Arrivai a Gerusalemme un pomeriggio di gennaio, con parecchio bagaglio
	e un’intera valigia di scarpe.
	Non ero mai stata tanto tempo lontana da casa e la notte prima
	decidere da cosa separarmi così a lungo e da cosa no era stata una
	battaglia perduta.
	L’aria era meravigliosa: fredda ma dolce, con quel vento profumato di
	Gerusalemme che tante volte avevo annusato in vacanza. Solo che questa
	volta  non ero in vacanza: avevo un piccolo appartamento ad
	aspettarmi, un lavoro di poche ore al giorno e – più importante di
	tutto – una scuola.
	La mattina dopo andai ad esplorare questa scuola, di cui non sapevo quasi nulla.
	Si studiano Gmarà, Torà, Alachà…Gli insegnanti sono tutti ortodossi,
	ma gli studenti sono i più variegati che si possano immaginare…..
	Uomini e donne studiano assieme….
	Queste erano pressapoco tutte le informazioni in mio possesso, e
	sulla base di esse avevo deciso di trascorrere i successivi sei mesi
	della mia vita in questo luogo.
	Ma facciamo un passo indietro: come ero finita in questa situazione?
	Ciò che è molto comune in tanti altri Paesi come gli Stati Uniti,
	l’Inghilterra, la Svizzera… – trascorrere un periodo in Israele
	subito prima o subito dopo l’università per dedicarsi a studi ebraici
	– non lo è affatto in Italia.
	Credo che si tratti semplicemente di abitudine: perfino una persona
	come me, proveniente da una famiglia osservante e coinvolta a vari
	livelli nella vita comunitaria, educata alla scuola ebraica per 15
	anni, è giunta all’età di 23 anni senza sentire la necessità di tirare
	giù nemmeno una volta gli Steinsaltz di suo padre dallo scaffale e
	darci un’occhiata, giusto per vedere come’è fatto, questo famoso
	“Talmud”. 
Com’è mai possibile? È quello che mi ero finalmente chiesta
	un venerdì sera dell’estate scorsa in una piccola sinagoga di
	Gerusalemme. Da allora non ho più smesso di chiedermelo: com’è
	possibile vivere tutta la vita da ebrea osservante, credere
	nell’educazione ebraica eppure sapere così poco di quasi
	tutto…soprattutto avere così poca dimestichezza con i testi?! 
Ma ad
	ogni mancanza si può rimediare, se si decide che è importante e che
	merita tempo ed energie. Io l’avevo deciso, ed eccomi qui.
	Avevo iniziato allora a chiedere un po’ a chiunque, perché dovevo
	trovare un istituto adatto a me. Volevo prima di tutto che fosse a
	Gerusalemme, perché vivere in Israele ma fuori da Gerusalemme è sempre
	apparso ai miei occhi uno spreco paragonabile a mangiare un cibo
	delizioso senza soffermare il boccone sulle papille gustative.
	Volevo studiare con ebrei provenienti da ogni parte del mondo e non
	solo con israeliani. Avevo già i miei bei 23 anni e una quasi laurea
	di primo livello (nel senso che dovevo ancora finire la tesina): non
	volevo quindi una scuola di ragazze appena uscite dal liceo, ma un
	ambiente di studenti universitari.
	Tutto questo Pardes lo aveva.
	Dopo i primi giorni mi accorsi però che l’aspetto più importante di
	tutti, e che davvero rende Pardes un luogo unico non solo in Israele
	ma nel mondo, è un altro: la sua straordinaria apertura mentale. È
	un’istituzione che si inserisce nella corrente dell’ebraismo ortodosso
	per l’approccio alla Torà e all’osservanza delle mizvot, ma totalmente
	libera da qualsiasi pregiudizio o peggio ancora disprezzo verso ogni
	altra forma di ebraismo… meglio: priva di pregiudizio e disprezzo in
	assoluto.
La cosa può parere scontata, ma solo a chi non sia mai
	venuto in contatto con altre istituzioni dedite al ivellamento delle
	idee verso il basso, alla promozione del conformismo e soggette alla
	paura di pensare con il proprio cervello, pratica questa invece
	incoraggiata a Pardes in ogni modo possibile.
	Se pensare con il proprio cervello è di per sé già una gran cosa,
	pensare con cognizione di causa e intelligenza è ancora meglio. Questo
	Pardes lo insegna, o meglio, offre tutti gli strumenti necessari per
	farlo.
	Le lezioni in classe, i momenti di studio in coppia nel beit midrash,
	le lezioni generali tenute dal Rosh Yeshiva o da altri importanti e
	affascinanti relatori, insieme ai mille bellissimi momenti di “libera
	riflessione” tra una lezione o l’altra, durante i pasti, le gite o
	tutte le altre innumerevoli attività organizzate dall’istituto o da
	singoli studenti….tutto questo mi ha permesso di vivere a tempo
	pieno a contatto con quella vita ebraica, o meglio con quel “vivere
	l’ebraismo” che tante volte mi era mancato.
	Devo però aggiungere, a onor del vero, che ho avvertito in ogni
	momento la preziosità di tutti i miei anni di scuola ebraica, quanto
	bene mi aveva preparato in lingua ebraica, in Tanach, in Alachà… 
Un
	mattino in particolare ricordo di essermi commossa fino alle lacrime
	nel ritrovare un commento di Rashì che ricordavo addirittura dalle
	elementari!
	Dopo sei mesi a Pardes ho semplicemente sentito di voler restare a
	Gerusalemme, per restare vicina al mio popolo, per poter dare il mio
	infinitamente piccolo eppure moralmente necessario contributo alla sua
	sorte. Per sempre? Non lo so. Intanto per il nuovo anno, poi si
	vedrà.


