a decidere del futuro di Israele.
E gli ebrei italiani stanno a guardare con trepidazione. Il risultato delle elezioni israeliane non sarà determinante solo a Gerusalemme, ma per la vita di tutta la Diaspora.
Viste dall’Italia, le elezioni israeliane si prestano in ogni caso a qualche considerazione ulteriore.
Anche a Roma, anche a Milano, presto si apriranno le urne. In quanto cittadini italiani saremo chiamati a votare per le elezioni politiche, in alcuni casi anche per le amministrative. In quanto ebrei ci attende il rinnovo del Consiglio dell’Unione delle comunità, e quello del Consiglio della Comunità di Milano.
Molti appuntamenti importanti, che faranno di questa primavera una pagina importante per il nostro futuro.
Eppure, mai come oggi, da Roma a Gerusalemme, si avverte una distanza profonda nella cultura politica. E le sponde del Mediterraneo, su cui tutti in un modo o nell’altro ci affacciamo, non sono mai sembrate così lontane.
Mosaico ha già più volte evidenziato la grande novità che Kadima, la nuova formazione voluta solo pochi mesi fa dal leader della destra Ariel Sharon e da quello della sinistra Shimon Peres, rappresenta per la politica israeliana. Troppo facile ricordare che per noi ebrei un eroe è quello che riesce a tramutare un avversario in un amico. Ora che nonostante la malattia di Sharon è chiaro come il nuovo partito affidato a Ehud Olmert terrà saldamente il timone, ora che anche la stampa italiana ha scoperto il senso e il peso di una novità tanto grande, inutile soffermarsi a celebrare quella che si è rivelata una storica intuizione.
Meglio invece chiarire le conseguenze di quello che sta avvenendo. Premiando Kadima l’elettorato israeliano afferma con chiarezza molte cose allo stesso tempo. Accetta ovviamente il coraggioso ritiro unilaterale da ampie zone dei territori occupati iniziato da Sharon. Ma soprattutto rigetta con chiarezza una dipendenza della politica dalla pressione dei coloni e della estrema destra espansionista. E al tempo stesso rifiuta un’attitudine remissiva, economicamente protezionistica e prevalentemente concentrata sui problemi sociali interni come quella rappresentata dalla sinistra.
Se il concetto di centro ha mai rivestito un significato in politica, Sharon è riuscito a conferirglielo in pieno.
Ma il vecchio leader repentinamente uscito di scena ci ha lasciato un’altra grande eredità: scegliendo Kadima con o senza Sharon, infatti, Israele afferma che le idee contano più delle persone, che i protagonismi e i culti della personalità non ci servono per risolvere i problemi.
E non basta. Il centro non rappresenta l’unica novità della prova elettorale israeliana. La sinistra ha saputo rinnovarsi profondamente, identificando nuovi leader e nuovi programmi. La destra ha saputo ricompattarsi dopo una scissione disastrosa e lacerante che ha rischiato di distruggere il Likud. Tutti i partecipanti, ognuno a proprio modo, hanno avuto da lanciare all’elettore segnali chiari per favorire scelte chiare.
Proprio quello che dalle nostre parti sembra fare difetto. A un governo malato di personalismi e tic nervosi talvolta sconcertanti si contrappone un’opposizione che si presenta all’appuntamento in ordine sparso, non ha risolto le proprie contraddizioni interne e lascia spazio anche a frange di sconsiderati che cercano di farsi notare con sguaiate manifestazioni di antisemitismo.
Gli ebrei italiani si divideranno, come è giusto che sia. Ma lo faranno per compiere una scelta quantomai penosa. Che scelgano la destra o la sinistra, credo in ogni caso lo faranno in molti casi con l’amaro in bocca. Su questa sponda del Mediterraneo i segnali non sono altrettanto trasparenti e le scelte non potranno rivelarsi altrettanto chiare.
Le lezioni che ci provengono da Roma e da Gerusalemme potranno ad ogni modo essere utili per comprendere meglio come agire nell’ambito della piccola sfera delle nostre comunità.
Prima di dividerci legittimamente nelle libere scelte che ci appartengono, di dimostrare come senso di solidarietà e pluralismo per noi possono e devono convivere, abbiamo tutti il dovere di ragionare sulla chiarezza dei messaggi, sulla trasparenza dei programmi e sulla capacità di premiare le idee prima ancora delle persone che l’intero sistema politico del Paese ebraico, dall’estrema sinistra all’estrema destra, è riuscito ad offrirci in questa stagione difficile e straordinaria.