Eli Sharabi, storia di un sopravvissuto

Libri

di Nathan Greppi

La testimonianza dell’ex ostaggio  è un racconto dell’orrore della prigionia e delle violenze fisiche  e psicologiche subite, ma anche  un inno potente a non perdere  mai forza d’animo e speranza

Quegli interminabili 491 giorni. Questo è il tempo che Eli Sharabi, israeliano rapito da Hamas nel Kibbutz Be’eri il 7 ottobre 2023, ha trascorso prigioniero dei terroristi a Gaza. 491 giorni durante i quali ha patito sofferenze atroci, ma anche in quei momenti non ha mai perso la speranza di tornare a casa da uomo libero.

Dopo la sua liberazione, avvenuta l’8 febbraio 2025, Sharabi ha raccontato quello che ha vissuto nel libro L’ostaggio che è stato tradotto e pubblicato in tutto il mondo ed è diventato un best-seller in Israele.

Il suo memoir, parte dal racconto di come è stato rapito dai terroristi in casa sua, dove si trovava assieme alla moglie e alle due figlie, che non avrebbe mai più rivisto. Successivamente, viene raccontato il suo arrivo a Gaza e come ha vissuto nel corso della prigionia; se all’inizio stava in casa di una famiglia e riceveva un trattamento che lui descrive come quantomeno decente, nel corso dei mesi successivi è stato spostato nei tunnel sotterranei scavati da Hamas, dove i suoi carcerieri hanno iniziato a privare sempre di più lui e gli altri ostaggi di cibo, cure mediche e della possibilità di lavarsi.

Nel corso del volume, Sharabi presenta diversi dettagli peculiari: ad un certo punto, fa notare come gli aguzzini mangiassero cibo proveniente dai pacchi spediti dall’ONU, ma i dipendenti delle Nazioni Unite che si occupavano della distribuzione degli aiuti alimentari non hanno mai incontrato né lui né i suoi compagni di prigionia. Tra questi ultimi, per un breve periodo c’era anche Hersh Goldberg-Polin,  ucciso dai terroristi a sangue freddo, quando l’IDF stava per trovarlo. Ma c’era anche il giovane musicista Alon Ohel, liberato a ottobre di quest’anno, con cui ha stretto un legame fortissimo, quasi di padre e figlio.

Sharabi cerca spesso di comprendere la mentalità e il punto di vista dei suoi carcerieri, e di distinguere tra quelli più feroci e quelli più disponibili, ma senza mai dimenticare chi ha di fronte. Più volte racconta come, dai loro discorsi, emerga che si tratti spesso di uomini fortemente indottrinati dalla propaganda di Hamas, che li ha convinti che gli ebrei siano dei mostri e che Israele sia destinato a soccombere. Proprio come Goldberg-Polin, anche Sharabi e i suoi compagni avrebbero potuto essere uccisi in ogni momento, affinché non venissero salvati dall’esercito.

Anche nei momenti più difficili, gli ostaggi trovavano il modo di restare uniti: essendo più vecchio dei suoi compagni, Sharabi li incitava spesso a non perdere la speranza di tornare a casa e ad essere ottimisti, anche se talvolta lui stesso non riusciva a trattenere le lacrime. E da uomo laico, nella prigionia ha riscoperto la religione, celebrando con i suoi compagni il Kiddush ogni venerdì sera.

Anche se alla fine Sharabi è stato liberato, la sua non può definirsi una storia a lieto fine. A tenerlo attaccato alla vita anche nei momenti più difficili, è stata la speranza che la moglie e le figlie si fossero salvate. Purtroppo, sia loro che suo fratello erano stati tutti uccisi il giorno stesso del suo rapimento.