Ayelet, l’amazzone tutta high tech e moschetto

di Aldo Baquis

130121_r23053_p886-1196-1200-22115712Con le elezioni politiche, che hanno confermato il predominio alla Knesset dei nazionalisti, la Destra israeliana ha portato alla ribalta un volto nuovo, che promette di far parlare di sé anche nei prossimi anni: quello di Ayelet Shaqed, 39 anni, parlamentare di Bait Yehudì, Focolare ebraico, che – in virtù delle sorprendenti piroette che hanno contraddistinto le trattative per il nuovo governo di coalizione di Netanyahu -, ha avuto l’incarico di Ministro della Giustizia.
Sarà quello il suo trampolino verso l’alta politica nazionale. Il suo obiettivo di lungo termine: diluire il carattere laico di Israele, plasmare la società israeliana sulla base dell’ideologia nazional religiosa.
Ma chi è davvero questa giovane donna dagli occhi chiari e dal piglio deciso? Paradossalmente, la Shaqed è cresciuta come incarnazione della Tel Aviv laica, in una famiglia di sionisti idealisti immigrati dalla Romania alla fine dell’Ottocento per dissodare la terra della Galilea. I suoi avi – Mordechai e Haya Bonshtein -, erano cresciuti da ebrei ortodossi. Ma si trasferirono a Rosh Pinna (Galilea) per fondare, da pionieri, un nuovo insediamento a base agricola.
La storia di famiglia va di pari passo con quella dell’impresa sionista. Mordechai Bonshtein sarebbe passato poi nel villaggio arabo di Tantura (a nord di Cesarea), dove i Rothschild progettavano un porto per la popolazione araba ed ebraica. Quando gli nacque un figlio – Asher, il nonno della Shaqed -, la milà, circoncisione, fu affidata a un chimico di spicco: Meir Dizengoff. Il futuro sindaco di Tel Aviv, località che ancora non esisteva.
Non finisce di stupire l’album di famiglia della Shaqed. Asher cresce nella vicina Zichron Yaakov e frequenta la mitica Sarah Ahronson: una ‘Mata Hari’ locale che all’inizio del XX secolo raccoglieva informazioni nella Palestina ancora sotto dominio ottomano per passarle alla Gran Bretagna dei tempi edoardiani.
L’amor di patria, nella famiglia della Shaqed, era dunque pane quotidiano. Cresciuta in un sobborgo residenziale di Tel Aviv, la Shaqed è appena adolescente quando Itzchak Rabin firma gli accordi di riconoscimento con l’Olp di Arafat. La madre Arela, una educatrice, fa un tifo caloroso per la pace con i palestinesi. Il padre Menashe è molto più scettico. Fiuta pericoli gravi, spera che l’iniziativa perda quota.
Ayelet nel frattempo fa la Tzavà, è militare nella Brigata Golani, istruttrice di storia, al fianco di un militare – Erez Gerstein -, che gode fama di combattente eroico. Sarebbe morto nel 1999 nel Libano Sud, dilaniato da una carica degli Hezbollah esplosa sotto la sua Mercedes blindata. Concluso il servizio militare, Ayelet parte per un lungo viaggio in America Latina da cui torna col futuro marito: un pilota dell’aviazione militare, membro di un Kibbutz. All’università vorrebbe iscriversi a storia e sociologia. Ma il padre la convince a tenere i piedi per terra e a preferire ingegneria elettrico-informatica e scienza del computer. Si laureerà senza alcuna difficoltà.
Intanto il richiamo della politica è forte. Siamo nel 2005. Benyamin Netayahu ha dato le dimissioni (per dissensi sul ritiro da Gaza), e cerca delle assistenti. La Shaqed lo raggiunge nella Fortezza Zeev, il grattacielo di Tel Aviv dove ha sede il Likud, e inizia a dirigere il suo ufficio. In senso stretto, gli fa da segretaria. Ma in senso lato, è entrata nella “stanza dello stregone”.
Vede il Maestro da vicino e diligentemente prende nota di tutto. L’importanza dei sondaggi. La decifrazione degli umori del pubblico. Le campagne politiche. L’abilità nel disegnare la ‘carta geografica’ dei rivali. Il controllo dell’espressione del volto di fronte alle telecamere. La capacità di lanciare anche messaggi duri con un tono morbido della voce.
Nel 2006 Netanyahu chiede rinforzi e nell’ufficio fa ingresso un brillante ex ufficiale di un’unità scelta dell’esercito: Naftali Bennett. Come Shaqed – che è peraltro la quintessenza dell’efficienza -, anche Bennett è un mago delle nuove tecnologie dei computer. Netanyahu dovrebbe essere soddisfatto. Ma la moglie Sarah, fiuta un pericolo, ovvero che “quei due’’ sono un po’ troppo ambiziosi, un po’ troppo indipendenti. Quando nel 2009 Netanyahu torna ad essere eletto Premier (dopo un testa a testa con Tzipi Livni), i due restano fuori dai giochi. Bennett guida una associazione di coloni, la Shaqed si occupa di high tech.
Di certo entrambi sono inguaribilmente affetti dal morbo della politica. Lanciano un movimento patriottico extraparlamentare (Israel Shelì). Poi Bennett si impadronisce del fatiscente Partito Nazional Religioso e lo rivitalizza con un ‘brand’ nuovo: Bait Yehudì, Focolare ebraico. In posizione privilegiata impone la Shaqed: malgrado lei sia laica, non molto ben vista dai rabbini più conservatori. Lei ripone diligentemente jeans e t-shirt in un armadio e adotta un aspetto più timorato, più confacente ai gusti dei leader religiosi.
Entrata alla Knesset nel 2013, la Shaqed ha impressionato anche i rivali politici per la professionalità e per la dedizione al lavoro. Dopo le elezioni del 2015, Netanyahu avrebbe fatto anche a meno della sua presenza al governo (Sarah Netanyahu sospetta che Bennett e la Shaqed siano la fonte di alcune indiscrezioni imbarazzanti al suo riguardo apparse sulla stampa): ma in extremis ha dovuto cedere a un doloroso braccio di ferro con Bennett ed è stato costretto ad affidarle il Ministero della Giustizia. Si tratta di un dicastero che sia il Likud, sia Bait Yehudì, – Focolare ebraico, considerano strategico: perché chi lo controlla è in posizione privilegiata per influenzare il carattere dello Stato.
Profondamente ideologica, la Shaqed prevedibilmente si rimboccherà subito le maniche. Il lavoro che la attende è notevole. In Cisgiordania punterà ad estendere il controllo israeliano: ad esempio con l’estensione delle legge israeliana nelle colonie e con la legalizzazione di avamposti.
La Corte Suprema sarà un ulteriore possibile obiettivo. Negli ultimi anni, la Corte ha irritato le forze nazionaliste quando ha bocciato, due volte, leggi volte a limitare drasticamente la presenza in Israele di migranti africani. Deputati di destra invocano adesso una legge in base alla quale, in circostanze del genere, sarà la Knesset e non la Corte Suprema ad avere l’ultima parola. In ogni caso, ha precisato Bennett, i migranti dovranno tornare in Africa.
Un ulteriore tasto delicato potrebbe essere quello del Monte del Tempio (la Spianata delle Moschee), a Gerusalemme. Deputati nazionalisti premono per una revisione dello status quo, e anche per l’autorizzazione dello svolgimento di preghiere ebraiche. La Shaqed – che sostituisce la Livni – potrebbe essere incline a dare loro ascolto. La sua nomina ha destato reazioni esasperate. Sul web sono comparse anche aperte minacce e la Knesset ha dovuto garantirle una scorta.
Shaqed e Bennett ne sono convinti: anche in futuro, la maggioranza degli israeliani sarà “di destra’’. E un giorno Likud e Focolare ebraico potrebbero unirsi. E allora “quei due’’ saranno non più solo vicini, ma ben dentro la stanza dei bottoni.