Idan Raichel: «La mia musica, per costruire ponti»

Spettacolo

di Ilaria Myr

11«Arriverà un giorno in cui passeremo da un’era di Guerra a un’era di Pace, e se qualcuno non sa come fare, gli propongo il ponte che sta costruendo Idan». Con questa parole piene di ammirazione, l’ex presidente israeliano Shimon Peres si era congratulato con Idan Raichel, lo scorso febbraio, dopo un suo concerto a Tel Aviv. Un uomo di pace – che molto ha lavorato (e tutt’ora lavora) per raggiungere risultati tangibili in ambito politico e umanitario -, che parla a un altro uomo che ha la metà dei suoi anni e che, come lui, coltiva la stessa passione per costruire ponti. Solo che quelli di Idan Raichel hanno note musicali al posto di scalini. Perché è proprio la parola “ponte” che più di tutte identifica l’arte del musicista israeliano che nel 2003 ha dato vita all’Idan Raichel Project: un vero e proprio progetto musicale, che ad oggi ha coinvolto circa 115 artisti provenienti da tutto il mondo, e che suonano e cantano nella loro lingua e con strumenti tradizionali. Fra questi, Cabra Casey, una cantante etiope immigrata in Israele nata in un campo di rifugiati in Sudan, lo yemenita Ravid Kahalani, il batterista israeliano Gilad Shmueli, la leggendaria cantante israelo-yemenita Shoshana Damari e il chitarrista del Mali, Vieux Farka Touré. «Insieme a Touré ho realizzato forse la mia collaborazione più interessante: un chitarrista musulmano e un pianista ebreo, Mali e Israele in un sodalizio inimmaginabile, mentre non c’erano rapporti diplomatici tra i due Paesi. Un chiaro esempio di cosa io intenda per potere della musica a lanciare ponti tra le differenze geografiche, linguistiche, etniche, politiche e religiose. Come andare insomma alle mie radici ebraiche che da sempre sanno fondere differenti universi mentali e culturali», spiega.

Dialogo e scambio sono quindi le parole d’ordine del progetto musicane di Raichel e il segreto del suo grande successo internazionale; lo ascolteremo presto in Italia, il 19 settembre prossimo nell’ambito di MiTo, al Teatro Elfo a Milano, in un’inedita collaborazione con Ornella Vanoni. Non solo: l’Idan Raichel Project si esibirà anche martedì 27 ottobre in occasione dell’Adeissima Berta Sinai 2015, organizzata dall’ADEI-Wizo.
Con un nuovo look privo delle celebri trecce dreads («volevo far piacere a mia moglie, da tempo mi chiedeva di tagliarmi i capelli»), Idan Raichel racconta in questa intervista al Bollettino il suo modo di fare musica e come questo sia legato al rapporto con Israele, musica come lingua franca capace di creare legami. (guarda il video dell’intervista).

Costruire ponti, abbattere muri di diffidenza e incomprensione, farlo con la bellezza delle note e degli strumenti musicali. Perché un musicista dovrebbe impegnarsi in un’impresa tanto ardua?
La musica può educare i giovani alla curiosità di attraversare i confini per incontrare l’altro. L’Idan Raichel Project nasce 12 anni fa, durante i quali ho registrato essenzialmente la musica che amo, senza alcuna mission o messaggio. L’ho fatto insieme a circa 115 musicisti e cantanti provenienti da varie parti del mondo: dai campi di rifugiati del Sudan, da Israele, Marocco, Brasile, Mali e molti altri. Dopo il primo album, però, ci siamo resi conti che per la prima volta erano state proposte al pubblico israeliano le voci delle minoranze: ciascun musicista infatti, canta nella propria lingua nativa o suona strumenti tradizionali del proprio Paese. Per la prima volta abbiamo fatto ascoltare agli israeliani un cantante palestinese, riuscendo anche a portare la lingua tedesca in un Paese dove ancora l’Orchestra Filarmonica non suona Wagner. È sicuramente questo aspetto di unione e condivisione ad averci fatto capire che la nostra musica effettivamente costruisce ponti. A volte basta che una sola persona abbia un sogno per dare alla luce grandi progetti. Penso  a Martin Luther King e al suo “I have a dream”: il più bel discorso di tutti i tempi, che dimostra come è dalla visione di un singolo che possa generarsi il cambiamento.

Israele è un Paese che da decenni vive un difficile conflitto. Quanto è importante per te “lavorare sul dialogo”?
Israele è attraversata da moltissimi conflitti: sul fronte esterno c’è quello con la Siria, che è diverso da quello con l’Iran, che a sua volta ha caratteri completamente diversi da quello con i palestinesi. E poi ci sono quelli interni, fra le diverse culture e mentalità che compongono la società. Per me la cosa più importante è creare coesione, far sentire che, malgrado le differenze, essere israeliani vuol dire far parte di un Tutto, una comunità unita e forte, all’interno della quale le minoranze possano sentirsi parte integrante. Che, insomma, la democrazia israeliana funzioni davvero come una democrazia, e che ci siano uguali opportunità per tutti gli immigrati. Dopo di che, la pace siglata fra i politici è solo un pezzo di carta: ciò che conta è fare pace con il proprio vicino. Oggi, se chiedete a un ragazzo israeliano se conosce un film libanese, un artista siriano o un cantante palestinese, nella maggioranza dei casi la risposta sarà ‘no’. E lo stesso vale per la parte palestinese riguardo alla cultura israeliana. Per questo motivo in settembre inizieremo un nuovo programma nelle scuole destinato ai bambini di 9 anni: ogni settimana cercheremo di far conoscere la cultura dei Paesi limitrofi, al di là delle frontiere.

Oltre a te, ci sono pochi altri musicisti israeliani altrettanto impegnati nel dialogo con i palestinesi e le altre culture – Daniel Barenboim e Noa, in primis -. Ti senti una mosca bianca?
No, affatto, al contrario penso ci siano sempre più artisti impegnati in questa direzione. Ciascuno, tuttavia, lo fa a modo suo, perché al di là dei buoni propositi, è questione di ‘chimica’ fra le persone, di qualcosa di magico che può creare un legame. Sicuramente l’operazione che Daniel Barenboim ha messo in piedi con la sua Divan Orchestra è una splendida cosa: ma il successo vero e tangibile si avrà un giorno solo se, senza più Baremboim, l’orchestra continuerà a prosperare e i musicisti rimarranno in contatto fra loro, e ci sarà uno scambio vero, tra persone vere, al di là della tournè o della mera esecuzione.

Da Israele alla diaspora. Quale ruolo ricoprono oggi gli ebrei d’Europa?
Certo, è importante che ci sia un flusso costante di aliyot. Ma anche se molti non decidessero di farla, c’è comunque molto da fare per Israele: supporto finanziario, diplomazia, propaganda e via dicendo. Credo che gli ebrei fuori da Israele siano lo scudo più efficace per la salvezza del nostro Paese.

Il movimento BDS sta acquisendo sempre maggior seguito. Tanto che al MiTo dell’anno scorso alcuni tuoi colleghi israeliani come Avishay Cohen e Noa, sono stati vittime di una chiamata al boicottaggio. Che cosa pensi di questo fenomeno?
L’aspetto più importante da tenere in considerazione è che alcune tra queste persone sono in buona fede: non sono pazzi, ma gente che dedica il proprio tempo a protestare per una causa che ha a cuore. Io ovviamente non concordo affatto con le loro posizioni. Ma penso che sia importante parlare con loro, cercare di capire le motivazioni e cosa realmente vogliono. Parlavamo di costruire ponti? E allora è giusto dialogare, spiegare e ascoltare. Tutti.

Veniamo all’Italia. Che rapporto hai con il nostro Paese e il suo pubblico (che non capisce i testi delle tue canzoni)?
Io faccio world music e le sonorità tipiche di un certo luogo o terra sono evocative, vengono perpecepite sempre come una specie impronta digitale sonora di quei luoghi, quasi un sound-track di quel paese. Miriam Makeba è la voce del Sud Africa, Mercedes Sosa dell’Argentina, Bob Marley della Giamaica: non c’è bisogno di conoscere l’italiano per immaginarsi in Italia quando si ascolta ‘Una notte in Italia’ di Ornella Vanoni, no? Lo stesso vale per l’Idan Raichel Project in Italia: le persone torneranno a casa pensando di avere ascoltatouna specie di colonna sonora di Israele. E questo sarà per noi l’onore più grande.

Il 19 di settembre farai un concerto a Milano nell’ambito MiTo, in cui ti esibirai con Ornella Vanoni. Ci anticipi qualcosa?
Saremo in tutto 10 artisti, il meglio dell’Idan Raichel Project. Suoneremo i nostri quattro album, più qualche nuovo pezzo. E siamo entusiasti di collaborare con Ornella Vanoni, un’artista leggendaria, con cui è subito nato un feeling assoluto. Io non ho studiato musica all’università: per me la lezione migliore è incontrare artisti come Ornella. Lei è carisma, stile, delicatezza: è pazzesco, quando cammina nella stanza tutto ruota intorno a lei.

Parlavamo di Martin Luther King… Qual è il sogno di Idan Raichel per il futuro?
Ho molti progetti…ma dato che poche settimane fa ho avuto una bambina, non dormo molto di notte, quindi il mio sogno è potere dormire una notte senza interruzioni….Non sarà un granché, ma per me ora è davvero molto importante.….

Concerto Idan Raichel
19 settembre, Teatro dell’Elfo, Corso Buenos Aires 33, Milano
Biglietti: costo 15 euro, in vendita su Ticketone.it